GRUPPO ALBATROS IL FILO PRESENTA: LA LUCE NON MUORE – Camilla Mercadante

Ben trovati cari lettori del Gruppo Albatros. Oggi abbiamo con noi Camilla Mercadante, che con La luce non muore ci accompagna in un viaggio profondo e coraggioso attraverso la vita di Ariel, giovane protagonista che, pur affrontando le difficoltà legate a una grave disabilità neuromuscolare, non rinuncia al desiderio di una vita piena e autentica. Il romanzo racconta una storia d’amore intensa e delicata, ma anche una rinascita emotiva e identitaria. L’autrice – giornalista e attivista – intreccia elementi autobiografici e finzione narrativa, dando voce a chi troppo spesso resta ai margini del racconto collettivo. L’abbiamo intervistata per conoscere meglio la genesi del suo romanzo e il messaggio profondo che intende trasmettere con questa sua opera prima.

Come nasce l’idea del romanzo La luce non muore e quanto c’è di autobiografico nella figura di Ariel?

Il romanzo «La luce non muore» è nato in un periodo molto complicato della mia vita. Ho sempre convissuto con una forma lieve di depressione e ansia, e tra il 2019 e il 2020 – o forse anche prima, non ricordo con precisione – partecipavo a un corso di scrittura creativa progettato dall’associazione Famiglie SMA, la patologia che ho io. L’insegnante di allora era meravigliosa: riusciva a tirare fuori da me emozioni profonde, soprattutto quelle negative, e a trasformarle in qualcosa di poetico. Mi faceva venir voglia di scrivere continuamente. Una sera, sentendomi particolarmente ispirata, ho aperto un foglio Word e ho iniziato a scrivere quello che poi sarebbe diventato il mio primo libro. Forse avevo bisogno di perdermi nei miei sogni, nella mia immaginazione, e metterli nero su bianco per potermi dire: “Coraggio, ce la puoi fare. Ti prometto che un giorno realizzerai i tuoi sogni.” Da lì, la mia ex insegnante ha continuato ad aiutarmi passo dopo passo, correggendo il testo e suggerendomi nuove idee. In realtà, all’inizio non pensavo neanche di pubblicarlo. Volevo tenerlo per me, come un promemoria personale. Ma con il tempo, il desiderio di condividerlo è cresciuto sempre di più, fino a diventare una necessità. Probabilmente perché mi rendevo sempre più conto che il mondo – soprattutto la politica – aveva bisogno di storie come queste. E qui mi fermo, altrimenti finisco per fare un comizio, ahahahah! Quanto ad Ariel, sì, c’è molto di me in lei: il suo desiderio di cambiare anche solo una piccola percentuale di popolazione italiana retrograda, il tentato suicidio, l’ansia, la depressione, gli psicofarmaci, le sedute di psicoterapia, la disabilità, la sua personalità, il sogno di un amore libero e felice, l’idea di adottare dei bambini orfani… sono tutte esperienze e desideri che vivo anch’io.

L’incontro tra Ariel e Jasmin segna una svolta decisiva nella storia. Cosa rappresenta per te l’amore, soprattutto in relazione al tema della disabilità?

L’amore, per me, è quando si riesce a rispettare la libertà di ciascunə all’interno di una relazione, per quanto possibile. Deve esserci lealtà, fedeltà, ma anche il coraggio di affrontare i problemi quando arrivano, di qualunque natura siano. E questo si intreccia fortemente con il tema della disabilità, no? Nel mio romanzo è abbastanza evidente che la disabilità, per me, non è più un problema da diverso tempo: lo è semmai il modo in cui la società sceglie di relazionarsi ad essa. La mia disabilità fa parte di me, e non vorrei mai che qualcuno provasse ad “andare oltre” questa mia caratteristica. Al contrario, dovrebbe accettarla, farci i conti, farsene una ragione — come si suol dire — e poi cominciare, piano piano, ad amarla. So che non è semplice, perché gli standard di bellezza che ci vengono imposti sono ben altri, ma è proprio lì il punto: accogliere e amare ogni singola sfumatura dell’altrə. E questo, secondo me, è il vero amore.

La protagonista, pur comunicando solo con un puntatore oculare, riesce a costruire una vita piena. Come hai voluto raccontare il superamento del limite fisico attraverso la narrazione?

Ho voluto raccontare il superamento del limite fisico senza mai negarlo, edulcorarlo e trasformarlo in qualcosa di eccezionale. Ariel non è una supereroina, né una vittima: è una ragazza che affronta la vita con la forza che ha, nei giorni buoni e in quelli meno buoni. Comunica con un puntatore oculare, sì, ma questo non le impedisce di desiderare, amare, lottare, sognare. Ho cercato di mostrare come i limiti veri, spesso, non siano nel corpo ma negli occhi di chi guarda. Attraverso la narrazione, ho voluto ribaltare lo sguardo comune sulla disabilità anche tramite la voce di Lauren, l’infermiera: non più qualcosa da compatire o da “superare” in modo eroico, ma una condizione da vivere, integra, reale, e capace di generare bellezza, relazioni e cambiamento come chiunque altrə. Ariel riesce a costruire una vita piena NON a dispetto del suo corpo, MA attraverso di esso. E questa è una differenza fondamentale, che andrebbe compresa molto di più.

Il tuo impegno nel giornalismo e nell’attivismo è evidente anche nelle pagine del libro. In che modo la scrittura si intreccia con la tua battaglia per i diritti umani?

La scrittura, per me, è uno strumento molto efficace per dare voce a chi spesso non viene ascoltatə. Nel giornalismo e nell’attivismo combatto per i diritti umani e per l’inclusione, ma la narrazione mi permette di raccontare le esperienze in modo più intimo e, se vogliamo, poetico, facendo emergere emozioni e realtà che a volte la cronaca non riesce a trasmettere. Con il libro posso far riflettere chi legge su temi come la disabilità, l’amore libero e la lotta contro i pregiudizi, creando empatia e stimolando un cambiamento di mentalità. In tal senso, la scrittura diventa un’estensione naturale del mio impegno, un modo per sensibilizzare sui diritti civili e mescolare le mie passioni. Pensate che scrivo anche poesie, seppur non credo sia il mio forte, ma mi piace.

Se dovessi scegliere una frase o un’immagine simbolica del tuo libro che meglio racchiude il suo significato profondo, quale sarebbe e perché?

Questa è una domanda delicata, perché se dovessi scegliere due immagini simboliche del mio libro che mi rappresentano, direi senza dubbio quella del tentato suicidio — perché purtroppo mi è successo più volte, anche se non nel contesto narrato — e quella del padre violento con i bambini. Su quest’ultima non posso soffermarmi per motivi personali, ma sulla prima sì. Ci sono stati momenti in cui la sofferenza psicologica era così tanta da farmi pensare che non ce l’avrei fatta. Mi sembrava di non avere vie d’uscita. In quei momenti, a salvarmi non è stata solo la scrittura, ma pure la musica. È stata la musica dei miei idoli a tenermi viva, a darmi qualcosa in cui credere. Le loro canzoni mi parlavano quando nessun altrə riusciva a farlo. Gli One Direction, in particolare, sono stati il mio rifugio durante l’adolescenza: le loro voci, la loro energia, la loro simpatia, la loro presenza costante mi hanno aiutata a non mollare. Li ho persino incontrati nel backstage di San Siro, il 29 giugno 2014, grazie alla Make-A-Wish Italia Onlus. Mentre i miei genitori ci scattavano una foto, Liam Payne ha posato delicatamente la sua mano sulla mia. Il suo tocco era caldo, dolcissimo, leggero e allo stesso tempo possente… come se avesse paura di farmi male. E in quel gesto semplice c’è stato qualcosa di profondo: mi ha fatta sentire come se per un attimo tutto il dolore sparisse. Avrei tanto voluto prendere il suo e salvarlo. Oggi, dopo la sua perdita, sento ancora più forte quanto loro siano stati — e continuino ad essere — importanti per me. Nel libro ho voluto raccontare tutto senza filtri, perché credo che sia essenziale rompere il silenzio su certi temi. Non c’è un lieto fine perfetto, non c’è una morale da dare: c’è solo la verità di chi ha guardato in faccia il buio. Ed è proprio da lì — da quel dolore, da quella musica, da quelle parole — che nasce la mia voglia di lottare, di scrivere, e di raccontare. Per non lasciare solə chi sta soffrendo, proprio come me.

Attraverso la sua scrittura sincera e potente, Camilla Mercadante ci ricorda che la luce della vita può brillare anche nei momenti più difficili, e che ogni ostacolo può trasformarsi in un’occasione per riscoprirsi. La luce non muore è un inno alla forza dei sentimenti, al valore della diversità e al coraggio di credere, sempre, in un futuro migliore. Buona lettura!

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