
Mi lasciavo cullare. Fluttuavo con le onde, cercando di capire come dimenticare tutto per qualche istante e lasciar posto al niente assoluto. Era questo che volevo accadesse: abbandonare la mia mente al nulla. Se ci si lascia trasportare, con l’acqua che arriva al petto e le braccia larghe, la sensazione di vuoto è immediata; si tende a indietreggiare e avanzare col corpo, rimanendo sempre nella stessa posizione, in equilibrio; o almeno, si cerca di farlo. È gradevole. La sensazione è di appagamento. Davanti a me la spiaggia, qualche ombrellone e l’orizzonte che divide in due il mondo. Così ero anch’io: diviso in due, spossato. Era l’ora migliore per trovarsi in quel paradiso. Erano ormai le otto di sera; il sole tramontava e la giornata chiedeva d’esser scritta. Da qualche anno trascorriamo la prima settimana d’agosto a Corfù, e anche quest’anno, dopo tutto quello che abbiamo passato, si è deciso di trascorrere le vacanze lì, come se nulla ci avesse sfiorato. Forse era ciò che serviva, ho convinto io il resto della famiglia. Bisognava evadere e rivedere lo splendore di quest’isola greca; la meno greca di tutte, la più europea e più adatta a noi. In certe zone è ancora selvaggia; si lascia lo scooter dove si può e ci s’incammina in luoghi incantevoli che non si vedono neanche nei documentari. Alle otto di sera, quando tutti erano già tornati su dalla giornata di mare, mi chiedevo se la vita m’avesse tolto o dato. Strano posto per porsi una simile domanda, ma dovevo fare i conti con il fatto che ormai ero messo a dura prova in situazioni in cui mai avrei pensato di trovarmi. Perché pensiamo che succeda sempre agli altri, che a noi non capiterà mai; crediamo che a fare del bene riceveremo del bene, che facendo le cose a modo ci sarà un ritorno. Non si fanno mai i conti con l’imprevisto: perché preoccuparsene? Ho camminato guardandomi sempre bene dall’inaspettato. Non l’ho mai considerato. Ho sempre ponderato ogni situazione di vita e razionalizzato tutto nella giusta misura, tenendo lontano l’errore. Sono stato responsabilizzato già d’adolescente: qualsiasi problema si dovesse risolvere, lo risolvevo; o meglio, lo risolvevamo, Chiara e io. Ma quel che è successo ci ha cambiato, lasciandoci una ferita aperta che non guarirà mai.
*
U2
Ho conosciuto Chiara al concerto degli U2 a Milano. Teatro Tenda, 4 febbraio 1985. The Unforgettable Fire Tour. Al Palasport erano previste quindicimila persone ad accogliere i quattro di Dublino, ma una nevicata straordinaria aveva fatto crollare il tetto del palazzetto e l’organizzazione aveva interrotto la vendita dei biglietti. Solo chi li aveva già acquistati avrebbe potuto assistere allo spettacolo, spostato al piccolo Teatro Tenda, nei pressi della fermata Lampugnano, linea rossa della metropolitana. Io ero tra quei fortunati. Appena suonò la campanella, intercettai in corridoio il bidello del piano, per avvisarlo che lasciavo la cartella sotto il banco. Lui, gentilmente, mi tirò uno scappellotto dei suoi, dicendomi di non preoccuparmi. Poi andai a mangiare a casa di Gianni, che abitava in zona Meda e aveva una madre tanto fantastica quanto apprensiva. «Ma che ci fate in quel posto lì fin d’adesso?» «Ci troviamo con gli altri. E poi si chiama Teatro Tenda.» Le tappe della mia vita sono legate a concerti. Da quel giorno non ho preteso altro dalla vita. Avevo tutto. Capelli neri lisci a caschetto e due occhi verdi che mi avevano anestetizzato; labbra dipinte di rosso ciliegia e un corpicino esile che chiedeva d’essere accarezzato e abbraccia- to. L’abbigliamento era perfettamente in linea con la serata: anfibi e chiodo che le donavano, jeans strappati, camicia a quadri rossi e neri e sciarpa scura allargata intorno al collo. Era con amici che facevano girare una sigaretta pesante, ma lei non sembrava interessata alla cosa. Mi fissava, forse perché io fissavo lei. Mi ero allontanato dal mio gruppo per dare uno sguardo alla bancarella delle magliette, ma quegli occhi mi chiamavano; non riuscivo più a staccarmi dalla loro vista. Quando s’è avvicinata a me ho provato imbarazzo, pensando mi dicesse di smettere di fissarla. «Mi sto annoiando.» «Ho notato. Vediamo se c’è qualche maglietta interessante?» È stata la prima frase che mi è uscita, ma non riuscivo quasi a respirare. Ero bloccato; non che fossi un imbranato con le ragazze, ma cominciavo ad avvertire le farfalle allo stomaco. «Sempre meglio di quella roba. Mi fa venire fame e mal di testa.» Si comportava come se ci conoscessimo da sempre. Provavo una sensazione unica. Di colpo Bono Vox non era più l’attrazione principale della serata. Pensavo di svenire e allo stesso tempo volavo. I nostri nomi non erano importanti, tant’è che in quel frangente non ci presentammo nemmeno. Era riuscita a sciogliermi parlando. «All’interno ci sono le magliette originali.» «A me piace tutto ciò che è originale… quella!» «Ok… Mi dai una S e una M?» Le abbiamo ancora, custodite al pari di un gioiello. Sono i nostri primi anelli. Trascorso qualche minuto, tutto avveniva con naturalezza, come in un sogno. Marco mi fece l’occhiolino e Gianni mi disse che ci saremmo visti dopo, come si faceva a ogni scappatella. Ma sapevo che lei sarebbe stata il mio completamento. A ini- zio concerto ci spostammo in fondo, lontano dalla calca. Le emozioni erano forti. Due anni prima avevo sentito War, e d’allora impazzivo per gli U2; ma la sorpresa di quell’incontro m’aveva totalmente eccitato. Mi sentivo a un metro da terra, perché intuivo che una magia stava per investirmi da un momento all’altro. All’inizio di Bad mi prese la mano e di lì a poco si mise davanti a me, poggiando l’orecchio destro sul mio petto. Sentiva il cuore battermi a mille. Ero un quindicenne paralizzato. Ogni giorno ringrazio per aver vissuto quel momento. Ogni giorno vivo con Chiara. (…)
Oggi parliamo del libro Gli opposti di Maurizio Montesuelli pubblicato con la nostra casa editrice Gruppo Albatros il Filo.
Noi del gruppo Albatros il Filo abbiamo avuto il piacere di poter intervistare Maurizio Montesuelli per conoscerlo meglio e scoprire qualcosa in più sul suo libro Gli opposti.
Riportiamo di seguito l’intervista all’autore, buona lettura!
- QUANDO NACQUE LA SUA PASSIONE PER LA SCRITTURA?
Ho sempre letto tantissimo e scritto a periodi alternati della mia vita, fino a che ho letto D’Avenia. Da quel momento mi sono posto l’obiettivo di scrivere un libro per far provare al lettore almeno un millesimo delle emozioni che fa provare lui leggendo un suo libro. Spero tanto di aver fatto centro.
- QUANDO HA AVUTO L’IDEA DI SCRIVERE QUESTA STORIA?
Circa 5 anni fa.
- COSA LE HA INSEGNATO?
Bella esperienza, sicuramente da ripetere. A scrivere si diventa più riflessivi.
- COSA LE PIACEREBBE DIRE AI SUOI LETTORI?
Dico che li ringrazio per tutte le note di merito ricevute e sono contento di coloro che leggendo il mio libro si sono riavvicinati alla lettura.
- COM’E’ STATA LA SUA ESPERIENZA EDITORIALE?
Per adesso molto positiva.
A noi del Gruppo Albatros il filo non resta che ringraziare ancora una volta Maurizio Montesuelli per averci dedicato del tempo e aver risposto alle nostre domande.
A lui va un grandissimo in bocca al lupo per il suo libro Gli opposti e per il futuro.
A te caro lettore auguro una buona lettura, ci sentiamo molto presto!
La vostra redattrice.