GRUPPO ALBATROS IL FILO PRESENTA: Essere filosofo – Ferdinando Carrozza Schettino

Benvenuti sul blog del Gruppo Albatros, dove oggi abbiamo il piacere di ospitare Ferdinando Carrozza Schettino, giovanissimo autore del saggio “Essere filosofo”. Con una visione lucida e al tempo stesso passionale, Ferdinando esplora il ruolo dei filosofi nel cambiare le società e abbattere il muro dell’ignoranza, quella grande tirannia che, come sostiene lui stesso, frena il progresso umano e alimenta la paura di ciò che è nuovo e sconosciuto. Nonostante la giovane età, l’autore ha già maturato una profonda dedizione per la ricerca e una spiccata curiosità verso i pensieri dei presocratici, che l’hanno spinto a interrogarsi su temi eterni e sempre attuali. In questa intervista, scopriremo di più sulla sua opera e sulle riflessioni che lo hanno portato a comporre il suo primo libro.

“Essere filosofo” è un titolo molto diretto e profondo. Cosa significa per te “essere filosofo” oggi?

Salve, e grazie per la domanda. “Essere Filosofo” rappresenta l’essenza, possiamo dire, del libro stesso. Nel libro non c’è la ricetta per diventare filosofi o esperti di filosofia (sono due cose diverse, si può essere entrambi come si può non esserlo), anzi, tutti i filosofi che sono raccontati nel libro sono molto diversi dai filosofi accademici. Non nego che questi ultimi siano filosofi, ma se pensano di restare solo dietro le cattedre, non possono, come faccio dire a Eraclito nel libro, “andare a bussare ai gusci delle persone”. Non ti chiedono “Vuoi aprirti?”, né “Vuoi esprimerti?”. In domande semplici come queste, o complicate come le domande sull’essere e la metafisica, il punto interrogativo, naturalmente, è la base. E questi punti interrogativi mancano non poco. Leggendo scritti filosofici spesso viene da chiedersi il perché della mancanza di domande, che sono la vera essenza della filosofia. Ed ecco perché “Essere Filosofo” può essere esplicitato come “Essere un Filosofo Rivoluzionario”, ovvero qualcuno che va a bussare ai gusci di ognuno, e che si pone tante domande.

Nel tuo libro parli del “muro dell’ignoranza” come una grande tirannia. Quali sono gli ostacoli principali che ritieni alimentino questa ignoranza nella società contemporanea?

Dovremmo prima di tutto definire quest’ignoranza non come mancanza assoluta di conoscenze, ma come mancanza di domande. Si può dire che l’ignoranza sia il non-essere della domanda. Visto che sconfina nel non-essere, neanche quel muro esiste davvero, ed è solo una nostra fantasia. Ecco perché anche solo con una domanda possiamo sconfiggere il non-essere, facendo capire che quel muro non è mai esistito. A me fa riflettere molto questa grande pericolosità del non-essere e della “realtà intersoggettiva”, come la chiama il filosofo della storia Yuval Noah Harari, quindi dei significati non esistenti nella realtà materiale ma esistenti nella nostra mente. Essi quindi, sempre secondo questo filosofo, si trasmettono attraverso storie e documenti. Proprio i documenti, per esempio, possono trattare di soldi, che sono pezzi di carta a cui diamo un certo significato. E tutti i problemi del mondo di oggi nascono proprio per queste realtà intersoggettive, che vanno quasi a sconfinare nel non-essere, che è alla base dell’ignoranza. Qual è il motivo di questa ignoranza? Io penso che risieda in questo continuo cambiamento dovuto alla scienza di oggi. A dispetto di come dovrebbe essere, noi ci adagiamo su questa certezza di non poter avere certezze, quindi non troviamo utile cercarle.

Hai trovato ispirazione nei filosofi presocratici, che per te hanno avuto un ruolo chiave. In che modo il loro pensiero ha influenzato il tuo percorso?

Sono particolarmente affezionato ai presocratici principalmente per due aspetti: il primo, e più importante, è la loro ricerca genuina e spesso coraggiosa, di fronte a tiranni e nemici, che mi ha affascinato nella sua rivoluzionarietà. I presocratici non avevano, da quanto sappiamo, così tanti filosofi alle spalle, e la filosofia la dovevano definire. La loro filosofia io la definisco come una “filosofia del Pan” ovvero una “filosofia del tutto”. Si ponevano domande e cercavano risposte nella medicina, nella matematica, nella metafisica…Alcuni le trovarono nella matematica, che significa appunta “conoscenza assoluta/vera”, o nell’essere metafisico di Parmenide e altri ancora in altre specializzazioni. Il secondo aspetto riguarda la loro cultura. I presocratici facevano parte del senso comune dell’essere greci nel VI-VII secolo avanti Cristo. E si sono fatti portavoce di questo grande “pan” che era essere greci.

Sostieni che la filosofia può avere un impatto culturale e politico. Come vedi il ruolo dei filosofi nel contesto odierno e quali sono, secondo te, le “piccole rivoluzioni” di cui abbiamo bisogno?

Ho già citato svariate volte il termine “rivoluzione” nelle risposte precedenti, quindi, penso che sia doveroso iniziare a dare una definizione di questo termine per me così controverso, ma basilare nell’ottica di “Essere Filosofo”. Per me una rivoluzione è un cambiamento e può essere “lenta” o “fulminea”. Partiamo dal secondo tipo di rivoluzioni: esse sono spesso politiche e nascono solitamente da un retore che risveglia rancori o altre emozioni forti nella gente, dando vita a rivoluzioni spesso violente e “nel tempo”. Perché? Sono veloci nella loro comparsa come nella scomparsa. Ecco perché io credo che abbiamo bisogno delle prime, che sono lente, quindi la loro comparsa è lenta quanto la loro fine. La rivoluzione è quindi continua, ovvero, il cambiamento che entra in noi e ci resta. Noi abbiamo bisogno di queste ultime oggi. L’ultima rivoluzione che abbiamo vissuto è stata quella scientifica, del continuo avanzare della scienza: un ordine impartito. Ma noi, come persone, come esseri pensanti, dove siamo? Dov’è l’uomo in questa rivoluzione? Per avere un’utile e lenta rivoluzione dovremmo pensare innanzitutto a queste domande.

Il tuo libro sembra un invito a guardare dentro di sé per superare le convenzioni. Qual è il messaggio principale che desideri lasciare ai tuoi lettori?

Spero che “Essere Filosofo” sia per il lettore uno stimolo innanzitutto a porsi domande e a essere rivoluzionari. Perché i filosofi di cui parlo sono state persone prima di tutto. Persone normali, chiunque potrebbe essere uno di questi individui. Ma cosa li distingue da quel “chiunque”? Il loro “essere rivoluzionari”, che li portò alla morte, all’esilio o peggio ancora. Non sembra invitante seguire il loro esempio con questa prospettiva, ma io vorrei dare un piccolo contributo per scuotere le coscienze a scegliere tra le due alternative, l’essere ciechi o l’essere ribelli. Oggi la “morte” è più vicina a chi è cieco, e non vuol vedere la necessità della domanda, che a chi è il ribelle, che vive la vita. Chi è morto davvero: l’esecutore o il ribelle?

Grazie, Ferdinando, per aver condiviso con noi una parte della tua visione e per averci guidati attraverso alcuni dei temi del tuo libro. “Essere filosofo” è un’opera che invita il lettore non solo a riflettere ma a mettersi in discussione, rompendo quei confini invisibili che spesso ci tengono lontani dalla nostra stessa autenticità. Siamo sicuri che il tuo viaggio filosofico sarà fonte d’ispirazione per molti, e non vediamo l’ora di scoprire quali nuovi percorsi ti riserverà il futuro.

Lascia un commento