Una pagina dopo l’altra, il libro “UNA COPPIA DA GUINNESS” non smette di sorprendere e affascinare: abbiamo posto qualche domanda all’autore, Michele Rizzitelli per saperne di più sul suo percorso di scrittura e sulle sue ispirazioni.
Amore e corsa, come si conciliano le due cose?
Correvo prima di sposarmi e ho continuato a farlo dopo. Angela, vedendomi rientrare in casa, beato e soddisfatto, dopo l’allenamento, ne è stata contagiata, ed ha voluto seguirmi, rivelandosi un’ottima allieva. Abbiamo cominciato a correre maratone, e non ci siamo più fermati, fino a concluderne tante quante nessuna altra coppia al mondo: mille. Sempre insieme nelle stesse gare, ma correndo ognuno al proprio ritmo. Per me è stato un colpo di fortuna aver condiviso la stessa passione con mia moglie, non ho nessun merito. Altrimenti sarebbero stati… dolori! In Una Coppia da Guinness ho condensato le emozioni vissute in 40 anni di corse. Ma il libro è, soprattutto, il racconto di una straordinaria storia d’amore, perché non è usuale che corrano lui e lei, conservino una forma atletica per tanto tempo, rimanendo una coppia solida.
Quante maratone ha corso e quale ritiene la più importante?
Ho corso la prima maratona nel 1984 a New York. Nel 2020 a Pescara ho coronato il sogno di portare a termine la mia 1000^. Raggiunto l’obiettivo, non mi sono fermato e attualmente sono 1055. Le mie non sono solo maratone (gare di 42,195 km), ma anche ultramaratone (50 km, 100 km, ecc.). Insomma, un viaggio di 53.000 km, più lungo dell’equatore, attraverso i cinque continenti, a tutte le latitudini e altitudini, in tutte le stagioni, sotto qualsiasi condizione atmosferica. Una vita di corsa!
Qual è la più importante? Come il primo amore non si scorda mai, così la mia prima di New York è quella più impressa nel mio cuore: le altre caddero come pere mature. Bisogna amare la corsa, ed io adoro muovermi, sudare, espellere le tossine dai pori e stimolare il metabolismo. Amo percepire la terra scorrere sotto i miei piedi, mi fa sentire in armonia con la natura in cui tutto è movimento, di essere parte attiva di questo eterno divenire. Correre è vita e io non faccio che vivere.
Ho sempre preso parte alle gare con il semplice piacere di correre, ma con impegno. Se poi ti capita di vincere la 24 ore di Termine Imerese con 187,200 km, è ovvio che la ricordi. Fuori dalle ipocrisie: partecipare è bello, vincere è bellissimo.
Quale è stata invece a livello paesaggistico la gara più bella? Nel tuo libro leggiamo di paesaggi incantevoli ma talvolta molto ostici.
Tutte molto belle. Mi piace la fatica, ma non quella fine a se stessa. Dall’impegno fisico profuso esigo un ritorno in termini culturali, paesaggistici e umani. Non ho mai gli occhi puntati sul cronometro, ma tutt’intorno. Dopo tante gare, più che una singola, ricordo i momenti più belli di molte maratone. E’ commovente correre nelle città d’arte di Roma e Firenze. Per l’occasione le strade vengono chiuse al traffico automobilistico e noi maratoneti ne diveniamo i padroni, godendocele pienamente.
Da Berlino, dopo 325 km, abbiamo raggiunto l’isola di Usedom, che un ponte girevole collega alla terraferma. Ci siamo spinti fino al Circolo Polare Artico nella Maratona del Sole a Mezzanotte. Un pieno di emozioni ci hanno riservato i 120 km della Desert Marahon in Libia e la Marathon des Sables di 250 km nel Sahara marocchino. Sono i trail che offrono i percorsi più spettacolari. E’ faticoso scalare una vetta, ma il premio che ti aspetta lassù è incommensurabile. Se si vuole ammirare un panorama straordinario, bisogna guadagnarselo con il sudore della fronte e correre qualche rischio per via del percorso accidentato.
Nella 100 Miglia dell’Himalaya abbiamo avuto la fortuna di vedere, in un cielo cristallino, i primi raggi del sole colpire contemporaneamente quattro delle cinque cime più alte del pianeta. Nel Trail delle Tre Cime di Lavaredo, pittoresca fu la visione del lago di Misurina, nelle cui acque si specchiavano le guglie, i pinnacoli e le torri dolomitiche. Nel Trail del Gargano di 80 km, salimmo sul monte Saraceno, scendemmo sulla spiaggia di Mattinata, demmo l’attacco al monte Sacro e attraversammo la Foresta Umbra per 13 km. Ci precipitammo sulla spiaggia di Vignanotica mentre una grande luna rossa emergeva dal mare.
Se le dicessi Guinness Worls Records… cosa mi racconta?
Mi ricorda l’anno 2002, un anno speciale, di grazia. Mia moglie ed io, tuttora, ci stupiamo di come abbiamo fatto a portare in porto cento maratone, e per questo inscritti nel Guinness World Records.
Non era un nostro obiettivo, non apparteneva neppure all’universo dei nostri sogni. Se a inizio anno avessimo appena balbettato questo numero, avrebbe fatto il suo dovere chi ci avesse imbracati in una camicia di forza e portati al manicomio. L’idea iniziale era di farne cinquanta, un numero tondo e meno impegnativo. Poi ci siamo lasciati prendere dalla… gamba, ed è nato il numero perfetto per antonomasia. Il difficile è stato non tanto correrle quanto il reperirle, in tempi in cui le maratone non erano numerose.
Il 2002 ci vide saltare da un aereo all’altro, prendere treni in corsa, dormire nel sacco a pelo. Stringemmo amicizie, fummo ospitati in molte case, arricchendoci sul piano culturale e umano. Fu un girovagare infinito, passando per grandi città e villaggi sperduti della Germania, ove ne abbiamo corse un buon numero. Una certa freddezza, i maratoneti tedeschi, ce l’hanno fatta sentire soltanto al primo impatto. Poi, conosciuti i nostri obiettivi, la diffidenza si è trasformata in ammirazione. Ci hanno aiutato a realizzarli ospitandoci nelle loro abitazioni e ci hanno accompagnato in luoghi che difficilmente avremmo potuto raggiungere con mezzi pubblici.
E’ stata una corsa contro il tempo: una maratona nella maratona! Non avremmo potuto correrne tante se non avessimo rischiato con orari stretti di coincidenze, giungendo qualche volta pochi minuti prima dello start.
Occorre più allenamento fisico o mentale? Cosa aiuta un atleta a essere costante?
L’allenamento fisico è indispensabile: i muscoli gambe si tonificano, le strutture capsulo-legamentose s’irrobustiscono, gli alveoli polmonari si dilatano, il cuore rintocca sicuro e i lipidi smettono di fare i parassiti e si mettono a produrre energia. Ovviamente, non si può andare oltre un certo livello di stress. Riconoscere questo limite, soggettivo e genetico, è il segreto per non commettere gravi errori. Senza l’autodisciplina e il buon senso non si va molto lontano. I malanni colpiscono non il podista supercollaudato, ma quello improvvisato.
Parallelamente, anche la mente smette di mostrarsi pavida di fronte alla fatica. Ed è proprio a livello mentale che avvengono i grandi cambiamenti. La lunga consuetudine con lo sforzo rende ottimisti, combattivi e resistenti al dolore. L’esercizio aerobico prolungato migliora l’irrorazione sanguigna cerebrale con effetti benefici sulla sfera cognitiva. Da qui l’abitudine a porsi in maniera autonoma degli obiettivi, e il raggiungerli migliora l’autostima. Poi bisogna mettere in conto l’arricchimento culturale, le emozioni e il senso di benessere per il risultato raggiunto. La fatica non esiste, è un fatto psicologico, passa non pensandoci. Può essere tanta in gara, ma scompare alla vista del traguardo.
Michele Rizzitelli è stato un ottimo interlocutore e desideriamo ringraziarlo per il suo intervento. Vi invitiamo ancora una volta a leggere “UNA COPPIA DA GUINNESS” e vi aspettiamo, come di consueto, per la prossima intervista. Buona lettura.