Oggi siamo lieti di intervistare Ken Rogers, autore del libro “Errore giudiziario”, un thriller che racconta la drammatica vicenda di Marco Torreggiani, un giovane dj la cui vita tranquilla viene sconvolta da una relazione clandestina che, per una serie di sfortunate coincidenze, lo porta a essere coinvolto in un errore giudiziario. La storia di Marco, un ragazzo che finisce in carcere senza aver commesso crimini gravi, tocca temi universali come la giustizia, il tradimento e le fragilità delle nostre scelte. Un libro che cattura fin dalle prime righe e coinvolge il lettore, portandolo a immedesimarsi nelle vicende del protagonista. Ken, grazie per essere con noi oggi. Cominciamo subito a esplorare il mondo di “Errore giudiziario”.
Ken, cosa ti ha ispirato a scrivere “Errore giudiziario” e come è nata l’idea dietro la storia di Marco Torreggiani?
In tutta onestà, quando ho iniziato a scrivere questo romanzo, non avevo bene in mente dove stavo andando ad incunearmi. Sentivo il bisogno di scrivere, perché sono sempre stato un grafomane che col tempo ha cercato di affinare la sua scrittura. Non ho studi classici e non ho mai fatto corsi di scrittura. Quello che è scritto nel mio romanzo, lo stile intendo, è frutto della mia costanza e perseveranza. La prima macchina che ho posseduto e comprato col frutto del mio lavoro di semplice operaio è una Fiat Argenta; un macchinone per un ragazzo che aveva superato da poco i vent’anni. La cosa che più mi turbava quando dovevo metterla nel mio box, è che fossi vittima di un turpe tranello e me la sfilassero sotto il naso, mentre aprivo la serranda. Questa è stata la prima scena che ho scritto, chissà poi in prospettiva di quali orizzonti. Non avevo più nulla in mano, ma confidavo nella mia “logorroica” fantasia. Una mano l’ho ricevuta dalla lettura degli scrittori che amo: John Grisham su tutti, ma anche Ken Follett e Giorgio Faletti che ha una gran bella penna. Grisham lo adoro perché abbiamo un modo di scrivere molto simile. Ha una scrittura a volte spiritosa, e subito dopo rientra nei ranghi che più si confanno ad uno scrittore di livello. Se si legge il mio romanzo, si ha quasi questa idea, in modo particolare durante l’esposizione della parte processuale. Ho voluto dar voce ai pensieri di un giudice, prossimo alla pensione, che a ogni piè sospinto tuonava contro il Pubblico Ministero, quando questi lo esacerbava col solito “latinorum”, o la sua irritante verbosità e odiosa tiritera, che non perdeva occasione di mettere sul campo. Penso che nella realtà, un giudice, tenga a freno simili apostrofate; sicuramente le canta di santa ragione nella mente se incontra un avvocato o un PM con queste particolarità, limitandosi a sollecitare la conclusione dell’intervento. Per il resto ho scritto, ispirandomi all’ambiente un po’ sui generis del rione dove è ubicata la sede del mio lavoro. I ragazzi che ci abitano, le coordinate geografiche le hanno stampate in faccia. C’è dentro un po’ della mia storia, a parte l’omicidio in cui Mark si troverà invischiato. Quello me lo son dovuto inventare per giustificare il genere letterario del mio scrittore preferito.
Il protagonista, Marco, è un giovane dj che vive una vita tranquilla finché non viene coinvolto in una situazione tragica. Quanto c’è di reale nella sua storia e quanto è frutto della tua immaginazione?
Ho risposto già in parte a questa domanda. Come tutti i ragazzi della mia generazione, abbiamo vissuto per strada. La strada è stata la nostra scuola, la nostra ludoteca, la nostra palestra; quella che ci ha forgiati e temprati. Prima si vedevano in giro poche macchine, e noi ragazzi eravamo padroni delle strade. Sicuramente non vengo da un quartiere malfamato come è scritto nel libro, ma non ho abitato neanche ai Parioli di Roma. La mia era una famiglia modesta, di piccoli commercianti; tutto sommato una famiglia dignitosa, come ce ne sono altre 20 milioni in giro nel nostro paese, e i miei amici erano miei paria; diciamo pure che “la delinquenza” non l’ho vissuta e nemmeno sfiorata, come invece lascia intendere il mio racconto, perché la nostra abitazione si trovava in un quartiere normale. Il fatto che abbia voluto “emergere” è vero. Perché in quegli anni se non facevi lo speaker radiofonico, eri quasi uno sfigato. Far parte di un cast radiofonico era un traguardo ambizioso, e se non eri “impedito” con le ragazze, riuscivi a collezionarne – concedetemi questo pessimo termine – qualcuna. Nel mio paese c’erano 5-6 radio private, ma io volevo LA RADIO per eccellenza, quella che frequentavano i ragazzi che venivano da famiglie in vista. La mia ostinazione mi ha sempre ripagato.
La giustizia e l’errore giudiziario sono temi molto complessi. Come hai sviluppato il lato legale della trama e ti sei ispirato a casi reali per rendere la storia credibile?
Nulla di tutto questo. Quando ho deciso di addentrarmi in questo genere letterario, l’ho fatto in punta di piedi. Sapevo che per rendere credibile e di un certo spessore il mio romanzo, avrei dovuto sviluppare la discussione del processo. Poi alla fine ci ho preso gusto e ho discusso due…anzi tre processi, perché uno era a carattere contumaciale. E questo lo avevo capito leggendo 25 libri di Grisham, solo che lui è un ex avvocato, io no e non sono neanche laureato in giurisprudenza. Anzi per dirla tutta, non sono neanche laureato. Come sono solito rispondere a quanti toccano questo punto, io dico sempre che le mie lauree, sono la strada, che mi ha insegnato tanto, e i calci in culo che ho preso dalla vita. E questi calci mi hanno temprato tantissimo. E oggi ho una corazza che poche cose riescono veramente a farmi male. Diciamo pure che la laurea, quella vera, è l’ultimo sogno che ho nel mio cassetto; L’obiettivo è laurearmi in astronomia. Gli amici mi dicono che te ne farai di una laurea a 60 anni? Io rispondo con un’altra domanda: perché i miei due diplomi a che ca…volo mi sono serviti? Quello giudiziario è un aspetto molto delicato, perché non ci vuole nulla per prendere uno svarione. C’è da tener conto che il nostro sistema giudiziario è molto differente da quello dei paesi anglofoni. Il nostro sistema giudiziario è strutturato su un modello chiamato ‘civil law’ (diritto civile) e si rifà all’ordinamento giuridico romano. Si contrappone a quello tipico dei paesi anglosassoni, chiamato ‘common law’ (diritto comune). Il nostro è un sistema imperniato su codici e leggi di un paese; l’altro sistema si basa sulla prevalenza del diritto giurisprudenziale. Giurisprudenziale dal latino iurisprudentia, sostantivo dall’aggettivo iurisprudens, prudens iuris… esperto di diritto. Il termine indica l’insieme delle sentenze attraverso cui gli organi giudicanti di uno stato interpretano le leggi. Un errore da principiante che stavo facendo, è che chiamavo avvocato il PM, perché nei libri americani è così. Da noi un pubblico ministero è un magistrato; nei paesi anglofoni è un avvocato con mansioni differenti. A quel punto mi son messo a studiare seriamente tutto l’aspetto giuridico del nostro sistema e mi sono andato a trovare gli articoli e commi che poi ho chiamato in causa nel libro. Diciamo che è stato un duro lavoro di ricerca, che mi ha portato via un sacco di notti, perché ci tenevo a scrivere un buon libro e soprattutto ci tenevo a scrivere un libro che fosse abbastanza credibile. Non ho mai amato fare brutte figure e poi ho grande rispetto per il lettore. Visto che stiamo parlando di questo argomento, mi faccio una domanda e mi do una risposta, se me lo consente. Come mai ha scelto di pubblicare la sua opera con la casa editrice Albatros? Bella domanda. Perché ho avuto la certezza che avevano letto realmente il mio libro. E non perché erano passati due mesi da quando avevo inviato il link a quando poi mi hanno contattato. Quella mattina, al telefono, l’interlocutore, dopo avermi fatto i complimenti perché, a suo dire aveva trovato il romanzo interessante, subito dopo mi chiese se per caso fossi un avvocato. Al mio diniego mi chiese se avessi una laurea in giurisprudenza, e per la seconda volta si beccò un secco no! Gli parlai delle due lauree honoris causa conferitemi dalla vita. “Le dico questo perché il romanzo è molto tecnico e parlo dell’aspetto giudiziario e…”, mi disse. Ecco la conferma che io cercavo.
Marco si trova coinvolto in una relazione clandestina che inizia in modo innocente, ma si complica rapidamente. Come hai voluto esplorare l’evoluzione emotiva di Marco durante tutto il libro?
A parte la questione che di innocente c’è ben poco, poi sono d’accordo con lei che dopo un po’ si complica rapidamente. Non poteva essere altrimenti. Nulla di tutto ciò che ho vissuto è andato a finire a tarallucci e vino. Rispondo alla domanda. Questo è un aspetto molto semplice o se vogliamo elementare. Mi è bastato intuarmi nel povero Mark e trasfondere nel personaggio le mie sensazioni, i miei timori, le mie perplessità, le mie angosce, i miei dubbi, le mie certezze, le mie convinzioni, le mie paure. Le indecisioni, le incertezze, le esitazioni e le insicurezze che può avere un ragazzo di vent’anni; chi è che non ne ha, anche se ne ha sessanta di anni. A fronte di queste cose concrete, ho cercato di rendere Mark a mia immagine e somiglianza. Ho glissato sulla superficialità che può avere un ragazzo di 25 anni e l’ho fatto ragionare con la mia mente. Non ho potuto sorvolare sull’avventatezza di impegnarsi in una storia clandestina, perché difficilmente un ragazzo di quell’età riesce a far colloquiare in maniera sensata ormoni e neuroni. Gli uni vincono sempre sugli altri, e sappiamo come vanno le cose. Sappiamo, cioè, chi saranno i vinti e chi i vincitori, dopo il colloquio di cui sopra.
Qual è il messaggio che speri di trasmettere ai lettori con questa storia di ingiustizia e riscatto? Cosa vuoi che il pubblico porti con sé dopo aver finito il libro?
Parte della risposta è nella domanda: Mark è un esempio positivo di chi cerca di emanciparsi, riuscendoci, da un ambiente sociale e familiare. Sono valori (rettitudine, onestà…) che comunque ha imparato in famiglia, che è una famiglia modesta ma di sani principi. Gli stessi valori che portano Mark a riflettere sempre su quanto sta facendo, anche se, come dicevo nella risposta precedente, l’impulso sessuale, data la sua giovane età, ha preso inizialmente il sopravvento sulla ragionevolezza. La razionalità, anche se esercitata, non può prevedere tutto: alcuni eventi sono imprevedibili (perdita del portafoglio, ritrovamento dell’auto). Non c’è una morale ben precisa, ognuno può trarre gli insegnamenti che ritiene opportuni. Tuttavia, ritengo che ci sia una parte molto interessante in questo libro, ed è messa in evidenza proprio dal protagonista, quando chiude la relazione con la sua fidanzata di Milano, nonostante lei gli offra la possibilità di dimenticare il passato, dopo che ha scoperto la relazione clandestina. Ecco, lo spirito con cui lei affronta quella situazione, e le parole con cui affronta Mark, offrono tanti spunti di riflessione: uno su tutti è che la maturità di una persona non dipende dal numero di anni di vita; perché lei, con il suo eloquio, dimostra di essere ben più matura di Mark, sebbene i dati anagrafici dicano altro. – Dagli eventi negativi si può sempre imparare qualcosa, sia da quelli altrui (come sosteneva Aristotele a proposito della ‘catarsi’ tragica) sia, soprattutto dai propri. Ritornando all’ingiustizia, questa volta parlando di “giustizia sommaria” che ha costretto Mark alla reclusione per un lungo periodo, senza che vi fossero certezze granitiche che ne attestassero la reale colpevolezza. Ecco, in Italia, ma credo anche in altre parti del mondo, si assista, sovente, a casi di malagiustizia. Detenuti che vengono ritenuti innocenti dopo aver fatto 40 anni di carcere. Immaginate cos’è la vita di un uomo che è stato recluso per tutti questi anni, e poi ritenuto innocente all’età di 70 anni? Potrebbero risarcirlo con tutti i soldi di questo mondo, ma quei soldi non potrebbero mai comprare qualcosa che ormai non c’è più: il tempo. A questa persona gli hanno rubato il bene più prezioso. Troppo spesso, per non dire sempre, le colpe della malagiustizia non le pagano mai gli autori: PM, Giudici ma anche investigatori; e in questo romanzo ci sono ispettori che hanno condotto indagini con un po’ di supponenza e una buona dose di arroganza. Ma penso comunque che nella realtà, più di qualche volta si superi la finzione. A questo punto mi gongolo in una riflessione, ed invito la gente poi a riflettere a sua volta. Molte delle persone che hanno letto il mio romanzo, mi hanno contattato per esprimere le proprie opinioni. Sono state tutte positive e ricche di elogi – ma non è di queste che voglio parlare; troppo scontato autocelebrarsi – tranne uno. “Questo uno” che è un mio conoscente ed è insegnante di latino e greco, mi sottolineò solamente gli aspetti – secondo il suo pensiero – negativi. Se comunque, tutto sommato si fosse fatto una buona opinione, questa me l’ha taciuta. La sua critica verteva sul linguaggio che ad un certo punto sciorina Mark, quando affronta il suo antagonista in amore e che è anche un suo ex amico. Ma soprattutto sui termini non di uso comune che aveva trovato nel mio libro. “Cogitabondo, perché usare questo termine quando sarebbe stato più facile e più comprensibile usare il termine pensieroso. Poi non è credibile che Mark faccia quel discorso aulico e articolato con il suo antagonista che ha a malapena la quinta elementare”. Le critiche le ho sempre accettate e servono per crescere se le ritengo giuste. In caso contrario, sento l’obbligo di rigettarle e al mittente e controbattere a mia volta. Gli ho risposto che quella critica non me la sarei aspettato proprio da lui che è insegnante di latino (tengo a precisare che non è la persona che dialoga con me durante le presentazioni del mio romanzo. È solo una coincidenza che anche lui sia insegnante di latino e greco). Dicono che la lingua italiana si sta impoverendo, la stiamo uccidendo perché noi persone di media cultura, usiamo sistematicamente poche centinaia di parole. La lingua italiana è formata da 50.000 – 80.000 parole; compreso i lessemi arriviamo a 270.000 e forse più. E voi insegnanti dite sempre che hanno boicottato il latino nelle scuole. Sai meglio di me che ‘cogitabondo’ è una parola di chiara provenienza latina… cogito ergo sum… Cartesio, ti dice qualcosa? E mi vieni a fare questa critica? Certo, se parlo con un amico non gli dirò: oggi ti vedo cogitabondo. Ma se scrivo qualcosa, un libro ad esempio, me lo concederai l’utilizzo di qualche parola in più. Non pretendevo un elogio pieno, ma forse un mezzo complimento, sì. Invece… Per quanto riguarda il discorso con cui Mark affronta l’ex amico, è palese che lui lo voglia irridere davanti ai suoi amici, dileggiandolo a parole che Mark sapeva bene che non avrebbe compreso, né lui né i suoi accoliti. Concludo dicendo che, se una persona di notevole cultura non ha letto tra le righe e mi viene a dire che potevo scrivere pensieroso, anziché cogitabondo… beh, tutto questo mi perplime.
Grazie, Ken, per aver condiviso con noi il viaggio creativo che ha portato alla scrittura di “Errore giudiziario”. La storia di Marco Torreggiani è una riflessione potente su come le nostre scelte possano influire in modo imprevedibile sulle nostre vite, ma anche su come possiamo affrontare l’ingiustizia e la difficoltà. Siamo certi che i lettori troveranno questo libro avvincente e pieno di spunti di riflessione. Non vediamo l’ora che il pubblico scopra il destino di Marco e l’intensità della sua esperienza.
