Il nostro viaggio alla scoperta dei nostri titoli più interessanti ci porta, oggi, a presentarvi “Dodici mesi nell’inconscio”, di Enrico Lanza: è un libro per noi particolarmente stimolante, del quale abbiamo cercato di approfondire alcuni aspetti inediti.
Da dove trae ispirazione per le sue poesie?
Da dove traggo ispirazione per le mie poesie? È difficile da spiegare in realtà, soprattutto perché questa raccolta di poesie è la prima in assoluto che abbia mai scritto. E non sono solamente le prime poesie, sono la prima cosa che abbia mai scritto in vita mia. Credo si possano dare varie risposte a questa domanda. Se poniamo il focus sull’ispirazione che sta dietro ogni singola poesia, le spiegazioni sono molteplici. Il fattore scatenante può essere ritrovato su differenti fronti. Ci sono alcune poesie che nascono dall’osservazione, dalla meticolosa e paziente arte del guardare. Sono molto attento ai dettagli, mi piace osservare, sono curioso, non mi accontento della superficie, mi piace andare a fondo. Molte poesie sono nate da una semplice camminata in un parco, altre da una sigaretta fumata in balcone, osservando le macchine scorrere per la via e le altre parcheggiate di sotto, altre lungo il tragitto per andare al lavoro, magari in una giornata di pioggia, altre ancora dalla reminiscenza di un ricordo. L’osservazione ha sicuramente un ruolo di rilievo tra i motivi propulsori che hanno generato ogni singola poesia, ed è un ruolo importante che di volta in volta è stato generatore di differenti sviluppi. Se infatti da un lato, come nel caso della prima parte intitolata “Vita”, l’osservazione ha lasciato spesso e volentieri spazio alla descrizione – trasformandosi così in osservazione descrittiva –, nelle altre due parti “Amore” e “Guerra” l’osservazione ha cambiato il suo oggetto di riferimento. Mentre nella prima parte il soggetto osservante, quindi l’autore, quindi l’Io, pone la sua attenzione sulla vita tutta, sull’ambiente, sul mondo, su ciò che lo circonda e di cui si rende consciamente parte attiva, integrale e integrante, in “Amore” e in “Guerra” il soggetto osserva rispettivamente, anzi scruta, in maniera quasi ossessiva aggiungerei, dentro sé e dentro gli altri. Si instaura questo gioco per il quale l’osservazione si trasforma in introspezione – in “Amore”, dove l’Io si mette a nudo, come dinanzi uno specchio, ricercando attraverso il suo vissuto il proprio Sé – e in trasposizione del Sé – in “Guerra”, dove l’Io lascia il passo all’Altro, instaurando un rapporto di accettazione e riconoscimento dell’alterità, mediante analisi introspettiva. Per fare tutto questo, però, l’osservazione non è sufficiente. È sempre seguita da quella che a me piace definire illuminazione. L’osservazione è sempre accompagnata dal concetto, dal contenuto. La forma è solo il contenitore del contenuto. L’occhio osserva la superficie, quindi la forma, ma se vuole andare a fondo deve andare oltre, vedendo ciò che ad occhio nudo non si può vedere, scorgendo così ciò che sta dentro, ciò che realmente contiene. In qualche modo è come se l’osservazione fosse guidata, mossa da qualcosa, da un istinto più che da un interesse, da un impulso, al punto tale che, posati gli occhi sull’oggetto di riferimento essa raggiunga inspiegabili stadi di contemplazione e venerazione, che ne generano la descrizione. Una sorta di estasi. E questo accade, non a caso, soprattutto in quelle poesie che portano avanti dei concetti, delle idee, delle visioni, delle credenze. L’osservazione si fa contemplazione, la quale porta ad una osservazione ancora più meticolosa, ossia all’analisi. L’analisi genera domande, l’illuminazione avanza delle risposte. Tuttavia, l’ispirazione prima resta e resterà la sofferenza. La scrittura si pone come urgenza e nel mio caso si è sfogata in versi. Un idilliaco urlo poetico per quietare la tempesta.
Qual è il tema principale di questa raccolta?
Faccio fatica ad individuare un tema che primeggi sugli altri, poiché credo di aver sfiorato davvero tante tematiche, al punto tale che solo sfogliando a casaccio una singola poesia riesca a risalire ai concetti cardine analizzati. La raccolta si presenta come tripartita e i titoli gettano di per sé le macro aree di riferimento. La Vita, analizzata nella sua essenza, in quanto tale e per ciò che è: una disinteressata descrizione della realtà – dal mio punto di vista, è chiaro. Una vita biologica, fisiologica, ma anche spirituale, energetica. Anima, mente e corpo. La vita come dono, come miracolo, come opera perfetta, prima ed ultima, di un’Artista di cui l’uomo si chiede e si domanda, sin da quando è stato messo al mondo, chi Egli o Esso sia. L’Amore, un amore vissuto, un amore cercato, un amore sofferto, un amore che ha insegnato ad amare e ad essere amato, un amore che ha gettato le basi di una continua ricerca della bellezza, un amore mosso dal sogno dell’amore stesso, un amore che ha spianato la strada dell’ascolto, di sé stessi e dell’altro. Un amore concreto, reale, assaporato e gustato fino in fondo. Un amore che ha mostrato l’importanza dell’Amore con la A maiuscola, accantonando l’egoismo, per un Sé migliore e per un mondo migliore. Un mondo in cui se tutti riuscissero a “vedere sé stessi negli occhi dell’Altro”, allora si riconoscerebbero realmente come parti di un Tutto. Ciascuno differente, eppure ciascuno uguale all’altro nel profondo. Ci differenziano soltanto livelli di evoluzione, di comprensione, di esperienza. Nulla più. E poi la guerra. Una guerra che, è chiaro, non è di certo una di quelle combattute con le armi. È una battaglia con sé stessi, un’infinita lotta di sé contro sé e del sé contro sé contro gli altri. Non essendoci adeguato spazio per la cooperazione, per la comprensione e l’altruismo, in un mondo che ci rende schiavi senza che ce ne accorgiamo, perennemente in competizione gli uni contro gli altri, in preda alle nostre manie, alla nostra smania di affermazione, di potere, sopraffazione, non resta che un perenne conflitto combattuto con sé stessi e di riflesso contro gli altri. Siamo persi in una società prossima al tracollo. Il primo passo per risalire la china è guardarsi allo specchio, osservarsi per ore, mettersi in discussione, analizzarsi e se necessario giudicarsi. Non troppo, il giusto. Se il giudizio sarà severo, allora sarà proporzionato alla propria essenza. Sarà comunque positivo, un punto di partenza per essere migliori. Alla luce di ciò, se proprio volessimo provare e definire un tema univoco, forse il tema in questione è la ricerca. Una ricerca costante, senza tregua, senza pace, un viaggio interminabile che non avrà mai fine. La ricerca si pone come tragitto e come meta. Un percorso verso la scoperta di sé, del mondo e di sé nel mondo.
Come definirebbe il suo stile di scrittura?
Credo che la definizione più appropriata sia quella di uno stile a schema libero. Le poesie di questa raccolta non seguono uno schema preimpostato né tantomeno aspirano alla costruzione di una particolare metrica. La priorità risiede nel concetto, nel messaggio che si vuole trasmettere, in ciò che si vuole descrivere ed ogni singola parola ha il suo peso in tale senso. La ricerca sta nella parola giusta da apporre al verso giusto. Lo schema è libero e non può non essere tale per il semplice fatto che è a partire dal concetto che si sviluppa e prende forma lo schema stesso. In qualche modo è come se tutto assumesse una naturale struttura conformemente al concetto di riferimento. Eventuali metriche nascono quasi per caso, come se non ci fosse altra possibilità se non quella parola specifica in quel punto particolare in grado da creare quella particolare sinfonia e produrre quell’eventuale specifica metrica. Lo stile è la forma, la parola è il concetto. Essendo il concetto il nucleo fondante, lo stile deve essere libero per adeguarsi e vestire al meglio ciò che mette in mostra.
C’è una poesia in questo libro che la rappresenta maggiormente? Perché?
Ogni singola poesia è un’estensione di me. Non c’è una poesia meno importante di un’altra, in quanto in ciascuna sono proiettate frazioni della mia essenza. Premesso questo, ci sono due poesie in particolare che contengono le fondamenta di questo scritto.
La prima di queste è sicuramente: PRESENTE (Vita, p.24)
Ci rifugiamo nel passato,
quando sconsolati cerchiamo di razionalizzare
le gioie e i dolori del tempo che va.
E ci rifugiamo nel futuro,
quando insoddisfatti della nostra condizione
ci blocchiamo dinanzi un presente incerto.
Con la mente vaghiamo
In un libo di memorie e fantasie,
dimenticandoci forse troppe volte
che non siamo che eterno presente.
L’hic et nunc è il nostro imperativo,
perché la durata di questa vita,
quaggiù in questo ovile,
non è nulla più che una stella cadente
nella mirabile sinfonia dell’universo.
Questa poesia ha qualcosa di speciale, soprattutto per il fatto che ha rappresentato l’ultimo ostacolo prima di avviare definitivamente il processo di pubblicazione dell’opera. Pur essendo stata una delle prime scritte, in realtà è stata l’ultima che fino in fondo è rimasta lì, in attesa di “giudizio”, di analisi. E alla fine è stata lasciata così, come venne inizialmente scritta, senza modifica alcuna. Questa poesia è importantissima perché è la manifestazione di quel motivo primo di ispirazione di cui accennavo agli inizi di questa intervista: la sofferenza. All’interno di questa poesia troviamo tre concetti chiave, tutti legati al tempo e alle sue dimensioni percettive: il passato, il presente e il futuro. Quando non siamo in grado di spiegare qualcosa che ci è accaduto, di riflesso la nostra mente inizia a razionalizzare ogni singolo evento, accadimento, azione, parola – ciascuna legata al passato – con l’intento di motivare l’accaduto, per dare un senso a tutto, per spiegare il perché di ogni cosa. Quando invece siamo piuttosto consapevoli del nostro passato, ma al tempo stesso insoddisfatti della nostra vita, della nostra condizione, la mente trasforma la razionalizzazione in fantasia, proiettando pericolosamente in avanti, nel futuro, le nostre paure, le nostre insoddisfazioni, sperando di trovare in ciò che verrà la pace, la gioia, la serenità. In entrambe le circostanze l’Io è messo a dura prova, perché è messo all’angolo, alle corde, colpito alle costole dal passato e preso a pugni in faccia dal futuro. Ma il presente? Il presente non viene vissuto. Non si riesce a cogliere l’attimo, il carpe diem, l’hic et nunc, il qui ed ora. Non si riesce a vivere con leggerezza il presente perché si è oppressi da un passato che non è stato accettato e che di riflesso genera proiezioni fantasiose verso un futuro nel quale si ripone ogni speranza. E tutto questo è aggravato dalla concettualizzazione, dalla consapevolezza dell’errore e dalla volontà per certi aspetti di commetterlo. Quando in realtà non siamo che eterno presente, […] nulla più che una stella cadente nella mirabile sinfonia dell’universo.
La seconda poesia è invece : LUNA BLU (Amore, p.43)
Millenni di vita e la storia ancora si ripete,
poiché ciclico è il movimento
degli spiriti del mondo.
Maestosi e possenti i due giganti
si mostrano nel cielo
squarciando la tela stellata
dipinta dalla mente del Tutto.
Nel mezzo la Luna s’affaccia,
delle quattro è la terza
e bluastra risplende.
Fissandola in viso sogghigna
L’Ercole moderno,
in lei ricerca le risposte
delle dodici croci.
Impervio è il cammino dell’eroe
dal cuore trafitto,
ma dolce è la convinzione
di un amore segnato dal destino.
Questa poesia racchiude nei suoi versi in maniera clamorosamente sincretica le tematiche più ricorrenti dell’intera raccolta. La passione per l’astronomia e per l’astrologia, i richiami agli astri, alle stelle, all’universo. Il titolo di questa poesia descrive l’evento astronomico del 22 agosto 2021. Stiamo parlando della terza luna piena in una stagione che ne ha avute quattro, quando di solito sono solamente tre (“delle quattro è la terza”). È un evento che si verifica ogni 2-5 anni e il nome deriva da tradizioni appartenenti al mondo anglosassone, dove viene chiamata Blue Moon. I “due giganti” che si mostrano “maestosi e possenti” sono Giove e Saturno, in quella circostanza astrale nel loro punto di massima visibilità ed entrambi in opposizione al Sole. Il richiamo alla spiritualità, all’ultraterreno, al ciclo delle morti e delle rinascite: “ciclico è il movimento degli spiriti del mondo”. Questo verso sottende un concetto cardine delle antiche filosofie dello Spirito: la reincarnazione. Il movimento è ciclico e “la storia ancora si ripete”, di nuovo, ancora. È l’eterno ritorno dello spirito nel corpo, dello spirito nel mondo. Il concetto filosofico-spirituale per eccellenza, ciò che da sempre l’uomo ricerca e che per sempre continuerà a cercare. Lo si chiama Dio, lo si chiama Universo, lo si chiama Tutto. I due giganti si mostrano vividi e limpidi come non mai squarciando di prepotenza “la tela stellata dipinta dalla mente del Tutto”. L’universo concretamente inteso, indagabile oggigiorno come non mai, viene palesato come figlio di un Dio. Cotanta perfezione deve essere figlia di qualcosa di perfetto e superiore, se non essa stessa la Perfezione, la Deità, il Tutto. L’Ercole, l’Ercole moderno, questa figura che compare a più riprese e che altro non è se non la proiezione dell’Io in una figura mitologica, possente, semidivina, forte, coraggiosa, intelligente, pronta a tutto, anche alla morte, anche alla sofferenza. L’Ercole, dinanzi questo spettacolo divino di congiunzioni astrali, guarda dritto negli occhi la luna e “sogghigna” e “in lei ricerca le risposte alle dodici croci”. Dodici erano infatti le fatiche del possente Eracle. La sofferenza, poiché “impervio è il cammino dell’eroe”. Vi è un percorso da compiere giunti a un certo punto, preso atto e coscienza di determinate condizioni, di determinati stati di cose, abbracciate particolari convinzioni a tal punto dal farle credenze, inizia un lastricato percorso verso una rinascita di sé stessi, verso una nuova vita. E poi l’Amore, che tutto muove: “ma dolce è la convinzione di un amore segnato dal destino”. Perché se è vero che il destino può spianare la strada dell’amore, è altrettanto vero che l’amore può creare il destino stesso.
C’è un poeta che ha particolarmente influenzato il suo lavoro? In che modo?
Questa è la più semplice: no, non c’è alcun poeta che abbia influenzato le mie poesie. E questo in realtà non mi stupisce, perché io stesso non sono mai stato un grande amante di poesie, nonostante oggi la poesia sia la principale forma attraverso la quale il mio pensiero si rifletta. Sono sempre stato appassionato agli studi, alla scrittura, ma questa era sempre legata esclusivamente all’ambito accademico. Un giorno decisi di iniziare a scrivere un romanzo, un’autobiografia romanzata per l’esattezza, ma dopo poco s’interruppe tutto. Non scrissi nulla per mesi e poi, con mio stesso grande stupore, la prima poesia. È uscita così, doveva uscir fuori. Da lì un continuo.
Con queste parole si conclude l’interessante intervento di Enrico Lanza sul suo libro “Dodici mesi nell’inconscio”. È stato un piacere per noi ospitarlo nel nostro blog e speriamo di rivederci presto, magari per il prossimo libro. Buona lettura e alla prossima intervista.