Benvenuti a questa nuova intervista del nostro blog, oggi avremo il piacere di parlare con Alfredo Frezza. Siamo sicuri che questa sarà un’occasione unica per conoscere meglio questo talentuoso scrittore e scoprire qualcosa di più sulla sua nuova opera “La montagna degli scheletri”.
Come è nata l’idea per questo libro?
Ho ascoltato nel corso degli anni le storie più disparate sul sentimento dell’“amore”, raccontate sempre con molta enfasi. Una mi ha particolarmente colpito: la storia di un uomo, dall’aspetto sommesso e certamente non definibile un Adone, che voleva a tutti i costi troncare con la moglie, nella illusione che una sua vecchia fiamma, che risiedeva in un’altra città, fosse disposta a ricambiare la passione ossessiva che provava per lei. Dopo alcuni mesi lo rincontrai e mi riferì che quella sua illusione era rimasta tale perché anche la donna che riteneva l’amore della sua vita stava vivendo una situazione uguale alla sua nei confronti però di un altro uomo. Convenne alla fine che il suo era stato solo un sogno. Mi resi conto che quel ritorno alla realtà non era stata una prova facile per una persona che per molto tempo aveva vissuto in bilico tra un rapporto che probabilmente era diventato stanco e privo di novità e il desiderio di una avventura che avrebbe potuto dare nuova linfa alla su vita. Avevo avuto la percezione di trovarmi di fronte ad un’anima in pena stretta nella morsa fra egoismo ed amore. Ho cercato di immaginare il turbamento dell’animo e il groviglio di sentimenti che lo penetrano in una situazione simile, sia in un uomo che in una donna. Intorno a questo spunto è stata costruita la raffigurazione di vari personaggi prevalentemente femminili che sono le vere protagoniste di un romanzo contornato da tante altre storie parallele, ove è raffigurata la vita con tutte le sue miserie e contraddizioni, intrisa di amore e odio, falsità e bugie.
In questo romanzo incontriamo molti personaggi, qual è stato il suo approccio alla creazione dei personaggi del suo libro?
Una domanda apparentemente semplice ma allo stesso tempo complicata. L’ispirazione è emozione, è ricordo, è vissuto. Quindi potrei dire che ciò che mi ha ispirato per la creazione dei personaggi sono flash della mia vita. Ho avuto la fortuna di avere una famiglia molto unita ove a casa di mia nonna la sera erano solito riunirsi i miei genitori, gli zii paterni e materni. Ognuno amava raccontare storie del passato, ricordi, nostalgie, sogni realizzati e non propri e di conoscenti, pennellando così una varietà di personaggi, alcuni strani altri stravaganti, del piccolo centro ove vivevamo. L’ambiente da me descritto è quindi il contrario del metaverso, è una realtà ristretta, un universo reale, dove le persone vivono, lavorano, interagiscono e spesso si scontrano. Tutto avviene non per mala fede ma solo perché se non apri la porta di casa anche agli estranei non ti evolvi, non dischiudi la mente, ignori cos’è il mondo vero.
Qual è stato il suo processo di pianificazione della trama di questo libro?
Nel momento in cui mi venne l’idea di mettere su carta il romanzo avevo davanti agli occhi due personaggi principali (un uomo ed una donna) e il loro diverso approccio al tema dell’amore. Null’altro era già deciso per cui nella stesura dei capitoli, di volta in volta pescando nel sacco dei ricordi, introducevo nuovi personaggi e storie di contorno, prendendo spunto dai racconti serali degli anziani di famiglia che avevano stimolato la mia fantasia. Ma è risaputo che l’amore è un sentimento forte, che presenta tante sfaccettature, per cui non poteva mancare nella storia una vena di “giallo”, per una persona che come me ama questo genere letterario. Pensai che sarebbe stato accattivante per il lettore trovarsi calato in un piccolo centro dove non solo spopolavano i pettegolezzi ma che nella realtà nascondeva, dietro la facciata di luogo rassicurante, vicende umane spesso raccapriccianti. Quindi, capitolo dopo capitolo, veniva aggiunto un tassello da incastrare nel puzzle che avrebbe dovuto portare alla conclusione del lavoro.
Quanto incide l’ambientazione geografica nell’evolversi della trama?
L’ambientazione geografica è forse il cuore pulsante della trama del libro. Ho sempre amato i piccoli borghi, in particolare quelli arroccati sul mare. Avere lo sguardo rivolto all’infinito consente alla mente di spaziare senza limiti, dipingendo con la fantasia luoghi e personaggi, protagonisti di storie immaginarie. Un piccolo paese di pescatori costruito, non si sa come, su uno spuntone di roccia dall’aspetto inaccessibile, racchiude nel suo scrigno scorci incantevoli, antri apparentemente nascosti, discese e salite che rispecchiano la vita che vi viene vissuta, i suoi abitanti, i loro pregi, le loro miserie umane, in un alternarsi infinito di gioie e dolori. Ne ho visitati molti di questi borghi e anche se sembrano assomigliarsi tutti ognuno cela delle sorprese che portano inevitabilmente ad innamorarsi di quel luogo.
C’è una scena del suo libro che le è particolarmente cara?
Per me è un po’ difficile individuarne una perché mentre le immaginavo nella mia mente mi affrettavo a descriverla su carta. Tutti i personaggi coinvolti nel racconto li ho sentiti vivi partecipando quasi come un regista alle scene che via via rappresentavo. Devo dire però che la scena che mi ha quasi commosso rileggendola è l’invito a pranzo di Marco, uno dei protagonisti, a casa delle donne che gli avevano offerto ospitalità. Le due anziane signore che si affannano per cucinargli un pranzo speciale e farlo sentire come a casa sua e allo stesso tempo si punzecchiano per accattivarsi la sua simpatia. Un modo per colmare il vuoto intorno a loro e la disperazione della solitudine che, nonostante tutto, attanaglia quel posto quasi dimenticato da Dio.
Alfredo Frezza è stato un ottimo interlocutore e desideriamo ringraziarlo per il suo intervento. Vi invitiamo ancora una volta a leggere “La montagna degli scheletri” e vi aspettiamo, come di consueto, per la prossima intervista. Buona lettura.