Oggi abbiamo il piacere di dialogare con Gianpiero Bessone, autore de “La favola dell’amore che non esiste”, un romanzo che esplora con estrema lucidità e profondità il lato complesso e spesso fragile dei rapporti di coppia. Attraverso le storie di Vittoria e Rossella, Bessone ci porta a riflettere sul concetto di amore eterno, smontando quel “vissero felici e contenti” tipico delle fiabe. Con una scrittura raffinata e introspezione, l’autore scava nella psicologia dei suoi personaggi, confrontandoli con le proprie debolezze e aspirazioni. Scopriamo insieme cosa lo ha ispirato a raccontare questa storia e qual è il messaggio che vuole trasmettere ai lettori.
Qual è stata l’ispirazione principale dietro “La favola dell’amore che non esiste” e come sono nati i personaggi di Vittoria e Rossella?
La nostra esistenza sembra guidata da un apparente cinismo, da una assenza contemporanea di proiezione verso ideali, verso il sogno, rivelandosi così impreparata alla realtà. Può sembrare un ossimoro, al contrario è proprio la ragione di questa solitudine nella moltitudine, di questa difesa aprioristica rispetto all’errore, considerato – oggi – come una terribile colpa non emendabile e soltanto dolorosa. È un atteggiamento diffuso e persino accettato, che rivela soltanto la nostra esigenza profonda, il bisogno insopprimibile di amore, inteso in senso lato, che pervade l’essere umano, orfano del coraggio di scommettere sui rapporti affettivi in modo totale, di mettere in gioco la propria vita, di investire senza attese altre che non siano la bellezza della condivisione e della complicità che si crea tra due persone. E nell’animo sono entrambi presenti, il cinismo e il desiderio. Lo strappo interiore che ci rende così fragili è il tema su cui mi sono cimentato nello stendere questo romanzo. Vittoria e Rossella nascono, nello sviluppo del racconto, entrambe per narrare, ognuna a modo suo, il percorso di rinascita, che segue ad una dolorosa separazione, dopo lunghi periodi di convivenza. Sono il prototipo della capacità (non direi volontà) di lottare contro le avversità che le vicende della vita hanno loro riservate, di non arroccarsi dietro ad un epilogo negativo per negarsi alla vita, pur con infinite riflessioni e sofferenze. Con maggiore prudenza e una diversa maturità sentimentale si fanno accompagnare dal loro sentire – distinte per approccio e impulsività – quasi stupite per quanto le sta accadendo, ma docili all’abbandono e alla dolcezza delle attenzioni di uomini che incontrano in un momento inatteso e forse prematuro. Le ferite non dolgono più.
Come definirebbe il rapporto tra l’amore ideale e la realtà delle relazioni di coppia, secondo la sua visione?
Siamo stati educati nel mito dell’amore eterno (termine che utilizzerò più volte), ideale, abbiamo condiviso con tante generazioni i racconti, le favole in primis, nei quali ci veniva impartito un lieto fine, senza soluzione di continuità. Siamo utenti esigenti in questo senso, ci attendiamo che ogni storia, scritta, recitata, cantata ci conduca ad un lieto fine. E non ci importa, in fondo, che si tratti di un finale reiterato, sempre lo stesso. Ma è proprio questa esigenza, mai sopita veramente, a spingerci a cercare l’assoluto, anche nell’amore. L’amore ideale è una tensione, umana e necessaria, ci permette di avvicinarci agli altri, ci accompagna nella speranza che i nostri rapporti siano davvero inossidabili, a tal punto di immaginarli anche oltre la fine della esistenza terrena, puri e travolgenti al tempo stesso. Le relazioni di coppia, in fondo, nascono con questa proiezione all’eterno, idealizzando, appunto, il sentimento, il trasporto e il darsi all’altrui senza paura. Ma alla prova dei fatti, in questo mondo, quello stesso amore (perché non ne esiste un altro) deve concedere i dolori, le incomprensioni, l’indifferenza, l’abitudine, la differenza, che riportano a terra gli aneliti più alti. Siamo qui, a cercare di convivere con i bisogni materiali, le nostre debolezze e le cose della vita, tentando di dare un senso ai nostri rapporti affettivi, non più salvi dalle incombenze e dai limiti dell’uomo. Le relazioni di coppia sono complesse e spesso inestricabili, dinamiche costrette da mille disturbi e anche dal nostro mutare. Se all’amore ideale bisogna tendere, all’amore reale bisogna concedere quanto è possibile.
Nel suo libro, sembra voler sfatare il mito dell’amore eterno. Cosa pensa che renda spesso così difficile accettare la caducità di certi legami?
Viviamo strapazzati, ogni giorno, tutti i giorni, dalle frette e dalla sindrome di inadeguatezza, il tempo stringe e ci stringe, sarebbe pleonastico richiamare lo stress. Ognuno di noi sa che cosa lo faccia soffrire e quanto questo malessere lo distacchi dalla felicità. Inseguiamo da sempre i momenti di conforto, le oasi di speranza che alimentino, anche se per poco, la forza di sopportare la fatica di vivere. Allora, le favole, antiche e moderne, i prìncipi e le principesse, i supereroi e le “donne fantastiche”, le storie di amori assoluti, perfetti, lucidati e resistenti, sembrano medicare la nostra ansia di valori assoluti e rassicuranti. Di conforto e perdono. Placano, per un momento, la nostra sete di bellezza, di giustizia, di liberazione, ci assolvono dalla quotidiana cruenta battaglia. Con il loro lieto fine, atteso e sottinteso, ci insegnano che l’Amore è per sempre, che non solo esiste ma che è un dovere/diritto di ogni essere umano, che non c’è su questa Terra altro amore che quello infinito, puro e celeste. E noi cresciamo con l’attesa di una promessa eterna, nodo insolvibile e resistente contro ogni cambiamento o ostacolo.
I protagonisti maschili, Federico e Fermo, sono ritratti come figure deboli e inadeguate. Come ha sviluppato questi personaggi e quale ruolo hanno nel percorso di crescita di Vittoria e Rossella?
Federico e Fermo sono paradigmi, se vogliamo negativi, che rappresentano una umanità impreparata, perciò debole, forse viziata, per come essi stessi abbiano cercato delle soluzioni che portassero alla loro personale soddisfazione. Sono uomini che hanno amato – e forse hanno continuato ad amare – le loro compagne, senza aver mai preso in considerazione il peso che scaricavano sulle spalle delle due donne, per una abitudine e una consuetudine relazionale di cui in fondo non si erano da tempo più chiesti la ragione, ma che li facevano stare bene, strabici e autoreferenziali. In questo modo i due uomini hanno costretto Rossella e Vittoria a prendere atto della scomparsa di un rapporto che esse credevano indissolubile e insostituibile e irripetibile. Per vie diverse, hanno dovuto accettare la fine di un amore e scardinare il castello di carte che tenevano in piedi, quasi da sole. Di solito, il primo dolore appartiene a chi si prende la responsabilità della frattura e non è così raro sentire i lamenti dell’altro, alti e sofferti. Ma in fondo entrambi gli uomini sanno tutto quanto, per loro natura e carattere non hanno reazioni esplosive o melodrammatiche, accettano e non entrano nella dialettica, in un estremo rifuggire la responsabilità attiva. Forse per Rossella e Vittoria è stato anche peggio, nemmeno la possibilità di arrabbiarsi. In amore, durante un amore, dopo un amore, si cresce sempre, anche se spesso facciamo fatica ad ammetterlo. Ogni incontro, vissuto nella pienezza del sentimento, porta -prima – e ci lascia – poi – una esperienza durante la quale siamo stati capaci di sentire, pensare e dire e scrivere pensieri e parole che altrimenti non sarebbero mai uscite dal cuore; il cuore è prudente, non spreca le parole solo per migliorare la conduzione di una riunione di lavoro, la promozione di un prodotto, la efficacia di una intervista, ma pretende che vi sia l’abbandono e la follia… Quasi forzate, di sicuro sorprese, le due protagoniste scopriranno che si può amare ancora, forse diversamente, ma non meno intensamente, che esisterà sempre un domani per provare un sentimento intenso, che ripartire è soltanto partire ancora una volta, che amare è la vera e unica forza universale ed eterna. E sta dentro di noi. E questa capacità durerà all’infinito. Non ci sono prìncipi azzurri ma uomini che riescono a comprenderle e a rispettarle, che si amano e le amano. E l’eternità è l’attimo in cui ci si sente ricambiati dello stesso amore, senza filtri e senza progetti. I personaggi maschili – in quanto tali – si sono sviluppati autonomamente, direi proprio a prescindere da me. Stabilita la personalità, il tipo psicologico da adottare, posso dire che gli attori si sono mossi, all’interno del romanzo, seguendo coerentemente le loro caratteristiche, con la loro precipua personalità. In verità la scelta di questi due caratteri è nata dall’esigenza di creare una dicotomia forte tra attori che non hanno un vero interesse a vivere più intensamente il loro rapporto, concentrati sulle loro scelte e sul loro modo di vivere, e attrici che si scoprono ancora pervase dalla tensione emotiva, dalla passionalità, dal desiderio di giustificare l’esistenza del loro amore.
Cosa vorrebbe che i lettori portassero con sé dopo aver letto il suo libro? Pensa ci siano lezioni universali che possono trarre dalle esperienze dei suoi protagonisti?
Beh, vorrei essere riuscito a coinvolgere il lettore, tanto nella trama delle due storie, delle due vicende umane, quanto nella esperienza del sentimento. Al tempo stesso non credo di essere in grado di esporre teorie universali. Immagino che questo romanzo possa suggerire spunti privati di riflessione e di introspezione. Forse lo spunto più rilevante è il concetto di ripartenza. La sconfitta – così come l’errore – fan parte della nostra natura, da entrambi si riceve una lezione, un messaggio, un indizio, per dirla semioticamente. Nelle dinamiche dei rapporti di coppia – quali essi siano – bisognerebbe accettare il principio che le storie, i sentimenti, posso mutare per mille e mille ragioni, poiché noi stessi cambiamo nel tempo, evolviamo, procediamo in direzioni che, talvolta, ci allontanano impercettibilmente, ogni istante, dal nostro partner. Due persone possono percorrere strade comuni, condividerle come complici infinitamente, ma potrebbero anche dividersi, prima ancora di smettere di amarsi e non ritrovare più lo stesso percorso. Per quanto faticoso, si deve trovare il coraggio e la forza di ripartire, non chiudersi a doppia mandata in un lutto colpevole, elaborare e cercare di capire cosa sia successo. Rimettersi in gioco. L’Amore è una favola sempre e la speranza sincera è proprio che esso duri per sempre. L’Amore che non esiste è quello patinato, indistruttibile, lo dice anche una delle due protagoniste del romanzo, perché è privo di sostanza, stabilito e sancito, non scelto, ogni minuto. Ripartire non è ripetersi, inutile cercare di rifare la stessa strada. Ripartire è accettare la sostanza di cui siamo fatti, imperfetti ma capaci di rinnovarci e di provare ancora umane sensazioni e sentimenti. Forse è questo che rende l’Amore eterno.
Ringraziamo Gianpiero Bessone per averci accompagnato in questo viaggio alla scoperta delle dinamiche complesse che caratterizzano i rapporti d’amore. “La favola dell’amore che non esiste” ci invita a riflettere su come affrontiamo le relazioni e i nostri ideali amorosi, ricordandoci che, al di là delle illusioni, la vera felicità si trova nell’accettazione della realtà e nel saper rinascere anche dopo le delusioni.
