Oggi abbiamo il piacere di ospitare Cristina Nagliati, autrice del toccante romanzo “L’appuntamento”, una storia che esplora l’intensità delle emozioni, i legami invisibili che ci uniscono e la vulnerabilità che accompagna l’amore. Ambientato sulle sponde del suggestivo lago di Como, questo romanzo racconta di due anime che, dopo anni di silenzio e distanza, si trovano a confrontarsi con il loro passato e i loro sentimenti. In un fine settimana intenso e carico di emozioni, i protagonisti si riconoscono nelle loro fragilità, scoprendosi tanto simili quanto diversi. Cristina, benvenuta e grazie per essere con noi.
“L’appuntamento” è un romanzo carico di emozioni e di introspezione. Da dove nasce l’ispirazione per raccontare questa storia d’amore e di riconciliazione?
Vi svelerò un segreto. Non sono io che ho scritto questo libro: è il libro che si è fatto scrivere da me. Io sono stata solo la penna – pardon, la tastiera – che questo testo ha utilizzato per venire alla luce. Qualche tempo fa, ad un vernissage, ho ascoltato con interesse la genesi di un’opera d’arte, che esiste in maniera immateriale prima ancora che il suo ideatore la concepisca e, solo quando la creazione artistica si sente pronta, allora decide di prendere forma attraverso un autore che ha il compito di trasformare quell’idea in materia. Ecco, a me, è successa la stessa cosa: non fraintendetemi, non ho la presunzione di aver realizzato un capolavoro, ma il modo in cui è nato questo libro è proprio quello qui descritto. Non avrei mai pensato, infatti, di scrivere un volumetto come questo ed il caso ha sicuramente giocato un ruolo fondamentale in questa storia, oltre alle associazioni mentali tra ricordi che hanno avuto molto peso unite ad una buona dose di fantasia. Un’intervista ascoltata alla tv nel periodo Covid è stata la miccia che ha innescato il processo: si narrava di un’amicizia nata tra due signore iscritte allo stesso corso di ginnastica on line, che non vedevano l’ora di incontrarsi di persona, appena tutti fossimo stati liberati da quella cattività virulenta. La vicenda mi rammentò il racconto della nascita di un amore che una turista inglese mi fece nella sala d’aspetto dell’aeroporto, all’epoca in cui vivevo a Granada: lei ed il futuro marito si erano conosciuti per errore, quando lui aveva digitato un numero di telefono sbagliato, contattando senza saperlo colei che sarebbe diventata sua moglie. Dopo varie chiamate e messaggi, avevano deciso di trovarsi a Londra e il resto è facile a immaginarsi. In quell’istante pensai a quanto sarebbe rimasto in sospeso il loro appuntamento se fosse accaduto nel momento storico che stavamo trascorrendo in attesa: come sarebbe andata tra loro? Scrissi così le prime pagine di questo libro, ma non saprei dire quale sia il punto esatto del suo inizio. A mano a mano che le settimane passavano e noi riuscivamo lentamente a conquistare frammenti di libertà, ciò che osservavo cambiare attorno a me faceva riaffiorare ricordi di episodi vissuti, ascoltati o letti e, a poco a poco, mi domandavo come avrebbero agito i miei due protagonisti in situazioni analoghe. Sentivo che, pagina dopo pagina, mi stavo affezionando a loro e che loro stavano prendendo vita, acquistando una propria identità. Dovevo solo cucire assieme le parti che sparse avevo scritto senza continuità in quei mesi o addirittura anni addietro e, oplà, il libro era nato.
Il lago di Como, con la sua atmosfera romantica e malinconica, gioca un ruolo importante nell’ambientazione del romanzo. Come hai scelto questa location e quanto ha influito sulla narrazione?
Ah, ma allora vogliamo proprio conoscere il dietro le quinte del mio lavoro e svelate tutti i suoi segreti… Forse vi deluderò, perché anche qui un grande ruolo ha avuto il caso e tutta la colpa, o il merito, si deve ad un mio amico lombardo che, per mostrarmi la bellezza della sua terra, mi aveva inviato molte foto dei luoghi attorno al lago di Como. Rimasi incantata da alcune vedute e pensai che sarebbero state location ideali per la storia dei miei due protagonisti. Sempre per associazione di idee, la mente volò all’ambientazione del più noto romanzo non-romanzo che tutti abbiamo studiato a scuola e decisi che, a differenza del suo happy end, il mio libro avrebbe seguito la tradizione del repertorio lirico italiano ottocentesco, che prevede la fine tragica della protagonista a sublimare un amore che, per questo, resterà eterno. Non conoscendo molto Como e dintorni, mi documentai cercando immagini e leggendo descrizioni di quel territorio per riuscire a calarmi nei personaggi che fisicamente si sarebbero mossi in quelle località e immedesimarmi in loro: volevo provare le loro stesse sensazioni e sentimenti. Alcuni scorci visti in internet hanno ispirato anche alcune scene del libro, fungendo non solo da fondali scenici, ma da espedienti narrativi ed emozionali che inducevano i miei eroi a raccontarsi. Io, come ho detto, mi sono limitata ad osservarli in lontananza e a tratteggiare con le parole ciò che vedevo.
I protagonisti del tuo romanzo affrontano non solo il presente ma anche il loro passato, fatto di dolori e distanze. Come hai costruito il loro rapporto e le dinamiche psicologiche che li caratterizzano?
Non vi è stato uno studio preliminare sulle dinamiche che fanno vivere la coppia al centro della narrazione: come ho detto, non ho scritto in sequenza i capitoli e, mentre cercavo di legare assieme i vari brani, rileggendo incessantemente per dare fluidità al testo, ho operato come una ricamatrice che non teme di disfare una parte di manufatto se va a scapito della qualità complessiva del disegno intessuto. Durante questo lento lavoro di vera e propria cesellatura, comprendevo meglio la psiche dei personaggi e il rapporto che si stava costruendo tra i due protagonisti. Sono stati essi stessi a svelarsi e a mostrarmi il loro carattere: lei appassionata, capace di un amore eterno e romantico, desiderosa di un riscatto sentimentale dopo cocenti dolori; lui dolce, sensuale e gravato da ferite nell’animo che lo accompagnano sin dall’infanzia. Non potevano che incontrarsi e scoprirsi così differentemente simili nell’attendere e nel desiderare la bellezza di un nuovo sorriso e la speranza di una nuova vita.
Il tema della vulnerabilità è centrale nel tuo libro, con i personaggi che si rivelano “nudi” nei loro sentimenti. Quanto è importante, secondo te, lasciarsi andare a questa vulnerabilità nelle relazioni umane?
Costruire relazioni umane significa sempre imparare un gioco di equilibrio: non con tutti, infatti, possiamo essere nudi nei nostri sentimenti allo stesso modo. Mostrare le nostre vulnerabilità è, però, l’unico modo che abbiamo per aprirci agli altri e farli penetrare nel nostro mondo. Per essere empatici e far sì che l’empatia degli altri entri in contatto con noi e ci contagi. Spesso, per difesa, ci costruiamo dure corazze: purtroppo, se è vero che esse sono il nostro strumento protettivo; tuttavia, sono anche ciò che ci separa ed allontana reciprocamente. Solo se abbiamo la pelle esposta possiamo avvertire le sensazioni dell’ambiente attorno a noi ed entrare in reale contatto emozionale con le persone. Permettetemi un paragone architettonico che mi sembra particolarmente calzante: anticamente le città erano cinte da alte mura che avevano il compito di difenderle, ma, affinché il microcosmo urbano al loro interno si connettesse con il macrocosmo territoriale esterno, erano necessarie le porte d’accesso, che erano sì l’elemento più debole della difesa, ma anche assolutamente indispensabili per la sopravvivenza degli abitanti. Così è ogni essere umano: per sopravvivere – o, meglio, per vivere bene! – ha necessità di lasciarsi andare alla propria vulnerabilità, riconoscendosi in quella degli altri. Vulnerabilità significa imparare a vedere con gli occhi del cuore e a farsi vedere. La paura ci protegge, ma ci limita. Il coraggio ci espone a nuovi rischi, ma anche a nuovi orizzonti. Il limite tra l’uno e l’altro è un filo sottile che solo le relazioni umane appaganti ci insegnano a percorrere camminandoci sopra come un acrobata equilibrista.
C’è un messaggio specifico che speri i lettori possano trarre dalla storia di questi due personaggi, che, nonostante le difficoltà e le illusioni, si scoprono legati da un amore profondo?
I messaggi, o insegnamenti che siano, possono essere lasciati solo dai grandi maestri e io non lo sono. Mi è piaciuto semplicemente raccontare una storia e, nello scriverla, avevo in mente un lettore ben preciso: mia nipote Emma, che, sin dalla più tenera età, è sempre stata una divoratrice di libri. Le opere, una volta composte, vivono una vita a sé, che va oltre colui che le ha ideate, e per questo sono in grado autonomamente di diffondere più messaggi di quanti se ne possano ipotizzare. Ognuno con la propria sensibilità riuscirà sempre a serbare un’emozione. Ciò che, invece, vorrei regalare a chiunque è qualche ora di piacevolezza: ma soprattutto sarei tanto curiosa di sapere se qualcuno intravede una parte di sé nei miei due protagonisti che volutamente sono senza nome, come del resto lo sono tutte le anime. Solo quelle affini, prima o poi, s’incontrano: a volte soltanto in un incontro fugace come una scintilla in un sorriso; altre, invece, in un più coinvolgente appuntamento lungo quanto un libro che narra di un amore profondo.
Grazie mille, Cristina, per averci parlato del tuo romanzo “L’appuntamento”. È stato un vero piacere immergerci nelle tematiche profonde che hai trattato e scoprire il viaggio emotivo dei tuoi personaggi. Siamo certi che i lettori apprezzeranno l’intensità di questa storia e l’universalità dei sentimenti che racconti. Ti auguriamo il meglio per i tuoi progetti futuri e speriamo di leggere presto altre tue opere.
