GRUPPO ALBATROS IL FILO PRESENTA: IN ONDA – Maria Pintore

Dietro ogni voce che ci tiene compagnia attraverso le onde radio c’è una storia, spesso invisibile ma profondamente autentica. Maria Pintore, con In onda, ci offre uno sguardo raro e toccante sul suo percorso personale e professionale: dagli esordi giovanissimi nelle emittenti locali, alla conquista di ruoli di primo piano nel panorama radiofonico sardo. La sua autobiografia è un viaggio di passione, determinazione e amore per la comunicazione, in cui il microfono diventa non solo strumento di lavoro, ma simbolo di identità e libertà espressiva. L’abbiamo incontrata per parlare del suo libro, del suo percorso e di cosa significhi, oggi, essere davvero “in onda”.

Maria, “In onda” racconta la tua lunga storia d’amore con la radio. Quando hai capito che quella sarebbe diventata la tua strada?

Credo di averlo capito dopo avere messo piede, per la prima volta, in uno studio radiofonico. Ho avuto chiara la sensazione di essere nel posto giusto, mi sono sentita felice, di una felice non banale dovuta all’adrenalina che si stava scatenando nel mio corpo, ma di una felicità totalizzante. Mi piaceva tutto. il profumo, il rumore, il silenzio, la confusione, le voci, i sorrisi di già parlava al microfono. Volevo fare parte di quella enorme magia. Volevo essere una voce capace di raccontare, di coinvolgere, di emozionare. Niente e nessuno avrebbe mai potuto farmi cambiare idea. È stato il matrimonio più felice della mia vita! Ogni giorno da 47 anni, provo quella impagabile sensazione di felicità. quando mi sveglio al mattino, sono felice di andare al lavoro. Quando devo finire un lavoro rimango in radio finché non ho finito, senza sentire la fatica, anzi.   Se potessi rinascere vorrei rifare esattamente ciò che ho fatto, con la stessa contagiosa felicità.

Nel libro traspare chiaramente il legame tra la tua voce e il pubblico. Che tipo di responsabilità senti quando sei davanti a un microfono?

Mi sono sempre sentita privilegiata, sono entrata nelle case di chiunque, ho accompagnato le persone in macchina, le ho sostenute nei momenti di tristezza, ho scatenato felicità o allegria, ho condiviso momenti intensi dovuti alla cronaca di un momento particolarmente complicato. Entrare in punta di piedi nelle vite, o nelle case di chi ti permette di farlo ogni giorno, ogni anno per anni, è un privilegio. Accettare di parlare con chi non si conosce, ma con il quale condividi anche solo la passione per la musica, è una grande fortuna. Ho incontrato virtualmente migliaia di persone, che improvvisamente nei luoghi più diversi mi riconoscevano ascoltando la mia voce. Per anni ho ricevuto una rosa al giorno da un signore che non ho mai conosciuto. Ho ricevuto consolazione nei momenti dolorosi della vita, ho ricevuto abbracci virtuali dopo ogni buongiorno, lettere affettuose, messaggini deliziosi che avrei voluto conservare per sempre. Ho incontrato l’amore, ho condiviso con mio figlio gli spazi anche quando lui era piccolo. Insomma, il legame che negli anni si è creato con l’ascoltatore è stato più ricco di quanto avessi mai potuto immaginare. Tutto questo mi ha reso ogni giorno più responsabile. Sento fortissima la responsabilità ogni volta che accendo un microfono. Peso bene ogni parola, ogni sorriso, ogni silenzio, cerco di non essere mai fraintesa, uso un linguaggio chiaro e semplice, alla portata di tutti.  Il complimento più bello che ho ricevuto? “Quando parli io ti capisco!” Alla radio ho imparato la bellezza della solitudine e il valore immenso della condivisione.

Hai attraversato decenni di cambiamenti nel mondo della comunicazione. Com’è cambiata, secondo te, la radio nel tempo?

La radio, in fondo non è mai cambiata! Marconi quando la pensò, lo fece con l’idea di creare un mezzo che potesse portare aiuto e soccorso. La vera missione della radio non è mai cambiata. Continua a portare aiuto e soccorso.  Lo fa in modo diverso rispetto all’idea di Marconi, ma lo fa, ogni giorno senza stancare e senza invadere. Quando ho iniziato, occorreva imparare da soli, ascoltando i grandi della radio. Le radio libere hanno aperto porte impensabili. Si imparava davvero ascoltando gli altri, con lo scopo di creare un proprio stile, perché ascoltare non vuol dire copiare o scimmiottare, vuol dire capire fin dove si può arrivare, cosa si può fare.   Chi ha iniziato negli anni 70, ha imparato a fare tante cose in radio.  Da soli dovevamo pensare un programma, realizzarlo, farci la regia, scegliere la musica e creare attenzione. Abbiamo imparato sbagliando e sperimentando. Oggi la tecnologia aiuta molto, ci sono le regie automatiche!  Chi si avvicina alla radio pensa che sia tutto facilissimo. Non è così. Occorrono curiosità, competenza, capacità di sintesi, dialettica, conoscenza della lingua italiana. Occorre creare una connessione anche linguistica con chi sta dall’altra parte. Occorre avere carattere, stile.   Ripensandoci, non è cambiato molto, i ritmi sono diversi, ma non le vie da percorrere per stare con dignità dietro al microfono.

C’è un momento, tra quelli raccontati nel libro, che consideri particolarmente formativo o simbolico nella tua carriera?

Ci sono tanti momenti   tutti legati al mio essere donna. La radio è sempre stata profondamente maschilista.  Avere rotto il mio tetto di cristallo diventando la prima donna direttrice di una radio regionale, è stato importante. Avere messo all’angolo maschi che pensavano di essere l’uomo giusto al posto giusto, è stato determinante.  Non è stato facile imporsi in un mondo di uomini, attivissimi nel giudicare dall’aspetto, un po’ meno nell’ammettere le vere capacità di una donna. Nel mio piccolo, rappresento una vera eccezione. Ad oggi ancora non esiste una donna che in ambito radiofonico (in Sardegna) abbia il ruolo che ho ricoperto io. Vuol dire che, quote rosa a parte, c’è ancora tanto lavoro da fare. Nel libro racconto momenti esaltanti, ma anche momenti dolorosi, bui, durante i quali ho capito che da sola non avrei mai potuto vincere nessuna battaglia. Frammenti di vita che mi hanno allontanato dalla radio per un periodo non lunghissimo, ma sofferto. Nel libro racconto una rinascita, ricercata con determinazione anche grazie all’aiuto di professionisti capaci di ridarmi la forza che serviva per affrontare il dolore guardandolo negli occhi e per tornare in radio, con il ruolo che dovevo avere (in quella radio). Durante le presentazioni del libro, cerco sempre di invitare le persone alla riflessione proprio su questo argomento. Una donna può essere semplicemente brava, non deve per forza essere la moglie di, la figlia di, o l’amante di, per ricoprire un ruolo.

Scrivere un’autobiografia è anche un modo per rileggere la propria vita. Cosa hai scoperto o riscoperto di te stessa durante la stesura di “In onda”?

L’autobiografia è complessa, obbliga alla rivisitazione di fatti, incontri, dolori, passioni, obbliga alla riflessione. Nei mesi dedicati alla creazione di “In Onda”, rivedendo tutto il percorso, ho capito che la mia parola è: determinazione. Sono stata determinata da ragazzina, quando ho scelto di fare questo mestiere nonostante gli ostacoli creati ad arte da mia madre. Sono stata determinata quando ho accettato le sfide, con volontà e onestà. Sono stata determinata nel voler far diventare concreto il mio sogno.  La dedica a mio figlio, scritta sulla prima pagina dopo la copertina, riprende una frase bellissima tratta dal film, ” La ricerca della felicità: “Non permettere mai a nessuno di dirti che non sai fare qualcosa. Neanche a me. Se hai un sogno, proteggilo. Se vuoi qualcosa, inseguila.” Vorrei che fosse questo il senso del mio libro, perché questo è stato il senso della mia vita.

In onda non è solo un libro: è un atto d’amore verso la radio, un mondo che continua a vivere grazie a voci come quella di Maria Pintore, capaci di trasmettere emozioni vere, di giorno in giorno, parola dopo parola. Ringraziamo Maria per aver condiviso con noi la sua storia e per averci ricordato che, anche nel caos del mondo, c’è sempre una frequenza capace di farci sentire a casa.

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