L’universo dell’autismo può sembrare silenzioso solo a chi non è disposto ad ascoltarlo davvero. In L’universo oltre il silenzio dell’autismo, Milena Filomena Gaudino ci accompagna in un viaggio autentico e toccante attraverso la sua esperienza come docente di sostegno, condividendo la profonda connessione costruita con L., un bambino con Autismo. Il libro è al tempo stesso una testimonianza, un manuale operativo e un invito alla riflessione, rivolto a insegnanti, educatori, genitori e a chiunque voglia entrare in relazione con il mondo neurodivergente in modo rispettoso ed efficace. In questa intervista, l’autrice ci racconta la genesi della sua opera, le motivazioni profonde che l’hanno guidata e le potenzialità delle “Storie Sociali” come strumento educativo.
Com’è nata l’idea di scrivere L’universo oltre il silenzio dell’autismo e perché ha scelto di raccontare proprio l’esperienza vissuta con L.?
Credo che, a volte, sia un libro a scegliere una persona che possa accoglierlo, per trasformare i pensieri e i vissuti in parole, così da arrivare nelle menti e nei cuori di chi leggerà, partendo da un seme piantato in alcuni incontri…Il primo è avvenuto molti anni fa, quando a scuola ho conosciuto L., un alunno con autismo, che ha lasciato un’impronta profonda in me, modificando le mie pregresse convinzioni relative alle diverse abilità, alla sfera emotiva e anche alle possibili forme comunicative. Con lui ho scoperto quante emozioni vivono e trapelano dai silenzi, o dei comportamenti complessi, e quanto sia fondamentale per l’essere umano, sentirsi accolto, compreso; ma per capire c’è bisogno di entrare in empatia e di conoscere. Allora ho pensato di far rivivere quanto ho vissuto, perché desideravo che si potessero comprendere alcune delle molteplici sfaccettature correlate allo spettro autistico; ma soprattutto volevo che si percepisse il potenziale umano che si nasconde proprio mediante un silenzio apparente. Al di là di un corpo c’è un abisso interiore, composto da una vita, un’anima, un cuore, perché dietro ad ogni persona non si cela un mondo, ma un universo… soprattutto oltre il silenzio dell’autismo, da cui deriva il titolo del libro. Ho ricevuto tre proposte editoriali per realizzarlo, ma ho scelto Albatros per pubblicarlo. L’idea di scriverlo nasce anche da altri incontri fortuiti…anche se, in fondo, penso che nulla accada per caso…Così un giorno, dopo aver concluso il percorso con L. ho rivisto un educatore del servizio di neuropsichiatria infantile che, nell’ambito di una determinata attività progettuale, aveva effettuato delle osservazioni a scuola, proprio quando preparavo, utilizzavo e rivedevo le storie sociali con il bambino. Ormai erano passati alcuni anni, per cui non credevo che ricordasse le modalità di lavoro che applicavo e le storie elaborate. Invece, in quell’occasione, ripercorse l’esperienza osservata e mi suggerì di pubblicare quanto avevo prodotto, ma non colsi l’input. In seguito, la Figura Strumentale della Scuola Primaria di Borgo Virgilio, che si occupava di disabilità e d’inclusione, mi consigliò di inviare il materiale realizzato ad una casa editrice, supportandomi costantemente, insieme ad altre Dirigenti, per intraprendere determinate progettualità. Successivamente la stessa Responsabile mi presentò una Psicologa, esperta di spettro autistico, che svolgeva un corso nel nostro Istituto Comprensivo. La Dottoressa, dopo essersi confrontata con me e aver visionato le centinaia di storie sociali, mi propose di scrivere un libro, in cui lei avrebbe curato l’aspetto clinico ed io quello didattico. Iniziai a scrivere, ma poi subentrarono alcune complicazioni nella mia vita e così lasciai passare un altro treno. Più tardi mi fu assegnato l’incarico come Relatrice per la formazione dei docenti, inerente alla strutturazione delle storie sociali e all’applicazione di esse in relazione allo spettro autistico. Al termine dei suddetti corsi, alcuni colleghi mi chiedevano consigli, mi inviavano i loro materiali affinchè mi confrontassi con loro, mi ponevano domande, e allora ho compreso che dovevo terminare quel progetto iniziato e salire su quel treno perso più volte…anche se il viaggio più interessante e travolgente l’ho vissuto con L. e forse per questo ho scelto di scrivere la sua e la nostra storia. Ero partita dall’idea che io dovessi insegnare a lui, e invece… con lui sono arrivata alla consapevolezza che da tutti possiamo imparare perché tutti abbiamo delle capacità e che, a prescindere dai ruoli, il sostegno è reciproco. Grazie a L. ho conosciuto e scoperto modalità alternative d’interazione e il potenziale espresso dal linguaggio del corpo, che talvolta si ignora perché, generalmente, il focus attentivo si pone sulla comunicazione orale, sebbene gli studi di psicologia affermino che quella paraverbale (tono della voce, timbro, ritmo, velocità, volume, sospiri, pause, ecc.) e non verbale siano prevalenti nella trasmissione dei messaggi e negli scambi comunicativi. Ma credo anche che, al di là delle suddette motivazioni, io abbia scelto di parlare di L., perché in fondo con lui ho superato tanti momenti difficili della mia vita e la vicinanza emotiva unisce le persone …e poi il resto si scoprirà leggendo.
Il suo libro si concentra sulle “Storie Sociali” come strategia didattica: può spiegarci cosa sono e perché si rivelano così efficaci?
In effetti nel libro ci sono diversi paragrafi dediti alle storie sociali, che costituiscono una metodologia attuabile, in prevalenza, con persone che presentano varie forme di autismo, o con chi ha delle difficoltà nell’ambito comportamentale. Premetto che, molti anni fa, quando l’èquipe socio sanitaria dell’UONPIA di Mantova mi consigliò di utilizzarle, io non sapevo come si strutturassero e non trovai delle descrizioni analitiche che mi indicassero come poterle realizzare, né i passaggi successivi da effettuare. Ero molto scettica nei confronti della strategia, dal momento che non trovavo una giustificazione logica che mi facesse comprendere per quale motivo potessero essere efficaci; ma mi stavo sbagliando perché consideravo soltanto il mio punto di vista e non quello di altre persone. Cercai di documentarmi, ma al tempo non c’era tutta l’attenzione che si pone attualmente sullo spettro autistico e gli spunti disponibili erano pochissimi. Di conseguenza, attraverso l’esperienza ho compreso come elaborare il metodo, per cui ho trascritto nel libro i fattori peculiari da considerare e i passaggi fondamentali per applicarlo. Le storie sociali sono la rappresentazione iconica di vicende reali, accadute in vari contesti, che riguardano comportamenti-problema e atteggiamenti positivi, assunti dalle persone con autismo, o che presentano discontrolli emotivi. Pertanto, un adulto per rinforzare condotte idonee o arginare quelle provocatorie, oppositive, di chiusura, ecc., può scrivere frasi semplici che ripercorrono tutti gli step dell’accaduto, ponendo, sotto ai chiari e singoli enunciati, le immagini che raffigurano le situazioni, inserendo le soluzioni possibili e concludendole con un’evoluzione positiva, per dare un rimando proficuo. Le rappresentazioni grafiche, anche se semplici, sono un aspetto prioritario, perché le persone con spettro autistico pensano per immagini. Ho inserito anche i miei stati di impasse e le mie imprecisioni iniziali, affinchè siano considerate per evitare l’inefficacia dell’intervento. Sono presenti indicazioni su come elaborarle ed esempi pratici. Le storie sociali sono valide sia per persone che presentano un alto che un basso funzionamento, poiché ho appurato l’efficienza nei diversi livelli cognitivi. A mio avviso costituiscono un metodo induttivo, perché le persone con autismo riscontrano difficoltà nel dedurre, anticipare e prevenire autonomamente le conseguenze, per cui le supportano in quei processi che risultano complessi. Sono idonee per ogni età, se opportunamente adattate alle specifiche esigenze e al formato più consono, in base alle caratteristiche individuali. Consentono di acquisire abilità sociali, autonomie, apprendimenti, modalità comunicative e di gestire situazioni emotive critiche, comprese quelle legate all’aggressività auto o eterodiretta. Pertanto, non possono essere ritenute strategie soltanto didattiche, perché esse sono proponibili e funzionali in ogni contesto: familiare, sportivo, scolastico, ricreativo, ludico, lavorativo, ecc. consentendo una progressiva evoluzione finalizzata al miglioramento della qualità di vita individuale, perché ognuno ha diritto di vivere la sua vita nel miglior modo possibile.
Quali sono, secondo lei, gli errori più comuni che si commettono nell’approccio all’autismo in ambito scolastico?
Purtroppo, è possibile sbagliare, dal momento che non potrà mai esistere un manuale ad hoc da seguire meticolosamente per supportare le persone che si affiancano, proprio perché ogni individuo è diverso e, seppure vi siano degli alunni che presentino la medesima diagnosi, ci saranno sempre le differenze soggettive. Difatti, sebbene si pensi che le persone con spettro autistico generalmente rifiutino il contatto fisico, io invece ho appurato anche circostanze inverse, quando ho seguito un altro bambino meraviglioso con autismo, che lavorava soltanto se supportato affettivamente. Questo lo specifico per spiegare che il primo passo propedeutico, per eludere sbagli, è l’osservazione delle caratteristiche individuali. Io stessa, all’inizio del percorso, ho commesso degli errori anche se poi con il tempo ho imparato a non considerarli tali, perché sono risultati tentativi funzionali per comprendere le modalità d’interazione idonee e per capire come procedere quotidianamente. Li ho anche inseriti nel libro, per evitare che altri li commettano. Così ho compreso quanto sia importante porre il focus attentivo non sui comportamenti problematici, ma sui trigger e sugli eventi che innescano i meltdown, in pratica, bisogna quindi analizzare e cogliere quali siano gli stimoli, o le situazioni che innescano determinate reazioni incontrollate. L’osservazione e l’ascolto attivo dei segnali che l’alunno invia con il corpo, servono per eludere errori, perché consentono una conoscenza diretta. Pertanto, dall’analisi funzionale di quanto è stato rilevato, si impara progressivamente a individuare gli elementi che favoriscono gli atteggiamenti disregolati in modo da anticiparli e/o evitarli. Da non tralasciare il rispetto del tempo individuale che occorre per il recupero emotivo dopo una crisi, oppure per l’adattamento al cambio o alla ripresa delle attività; perché gli alunni con autismo hanno necessità di adeguarsi gradualmente, di utilizzare setting specifici (angolo morbido, scaffalatura di cartone con giochi prediletti, ecc.) e intervalli di archi temporali atti a scaricare la tensione. Dalla mia esperienza ho compreso che è funzionale fornire indicazioni chiare, concrete ed evitare di utilizzare le negazioni nel linguaggio. Sovente, nei casi in cui un bambino non stabilisca un contatto oculare visivo, o mostri uno sguardo assente, si suppone che non sia in grado di sentire o percepire quanto riferitogli, ma questa considerazione non è corretta, perché loro assimilano contemporaneamente più stimoli sensoriali e sono spesso in grado di recepire le comunicazioni esogene, avvertire in maniera amplificata le emozioni trasmesse da altri e quelle endogene, ma riscontrano difficoltà a gestirle. In sintesi, è indispensabile pensare da un altro punto di vista, lasciando il proprio, per entrare empaticamente in quello altrui, facendo sentire ai bambini la comprensione per la loro sofferenza interiore, la vicinanza emotiva e non la condivisione delle reazioni sregolate. È importante tenere presente: il sovraccarico sensoriale, emotivo e cognitivo che hanno, così come la difficoltà di generalizzazione che non gli consente di riversare un apprendimento in modo flessibile anche in altri contesti, e il loro stile di conoscenza iconografico. Per evitare errori bisogna considerare che, a scuola e nei vari contesti, necessitano di routine definite, di mediazioni con i pari e di strumenti, come le storie sociali, che li preparino preventivamente alle novità, agi imprevisti e alle sequenze delle azioni da compiere. Un’altra tecnica, che ribalta la percezione degli atteggiamenti non confacenti di un alunno con spettro autistico e che lo può stimolare, mediante accordi tra educatori e docenti, è la Token Economy. Si basa sull’erogazione di rinforzatori simbolici (token: gettoni che rappresentino, per esempio, uno smile felice), ogni volta che viene emesso un comportamento positivo, fino al raggiungimento dei punti, stabiliti in precedenza, per l’accesso al premio finale che riguarderà tutta la classe, ossia una ricreazione più lunga, la visione di un cartone, ecc. Con tale modalità la condotta del bambino sarà recepita con un’accezione positiva, che gratificherà tutti, fornendo input per l’inclusione.
Quanto è importante il lavoro in sinergia tra scuola, famiglia e specialisti nel supportare un bambino con disturbo dello spettro autistico?
La partnership all’interno della rete sociale, costituita dai pilastri che ruotano intorno al bambino, rende funzionale il suo percorso se garantisce la continuità educativa. Ogni ente (scuola, famiglia, èquipe socio-sanitaria) e ogni operatore (assistente sociale, educatori dei centri di riferimento, ecc.) si pongono il medesimo obiettivo, ossia il benessere psicofisico della persona di cui ci si occupa, in un iter evolutivo di apprendimenti, ed esso si concretizza soltanto con accordi condivisi riguardo le metodologie e le prassi da utilizzare. Secondo la mia esperienza, ho constatato che nelle circostanze in cui i bambini hanno potuto beneficiare di una coesione di intenti e di una condivisione delle strategie, gli esiti pervenuti sono stati estremamente positivi, perché loro ritrovavano in ogni setting e con ogni membro di riferimento, un rinforzo e una prosecuzione del lavoro svolto in precedenza e questo ha determinato maggiore tranquillità interiore e un consolidamento delle iniziali acquisizioni, ottenendo feed back adeguati.
A chi si rivolge principalmente il suo libro e quale messaggio desidera che resti nel cuore dei lettori?
Ritengo che non ci siano dei destinatari specifici, perché è un testo diretto a un pubblico ampio. Non riguarda solo docenti, educatori, genitori, professionisti, ma chiunque voglia leggere due storie di vita che si uniscono. Nel libro ho lasciato trapelare anche altri temi, che da sempre affascinano e coinvolgono l’uomo, tra cui il tempo, la cura, gli affetti, i bisogni, l’empatia, l’amore, la sofferenza, la gioia, la ricompensa emotiva, l’insegnamento, la famiglia, l’essere donna, mamma, genitori, figli nel mondo contemporaneo. Quindi c’è un accenno a tutti noi, alle difficoltà legate ai nostri tempi per la società odierna in cui viviamo, alla forza dell’essere umano, che seppure debole, prova ad affrontare la quotidianità con le sue fragilità. Così ho inserito anche aforismi, poesie scritte da me e da alcuni autori. Ci sono degli spunti di riflessione, riferimenti filosofici e pedagogici, ma anche prassici e pragmatici, con consigli pratici e immagini che li esemplifichino. C’è una sezione ampia dedita alle storie sociali con una serie di rappresentazioni grafiche di vicende che evidenziano problematiche e risoluzioni, espresse con un tratto fumettistico. Pertanto, si possono osservare con uno sguardo non impegnativo, perché sono presenti illustrazioni con didascalie, o con un approccio più tecnico. Ho pensato però che fosse importante anche il punto di vista di un genitore, per cui ho inserito una testimonianza di una mamma che riceve una diagnosi, gli stati d’animo che prova e il seguente riassestamento della famiglia per la ricostruzione di un equilibrio. Sicuramente il filo conduttore che attraversa il libro è l’autismo, che mi ha coinvolto peculiarmente nel mio ambito lavorativo, ma non poteva mancare il travolgimento affettivo per i bambini e le emozioni: le forze che muovono e smuovono la vita. Ho pensato di scrivere un libro che partisse da un’esperienza, che avesse delle teorie di riferimento e in cui ci fossero insiti anche determinati aspetti concreti. Quando lo leggevo, però, non riuscivo a considerarlo completamente mio, sino a quando non ho inserito alcuni riferimenti personali alla mia vita, e solo allora l’ho sentito autentico. In fondo non si scinde la vita di chi scrive da quella della persona di cui si vuole parlare, perché c’è sempre un nesso che intreccia le vite in un coinvolgimento emotivo velato. Volevo che non fosse soltanto un libro specialistico, rivolto a chi appartiene a determinati settori, e così provavo a scriverlo cercando di arrivare a più persone, lasciando spazio tra le pagine per esprimere dei frammenti della mia vita e contemporaneamente desideravo che chi lo leggesse, potesse ritrovare empaticamente frammenti della sua vita. Ora mi auspico che un lettore… possa entrare nella profondità di qualche frase letta, sperando che provi un’emozione, anche solo per un attimo perché, se nel cuore gli resterà un’emozione, allora vorrà dire che ho comunicato il messaggio che desideravo.
Ringraziamo Milena Filomena Gaudino per aver condiviso con noi la sua esperienza e la sua profonda sensibilità. L’universo oltre il silenzio dell’autismo non è solo una lettura per addetti ai lavori, ma una preziosa finestra su un mondo spesso frainteso, che ha bisogno di essere conosciuto con empatia, ascolto e consapevolezza. Un’opera che ci ricorda quanto sia fondamentale costruire ponti di comunicazione autentici, per andare oltre ogni silenzio.
