Cari lettori, oggi vi invitiamo a immergervi tra Le pieghe del tempo, un romanzo in cui la vita, con le sue svolte impreviste, si fa racconto intenso e profondamente umano. A guidarci in questo viaggio è Daniele Tracconaglia, autore dallo spirito eclettico e appassionato, che dopo anni trascorsi a stupire il pubblico con la magia dei suoi spettacoli teatrali, ci regala ora una storia in cui la realtà si intreccia con riflessioni sul destino, sulla speranza e sul mistero dell’esistenza. Il protagonista del libro, Danilo, sembra vivere una rinascita dopo un passato burrascoso, ma la vita, si sa, ama sorprendere. Quando tutto sembra finalmente stabile, un evento inatteso scompagina le carte, dando il via a un susseguirsi di cambiamenti che lasciano il lettore sospeso tra ciò che è stato e ciò che potrebbe essere. Abbiamo rivolto alcune domande a Daniele per scoprire di più sul suo libro, sul suo approccio alla scrittura e sulla filosofia che anima questa intensa narrazione.
Com’è nata l’idea di “Le pieghe del tempo” e quanto c’è di te nel protagonista Danilo?
L’idea di scrivere il romanzo “Le pieghe del tempo” è nata dal mio interesse verso il tempo. Non mi riferisco al tempo meteorologico ma ben si al trascorrere del tempo: anni, mesi, giorni, ore, minuti e secondi. Per l’esattezza lo scandire del tempo in cui ci ricorda che ha solamente un’unica direzione da cui non si può assolutamente eludere. Fu anche la mia curiosità, a livelli basilari, verso la fisica a spingermi in questa avventura. A corroborare la tematica del romanzo è stata una semplice domanda di mio figlio, il quale preso da una scelta che, ovviamente basata dalla sua tenera età di quattro anni, dopo aver comprato una macchinina rossa mi chiese perché avesse in mano quella rossa e non quella verde. Gli risposi che al momento della scelta dinanzi alle due macchinine, quella rossa e quella verde, scelse la rossa. Subito dopo mi richiese se fosse possibile cambiarla con l’altra. Purtroppo, non fu possibile. Questo fatto lo rese un po’ triste e consolandolo gli spiegai che ogni scelta che facciamo determina una conseguenza. Il sorriso tornò sul suo volto e come risposta mi disse “si vero, se avessi scelto l’altra ora avrei giocato con quella verde”. Nel personaggio di Danilo, di me c’è veramente poco, quasi rasente al nulla. Ho preso si spunto da qualche piccolo aneddoto della mia vita, ma relativamente poco.
Il romanzo tocca temi delicati come la dipendenza e la rinascita. Come hai lavorato su questi aspetti per renderli credibili e autentici?
Sono proprio due temi molto delicati. La dipendenza da sostanze stupefacenti o alcol è una bestia che mangia dall’interno, rovina, fa perdere tutto e allontanare dai cari la persona che ne è afflitta senza nemmeno accorgersene. Questi sono i temi a cui ho dovuto mettere maggior impegno per renderli credibili, dato che per mia fortuna non ho mai avuto a che fare con droghe e alcol. Per il secondo ho appena detto una bugia bianca, perché come tutti bere un drink in compagnia fa sempre bene allo spirito. Per renderli credibili ed evitare di scrivere cose non veritiere, ho intrapreso ricerche chiedendo a persone uscite da quella spirale negativa com’era la loro vita in quel periodo. A dire che mi si accapponava la pelle ad ogni risposta è a dir poco. Ovviamente non esiste nessun tipo di riferimento nel romanzo a quelle persone a cui ho chiesto del loro periodo. Ciò che ho fatto e chiesto era solo per capire ed avere un’infarinatura di quel mondo così da poter scrivere correttamente. Questo è stato ben chiaro fin dal principio. Purtroppo, ho potuto constatare che cadere vittima di quel mondo è molto facile, mentre uscirne è l’esatto opposto: molto difficile.
C’è un momento nel libro in cui la realtà sembra scivolare in una dimensione quasi metafisica: quanto è importante per te il concetto di “eterno ritorno”?
Essendo amante del tempo e di tutte le sue sfaccettature, come detto pocanzi, sono anche amante dei vari paradossi legati ad esso. Uno in particolare: il “paradosso della predestinazione”. Ora non vi spiego esattamente la tematica di questo paradosso perché altrimenti svelerei subito la storia del romanzo, ma detto in termini coincisi parla semplicemente del fatto che siamo noi a creare la nostra strada, siamo noi a determinare gli eventi del nostro futuro, siamo noi tramite le nostre scelte a scrivere la nostra storia e far si di essere ciò che siamo e ciò che saremo con le scelte che abbiamo fatto in passato, che facciamo e che faremo in futuro. Ecco qui che subentra l’eterno ritorno presente nelle nostre scelte, perché esse corrono nel tempo assieme a noi. Tutte le nostre scelte ci seguono nel tempo e si ripresentano in futuro, mostrando ciò che siamo grazie a loro, giuste o sbagliate che siano. Esattamente come la macchinina rossa di mio figlio ogni volta che la prende in mano per giocare. Gioco con la macchinina rossa perché al tempo ho scelto questa.”.
Dalla magia dei palcoscenici alla parola scritta: in che modo la tua esperienza da prestigiatore ha influenzato la tua scrittura?
La mia esperienza da prestigiatore ha sì un’influenza sulla mia scrittura: rendere tutto accattivante, attrattivo, trattenere il lettore sul filo della curiosità di voler leggere ancora una pagina per riuscire a capire come prosegue la storia, ma che in realtà (come ogni bravo prestigiatore) non svela nulla e non far capire fino alla fine. In questo modo il prestigiatore in me influenza la mia scrittura. Quando mi esibivo nei teatri il mio principale scopo, oltre a quello di stupire, era quello di mantenere lo spettatore sul filo del rasoio tra “credulità e incredulità”, far sì che capisca ciò che volevo io e non quello che voleva lui, attrarre la sua piena attenzione così da renderlo dipendente da me e fare in modo che non credesse più a nulla se non nella magia, perché “la magia è una grande bugia, sta al prestigiatore renderla credibile.”. Nei miei romanzi ovviamente rendo capibile il tutto, ma il prestigiatore in me rende il lettore dipendente dalle pagine del libro a tal punto da voler continuare nella lettura e portarlo a capire soltanto alla fine.
Quale messaggio speri arrivi al lettore dopo aver chiuso l’ultima pagina del tuo romanzo?
La nostra vita è seminata di scelte che quotidianamente affrontiamo, a volte nel modo corretto e a volte no. In base a cosa scegliamo verrà determinata la nostra giornata rendendola buona o cattiva. Come scegliamo di comportarci con una persona renderà più o meno buoni i nostri rapporti, come scegliamo di essere nei confronti della persona che amiamo, come in questo momento scelgo di rispondere a queste domande determinerà il valore delle risposte, ecc … Ogni scelta non è mai sbagliata perché è dettata dal momento. Il giusto o sbagliato lo si capisce quando la scelta stessa si presenta davanti a noi tramite la conseguenza che ha portato. Quello che spero arrivi ai lettori del mio romanzo è un messaggio chiaro e coinciso: “cercare di fare sempre la scelta giusta”.
Ringraziamo Daniele Tracconaglia per aver condiviso con noi il suo tempo e il suo sguardo sul mondo. Le pieghe del tempo è un romanzo che ci spinge a riflettere su quanto ogni attimo, anche il più imprevedibile, possa nascondere un’occasione di cambiamento e rinascita. Vi invitiamo a lasciarvi coinvolgere dalla sua storia, e chissà… magari tra le pagine scoprirete anche voi una nuova prospettiva sul vostro personale viaggio nel tempo.
