Benvenuti nel nostro blog, oggi abbiamo il piacere di presentarvi Adriana Collura l’autrice del libro “Le luci dell’Aurora”. Speriamo che questa intervista vi aiuti a conoscere meglio la scrittrice e il suo lavoro; vi invitiamo a lasciare i vostri commenti qui sotto!
Qual è il tema centrale della sua opera?
Il racconto si concentra, in particolar modo, sul concetto di inclusione. Il tema dell’inclusione oggi è molto discusso in ambito scolastico, poiché mira ad avere una visione più ampia del concetto di “diversità”, non vista più come caratteristica di qualcuno ma come prerogativa, un diritto, di ciascun bambino. Ogni alunno, infatti, ha il diritto di mostrarsi per quello che è in funzione alle proprie attitudini, abilità ed inclinazione, al fine di seguire un percorso inclusivo, appunto, che spinge verso la valorizzazione delle proprie potenzialità che si arricchiscono e si determinano solo all’interno della dimensione gruppale (di classe). Ma il concetto di inclusione di cui tratta il libro, non i limita al contesto classe, bensì allarga il proprio orizzonte verso un’ottica globale; molto chiaro risulta, infatti, il tema dell’immigrazione e del pregiudizio verso il medesimo fenomeno che è possibile superare solo sviluppando capacità empatiche sin dalla tenera età.
Come nasce la scelta dell’ambientazione e della personificazione dei personaggi?
La scelta di Stryn quale ambientazione che vedrà concretizzare le azioni dei tre protagonisti del racconto, è motivata da un viaggio. Nell’agosto del 2019, infatti, io e mio marito abbiamo fatto un viaggio proprio verso i luoghi incantati che caratterizzano i fiordi norvegesi e tra questi proprio Stryn ha catturato la mia attenzione, nonché la mia fantasia, sino al punto da poter descrivere con precisione ogni angolo di quel meraviglioso villaggio in cui vivono 50 persone circa. Stryn è proprio così come descritto nel racconto, un luogo dove la temperatura non supera mai i 20 gradi e le vette rimangono innevate anche in estate. Ma nonostante il freddo che caratterizza il clima, la gente è molto accogliente, semplice. La popolazione di Stryn vive in una dimensione atemporale per noi abituati al caos della città, sono molto legati alla loro terra e se ne prendono cura in modo dedicato. Per quanto riguarda i personaggi, ho pensato a Kim (tipico nome dei paesi del nord), la lepre, proprio per rappresentare la velocità e la freddezza del pregiudizio che costituisce impalcature contro l’accoglienza e la solidarietà. Teeny (dal nome di una tartaruga che avevo quand’ero bambina), invece, rappresenta apparentemente la tartaruga ingenua e fragile, vittima di un destino crudele, bullizzata dal più forte e per questo meritevole di compassione. Ma non è proprio così. Teeny è quel personaggio che rappresenta quanti hanno vissuto sulla propria pelle il dolore dello smarrimento, della perdita delle proprie certezze e sicurezze, di quanti, rimanendo nella solitudine, tentano ancora di ricercare una bussola che li riporti nel proprio spazio e nel proprio tempo senza, però, perdere mai la forza della sensibilità tipica di un cuore che sa sorprendersi di tutto e che riesce a guardare alla bellezza delle cose nonostante tutto, senza lasciarsi condizionare da rancori e rimorsi. Infine, Renèe è un nome che ho copiato dalla protagonista del romanzo di Muriel Barbery, L’eleganza del riccio. Entrambe le protagoniste hanno un aspetto che tutt’altro dice rispetto al loro mondo interiore. Renèe la civetta, infatti, gode di una fama infelice e invece la sua saggezza la rende capace di mediare tra il pregiudizio estremo e la sofferenza evidente, lasciando spazio a sentimenti che esulano il giudizio e si aprono alla crescita di relazioni che mettono al centro la diversità come valore e come ricchezza. Non ci si può scoprire migliori se non abbiamo di fronte la diversità che ci fa da specchio.
Quale personaggio del suo libro ha trovato più difficile da creare?
A dire il vero, ogni personaggio, man mano che veniva costruito, ha fermato la mia mano dalla scrittura, nel senso che per tutti e tre i personaggi ad un certo punto trovavo un blocco. La vera difficoltà è stata quella di cercare di definire con le parole al meglio ciò che rappresentavano, le emozioni che scaturivano dalle loro intenzioni. Tuttavia, superato il momento di impasse, la relazione tra i tre protagonisti compariva ai miei occhi scorrevole, come se ogni passo serviva a comporre il puzzle di un quadro che racconta come personaggi tanto diversi possano scoprirsi simili dopo aver sperimentato la paura e dopo, quindi, aver sperimentato e messo a nudo le proprie debolezze.
C’è un messaggio che vorrebbe trasmettere con il suo libro?
Assolutamente, si! Il mio messaggio è proprio quello del valore dell’inclusione. Ognuno di noi, grandi e piccini, dovrebbe essere messo nelle condizioni di scoprire la propria natura e dimostrarla. La scuola, ma anche l’ambiente extrascolastico, dovrebbero garantire un percorso educativo che miri alla scoperta di sé stessi e all’accettazione dell’altro pur ricercando e trovando punti di incontro necessari per una convivenza globale (e forse utopica) basata sulla valorizzazione delle differenze che ci dicono chi siamo e come possiamo contribuire al benessere materiale e spirituale collettivo, senza rimanere incastrati nelle spinose trame dell’egocentrismo, del pregiudizio e dell’egoismo.
Qual è il target di lettori per il suo libro?
Il libro si rivolge ad un pubblico di lettori in età compresa tra i 6 e i 10 anni circa. Bambini, quindi, che hanno sviluppato l’abilità di lettura individuale e di autoriflessione. Bambini capaci di comprendere il significato di un linguaggio che seppur semplice, contiene temi forti come quelli sopra citati. Tuttavia, mi piace pensare che questo libro è scritto per gli adulti pensandoli, però, bambini e questo perché molto spesso mi capita di discutere con adulti dotati di una conoscenza erudita ma, ahimè, fortemente ancorati al proprio io che rimane fermo nelle proprie convinzione privandosi, dunque, della possibilità di vedere altro (o oltre) e, quindi, di crescita. Al contrario, ogni volta che entro in una classe di bambini, e molto più con i bambini della scuola dell’infanzia, scopro persone affascinate di tutto, che vogliono scoprire tutto e per farlo pretendono di farsi aiutare dal compagno, che sorridono nel fare un girotondo, che si abbracciano indipendentemente dal colore della loro pelle, chiedono scusa senza forzature, che ammettono i loro sbagli, ridono e sono felici con poco e non si fanno mai problemi se nel loro gruppo entra un nuovo bambino o una nuova bambina, anzi organizzano una festa di accoglienza. Questo è quello che vedono i miei occhi quando sto con i bambini, e fratellanza è il sentimento che imparo da loro … e non solo. Mi chiedo, allora, sono proprio i bambini i destinatari di questo libro o da loro abbiamo solo da imparare? Io adotto la seconda soluzione.
Ringraziamo Adriana Collura per il suo tempo e per la sua disponibilità. Speriamo che il suo libro “Le luci dell’Aurora” possa incontrare il giusto favore del pubblico e della critica. Auguriamo a lei e alla sua carriera tutto il meglio!