Quando si parla di letteratura del Novecento sono molti i grandi autori che rappresentano quella italiana e sono tante le domande e le curiosità che si annidano nella mente dei lettori. È fondamentale, per trovare le giuste risposte, affidarsi a chi ha dedicato tanti studi e ricerche per rendere accessibili i campi del sapere più ostici. Il libro “Oltre la storia Percorso nell’opera di Elsa Morante”, pubblicato dal Gruppo Albatros è il frutto del lavoro e delle considerazioni dell’autrice Elisa Lizzi, con la quale abbiamo dialogato a lungo, con risultati che ci hanno molto soddisfatto. Diamo la parola alla nostra autrice.
Come è nato il suo interesse per Elsa Morante?
Il mio interesse per Elsa Morante si inserisce nel più ampio interesse per la cultura contemporanea, quella del Novecento. Dopo aver attraversato tutta la storia letteraria italiana negli anni di insegnamento nei Licei, ho scelto di scrivere su autori del nostro tempo, anche perché le figure del passato sono ormai fin troppo autorevoli, grazie alla lunga esegesi critica, per permettere ulteriori originali interpretazioni. Ho pensato che sulla cultura contemporanea potevo esercitare le mie doti di lettrice autodidatta ed esprimere delle opinioni, frutto del mio studio personale. Il mondo contemporaneo vede il convergere nella letteratura di tutte le problematiche, prima canalizzate in diversi generi e codici linguistici, così che nell’opera letteraria c’è il respiro del mondo; filosofia, scienza, psicologia, antropologia, costituiscono il fondamento di ogni percorso letterario.
Entro questo orizzonte, poi, le mie scelte vanno a quegli autori che vogliono offrire impegno e non evasione, anche a costo dell’insuccesso e dell’incomprensione. Due dei miei libri, infatti, trattano la poetica di Anna Maria Ortese ed Elsa Morante, due autrici non ben apprezzate anche per le loro scelte linguistiche, non comprensibili al vasto pubblico; per la Morante faccio riferimento all’ultima fase , che si distingue da quella unanimemente acclamata dei best-seller. Ritengo che la scelta linguistica non sia espressione di un desiderio velleitario, ma una ragione di necessità e, quando un’opera si nega ad un vasto pubblico, lo fa perché vuole dire cose di per sé ineffabili per verità e profondità. Il linguaggio letterario, soprattutto nel nostro tempo, cerca un valore connotativo che lo distingua dalle forme d’uso comune e soprattutto da quelle consumistiche pubblicitarie tese al vuoto non-senso, per recuperare un senso primo ed originario, il cosiddetto Sagen, il linguaggio vero secondo il filosofo Heidegger.
Con Elsa Morante e Anna Maria Ortese ho voluto affrontare la letteratura femminile, da cui fare emergere le tematiche peculiari all’essere donna , in un tempo in cui è sembrato che non ce ne fossero e che le direttive per il successo dovessero essere sempre di genere maschile. Le due autrici corrono affiancate e ad esse, nel ricorso triadico entro il panorama letterario italiano, si può aggiungere Natalia Ginzburg. Possiamo rintracciare in esse una storia diversamente declinata, facente capo all’essenza dell’umanità, alle sue componenti naturali: la Natura, la vita, la famiglia, la creazione, l’amore. Se queste sono le realtà di base, vanno protette e non profanate con altre Ragioni che aspirano ad imporsi come nuove guide. Il problema della salvezza del mondo viene posto dalle due autrici in un senso autentico che sconfina nel religioso, non ha nulla di retorico come nel programma settoriale dei politici ed economisti; se mai è un’utopia illuminante come tutte le utopie, a partire da quella di Platone, in cui il passato mitico non vale come tempo falso di una favola, ma tempo di innocenza e comunanza con gli dei. Volendo porsi questo arduo problema, quanto mai attuale, le due autrici, piuttosto che aggredire criticamente il presente, hanno creato delle isole mitiche in cui ambientare una vita naturale alternativa; hanno supposto che tale dové essere la vita originaria, conforme al tempo lungo e ciclico della natura e unica per tutte le specie senza alcuna separazione. La figura femminile campeggia in queste oasi primigenie, facendo rifulgere, anche attraverso l’eterna metamorfosi, la creatività della natura che partorisce delle differenze e mai delle disuguaglianze.
Anna Maria Ortese mi ha richiamato Elsa Morante, per la capacità di contemplare, soffrendone, il destino dell’umanità, con occhi materni, quelli della Natura stessa in cui hanno saputo immedesimarsi.
In questa ottica non sono stati i romanzi più accreditati della Morante ad interessarmi, ma l’ultima produzione meno compresa e a volte bollata come inferiore, quella successiva al best-seller La Storia. Infatti la maggior parte dei saggi contenuti nel mio libro appartengono ai temi impliciti nei Poemi in versi, che per me rappresentano il “sublime” realizzato. Il linguaggio diventa poetico, tragico, innografico, illuminato da echi fonetici e retorici, proprio per essere all’altezza dell’Universo umano e divino in cui si innesta l’apparizione dell’uomo e tutto il mistero della Storia. La forma poetica costituisce l’approdo del percorso conoscitivo della Morante come della Ortese. Nel momento poetico e profetico della loro arte esse si sollevano al di sopra della razionalità commerciale calcolatrice del nostro tempo, e rivelano quel “di più”, quell’oltre che non possiamo attingere, ma almeno gustare nell’arte.
Come si è preparata per scrivere il libro?
La mia preparazione è la mia stessa cultura, quella che ho accumulato nello studio finalizzato all’insegnamento , cui si è aggiunta e sempre continua ad aggiungersi quella più disinteressata e personalmente illuminante da autodidatta. La cultura, nel processo di interiorizzazione, diventa comprensione, sensibilità, creatività. Una lettura, come pensano le persone che la praticano, e cito un intellettuale come Friedrich, non rimane inerte, diventa ispiratrice di nuove creazioni, come risposte personali e dialogo con l’autore che ci ha ispirato. Infatti Calvino, nel descrivere le varie modalità del leggere, evidenzia anche il lettore che non riesce a procedere e deve interporre pause di riflessione ed immaginazione personale.
Nel mio lavoro di insegnante preparavo le lezioni scrivendo dei canovacci, e talora dei piccoli saggi che conservo in una cartellina. Le ore serali dello studio erano le più gioiose della giornata, in cui la mia vita, fermentata dalle voci dei poeti e scrittori, raggiungeva una beata pienezza. Naturalmente la scrittura di un libro non può essere paragonata al piccolo saggio- canovaccio, richiede impegno prolungato, una tensione che non può allentarsi e va sempre riaccesa. Alla base, comunque, c’è sempre una tensione, che si manifesta come volontà di interpretare un messaggio celato che si vuole portare alla luce; si vuole condurre un dialogo con una persona speciale, simile a noi, ma più edotto nelle problematiche esistenziali che generosamente vuole porgerci. E’ quella gioia di interpretare a cui allude Emerigo Giachery, non diversa da quella del creare, perché il critico non svolge un lavoro freddo e pedissequo, ma, interpretando le parole altrui, le colora e le ricrea secondo un senso che forse va al di là delle intenzioni dell’autore, diventa, cioè, anche lui filosofo e poeta.
Questa premessa può illustrare il mio metodo di lavoro, che, ad ogni pubblicazione, passa attraverso varie fasi, con cerchi concentrici che si allargano. Una prima lettura serve di orientamento, la seconda, più articolata e mirata con sottolineature nel testo, prepara il ventaglio delle misure, la tipologia e qualità dei saggi da scrivere, e , ovviamente, il completamento della conoscenza dell’autore. La terza fase, la più operativa e accurata, è la messa in opera del progetto, con la scrittura dei testi rispondenti ai motivi-titoli. Ogni saggio, in quanto portatore di un problema, è un germe di fermenti creativi e uno stimolo di ricerca. Abbisogna, infatti, di idee ben maturate e di adeguate citazioni di appoggio, che presuppongono un capillare approccio intertestuale, conforme alle doti del critico.
Tale tipologia operativa è stata seguita anche nello studio di Elsa Morante; devo ammettere che non è stato facile giungere alla stesura del libro per i molti interrogativi che mi si presentavano sullo stile dei suoi romanzi apparentemente simili alla narrativa ottocentesca , motivo per cui mi sembrava di non cogliere la sua originalità, a meno che non risultasse errata la mia interpretazione. Ad incoraggiarmi ed ispirarmi è stata la lettura dei Poemi, ultima fase della produzione dell’autrice; da essa è scaturita la fase progettuale, nella forma di piena adesione emotiva e lirica; questa ha ribaltato le prime intuizioni, suggerendomi una quantità e qualità saggistica prima non ipotizzata.
Come è strutturato il suo libro?
Il libro Oltre la Storia, percorso nell’opera di Elsa Morante, di cui si tratta, è articolato in 16 testi, corrispondenti alle problematiche da me individuate e riassunte nei titoli; il titolo complessivo del libro segnala il mio interesse per la produzione morantiana successiva a La Storia, per cui circa sei dei sedici testi riguardano questo ambito, e il best- seller funge quasi da spartiacque tra la produzione narrativa e quella poematica, tra una visione storica e una metafisica. Tuttavia la seconda parte del titolo non elude un percorso nell’opera tutta dell’autrice, necessario per un confronto intertestuale e una motivata finalizzazione.
L’ordine dei saggi all’interno del libo non riproduce quello seguito nella scrittura; quelli che appaiono per primi, sono stati gli ultimi ad essere pensati, quando l’opera della Morante era stata assimilata e focalizzata, tanto da individuarne la progressione e gerarchia dei valori. Ho colto nella scrittura di Elsa Morante un trapasso dal mondo storico esistenziale a quello cosmico universale, in cui la storia del singolo acquista senso nell’infinita vicenda del tutto.
Dal titolo dei testi si può rilevare un interesse etico- filosofico più che linguistico- letterario; le conoscenze letterarie, depositate nelle citazioni, provenienti da vari ambiti ed epoche, a partire dal vasto bacino della cultura classica, hanno la funzione di motivare l’interpretazione, che non viene mai persa di vista con pause fuorvianti.
Quali sono i futuri progetti di scrittura?
Il mio impegno di studio procede in modo articolato, non unidirezionale, ma neppure dispersivo. Posso alludere alla presenza di tre tavoli simbolici che richiamano i famosi tavoli della casa del Pascoli; se in casa Pascoli essi erano veramente presenti, per me sono evocazioni letterarie, per indicare un’attività non uniforme, ma poliedrica, che tiene dietro alle circostanze e ai percorsi culturali emergenti. Attualmente sono in progetto un romanzo e un testo saggistico sul poeta Giovanni Giudici.
Il romanzo ha carattere autobiografico come il precedente, Con la festa nel cuore, ma utopico piuttosto che memoriale, come se le stesse memorie si rigenerassero in un possibile futuro e il borgo d’altri tempi tornasse a ripopolarsi. Con questo romanzo vorrei trasmettere quella nostalgia di vita autentica ed umana, di cui si sente il bisogno nella fredda organizzazione tecnologica del nostro tempo; solo una narrazione può accendere le emozioni dell’uomo economico e tecnologico e prospettargli una svolta. Lo sfondo autobiografico rimane per me una scelta indiscutibile, perché la storia è sempre quella vissuta dall’uomo nella sua vita; ho accolto sempre la scelta proustiana e la motivazione che la ispirò: il romanzo storico non può cogliere la vita vera, ma solo la successione generica degli eventi, mentre le scene della vita personale possono dare colore e senso ai fatti.
Per quanto riguarda la saggistica, ho ripreso i miei studi della poesia di Giudici, per concluderli in una sintesi ultimativa. Mi sono sentita in dovere di dare una risposta a quanti hanno trovato nella copertina dei miei libri notizia del mio interesse per questo poeta, ma non ne hanno visto alcuna concretizzazione. L’interesse per Giovanni Giudici ha avuto una lunga gestazione, ma discontinua e frammentata nel tempo; la difficoltà interpretativa, legata ad un linguaggio nuovo, ora provocatorio, ora iperletterario, mi stimolava ma mi lasciava anche un senso di impotente frustrazione. Nell’ultimo anno ho sconfessato tutti i miei precedenti canovacci. per riprendere l’interpretazione con occhi mutati e una maggiore preparazione; ho riformulato le mie opinioni critiche con una metodologia attenta ai vari livelli del suo testo poetico, per essere all’altezza della situazione.
Entrambi i lavori, narrativo e saggistico, stanno per essere conclusi; sono io che voglio porre il termine, perché essi preferirebbero crogiolarsi sui loro rispettivi tavoli infinitamente, come pensava Borges.
Il terzo tavolo è quello più operativo, anche se non vedrà mai la luce; è quello propedeutico ad ogni pubblicazione, dove si accumula il materiale, per leggere, pensare, citare. Ogni giorno si riempie di libri che vengono dalla libreria, a tarda sera si libera dei libri che vengono rimessi al loro posto; ogni giorno assiste, anzi è il primo a prenderne nota, al lavoro di raccolta dati del cervellone per ritrovare la sua pace dai clic della tastiera solo a tarda sera.
Qual è il target di lettori per il suo libro?
Da sempre lo scrittore ha immaginato il suo lettore o la fascia di lettori a cui rivolgersi e ai cui gusti corrispondere. Ma, nel tempo dell’industria culturale e della comunicazione di massa, diventa difficile tale decifrazione in conformità con la tipologia di scrittura praticata.
L’espansione dell’intrattenimento affidato ai nuovi media, riduce l’interesse per i temi legati al pensiero e alla ricerca. I testi saggistici di argomento letterario- filosofico associano difficoltà a difficoltà, l’una legata alle conoscenze letterarie, l’altra all’interpretazione critica che di esse si fa.
Il mio lettore ideale dovrebbe essere persona colta e competente, non quello che semplicemente “sa leggere e scrivere”, che non cerca letture evasive ma impegnative, che fa della lettura un’ occasione di studio e di elevazione spirituale; potrei definirlo un autodidatta, che cura per tutta la vita la sua formazione, e quindi non si accontenta di procedere nella lettura, ma si ferma a formulare opinioni e cerca nella saggistica critica dialogo e raffronto; questo lettore non legge nei ritagli di tempo e luogo, ma nel silenzio di una stanza- studio, munito di carta e matita ( come il famoso lapis del Pascoli) per sottolineare, prendere nota, creare suoi canovacci. Del resto anche Calvino, censendo le varie categorie di lettori, riconosceva anche questa che io porto a modello.
L’ambiente, dove collocherei i miei libri, è la Biblioteca abbinata a vari istituti culturali anche scolastici, dove i libri non aspirano ad essere letti velocemente, ma a diventare patrimonio di una società.
Concludiamo questa intervista ringraziando Elisa Lizzi per il suo tempo e per aver condiviso con noi alcuni spunti interessanti sul suo nuovo libro “Oltre la storia Percorso nell’opera di Elsa Morante”. Speriamo che i nostri lettori abbiano trovato utile questo scambio di idee e che decideranno di leggere il libro di cui abbiamo parlato oggi.