Oggi abbiamo il piacere di parlare con Giovanni Grossi, autore del libro “Sogni infranti (e non) di un bambino di 60 anni”, un’opera intensa e autentica che ci porta in un viaggio tra memorie personali e riflessioni storiche. Giovanni Grossi ci racconta la sua vita senza pretese di eroismo o fama, ma come quella di una persona comune, che, come tante altre, ha lottato per non affondare nelle difficoltà della vita. Con un linguaggio schietto e appassionato, ci offre una testimonianza che risuona di verità ed emozione.
Il suo libro non vuole essere un’autobiografia tradizionale, ma piuttosto il racconto di un uomo comune. Cosa l’ha spinta a condividere queste memorie e riflessioni con il pubblico?
Gli ultimi anni non sono stati proprio sereni, soprattutto dopo aver vissuto il periodo del Covid. Questi, per me sono stati anni persi, quasi non vissuti, alla mercè di un virus e delle possibili soluzioni che ci sono state propinate per uscirne. Come narro nella prefazione, mi è sembrato di essermi ritrovato in una zona sconosciuta, quasi non riconoscendomi e non essendo consapevole di come fossi arrivato in quel posto; aggiungerei che pensavo stesse finendo il tempo a me concesso. Ho cercato quindi di ricordare e mettere insieme la mia vita cercando di darle un senso, capire la mia evoluzione nel corso del tempo, cercando vanamente anche di dare una spiegazione al suo incessante divenire. Da qui l’esigenza di trascrivere questi ricordi si è fatta man mano più pressante, non avevo soluzioni per uscire da questi dilemmi. Poi, nella stesura del libro mi sono quasi tranquillizzato, come se, scrivendo, avessi trovato le risposte alle domande che mi ponevo.
Nel libro si intrecciano vicende personali e storiche. Come ha scelto quali episodi storici includere e quale impatto hanno avuto sulla sua vita?
Parto dall’infanzia e dall’acquisto del primo televisore. Esso ha aperto un mondo che non avrei conosciuto vivendo in un piccolo paesino l’allunaggio e il primo trapianto di cuore visti da bambino, l’esplosione della centrale atomica nell’ex Unione Sovietica e il rapimento con il successivo delitto di Aldo Moro quando ero già quasi maggiorenne (anche se ce ne sono molti che non ho menzionato). Per i mezzi di quel tempo e per ciò che riuscivamo a vedere, tutta la fase preparatoria, le interviste, i collegamenti che spesso si interrompevano tra l’Italia e i corrispondenti negli Usa (Emanuele Orlando e Tito Stagno), creavano attese, voglia di conoscere, di sapere come fosse possibile che uno o più uomini potessero effettuare una tale impresa. Si sapeva di una corsa per conquistare lo spazio, come se la terra non bastasse, tra USA e URSS, ma almeno questa veniva compiuta senza armi, sembrava quasi fosse una gara, uno sprint, usando le proprie conoscenze tecnologiche: credo che qualsiasi essere umano sia rimasto quantomeno sbalordito nel vedere un uomo, con tuta e scafandro, passeggiare e saltellare sulla superfice lunare e sicuramente questo effetto si amplifica nella mente di un bambino. A questo si affianca il primo trapianto di cuore del dottor Barnard: un chirurgo che dopo anni di studi riesce ad effettuare una simile operazione, salvando un uomo (o donna che sia) con le proprie mani e la propria mente, non senza tralasciare la donazione di un organo da parte di chi ha perso la vita, è qualcosa di sconvolgente, ma non irrealizzabile. Era ciò che pensavo da piccolo. Fare l’astronauta non l’ho mai desiderato, invece fare il chirurgo sì, era qualcosa di più terreno e realizzabile. Cernobyl’, invece, ci fece vivere una catastrofe lontana da noi, ma i cui effetti potevamo vederli in TV e immaginarli nelle centrali che avevamo vicino (Garigliano e Latina, entrambe chiuse). L’emergenza e la paura che si diffondevano non potevano non suonare come allarmi, come moniti al saper usare questa tecnologia con le dovute accortezze senza lasciare nulla al caso. Purtroppo, abbiamo visto con gli anni e gli accadimenti che il “caso” è procurato da noi uomini. Invece il rapimento Moro arrivò nel clou di smottamenti politici. Non ho mai nascosto le mie simpatie politiche, e anche se ragazzo, vedevo in Moro uno dei pochi politici corretti, persona forse troppo degna per stare in mezzo ad un branco di lupi, da cui era circondato. L’Italia non viveva un momento facile (come sempre succede), sconvolto anche da vari attentati mentre il mondo del lavoro era alle prese con grandi enigmi. Un governo debole di fronte a grandi problemi. L’unica soluzione possibile era il famoso “compromesso storico” con il PCI di Enrico Berlinguer, altra personalità di spicco di cui sentiamo la mancanza (PS: mio padre veniva chiamato “Berlinguer”). Ma come succede nelle vicinanze di ciò che potrebbe essere un cambiamento epocale, ecco che qualcuno interviene per impedirlo: da qui tutto finì. Il delitto dello statista, che i suoi colleghi (non definibili amici) di partito non vollero salvare, ne segnò la fine. Al contrario, qualche mese dopo ben si prodigarono per salvare un consigliere provinciale (Cirillo). Questi fatti turbarono molto mio padre e anche me, che già allora cominciai a sentire la politica distante non solo dai miei pensieri, ma anche dalla gente. In ultimo non posso non citare l’invasione della Russia in Ucraina, una guerra diversa dalle altre: qui si mescolano lo smantellamento dell’URSS, l’indipendenza dell’Ucraina, il ruolo della Nato. Le guerre sono combattute da persone che non si conoscono per colpa di persone che si conoscono: ma chi paga questo prezzo altissimo? I soldati, i cittadini in primis russi e ucraini, poi tutti noi vittime di speculazioni di ogni tipo: una guerra portata avanti fino a quando non ci sarà una catastrofe nucleare.
Lei menziona di non avere la verità in tasca, ma di voler condividere i suoi ricordi. Come spera che i lettori possano relazionarsi con le sue esperienze?
Se solo pensassi di avere la verità in tasca potrei essere tacciato di superbia, ma non lo sono. Solo Dio conosce la verità. La mia si limita ad alcuni eventi accaduti, parlerei più di esperienza maturata nel corso degli anni. Ognuno sceglie la propria via, crea la propria vita (si spera) con le proprie mani ed energie, ma la storia dovrebbe insegnarci che certe strade sbagliate non vanno ripercorse (ma nelle ultime righe della precedente domanda succede proprio questo). Io mi rivolgo alle persone comuni come me, a quelle che ogni mattina si alzano per andare al lavoro o a studiare per costruire il proprio futuro. Tutti, chi prima e chi dopo, ci siamo imbattuti in eventi, belli o brutti, che magari non avevamo preventivato, ma da cui ne siamo dovuti uscire più forti di prima, se non indeboliti. Spero che il lettore si riveda in me, che non si lasci abbattere quando tutto sembra irreparabile. Forse ho avuto una mente ben salda, solida, anche merito dell’educazione ricevuta dai miei genitori, mentre ho visto altre persone perdersi per aver vissuto momenti tragici (ma questi fanno parte della vita, bisogna affrontarli). Prima o poi qualcosa o qualcuno ci farà cadere, ma bisogna essere pronti a rialzarsi, sempre e più forti di prima.
La sua vita è stata caratterizzata da una continua ricerca di nuove esperienze e conoscenze. Quali di queste esperienze hanno lasciato il segno più profondo nel suo percorso?
Non ci sono veri e propri episodi che in questo senso hanno lasciato un segno, ma tante piccole cose, eventi, o persone che mi hanno guidato o da cui ho appreso molto. Penso alla maestra Teresina delle elementari o alla professoressa Franca delle medie che ci fece conoscere già allora temi e problematiche che stiamo affrontando oggi come il cambiamento climatico (ci vedeva lungo). Penso a Piero Angela, verso cui ho sempre nutrito una certa ammirazione e rispetto. Ogni puntata del suo Quark era una nuova scoperta e con esso mi foraggiavo: ciò che metteva sempre in risalto era come con l’intelletto si possano superare molte barriere e superstizioni che spesso condizionano le persone (ricordo, ad esempio, gli esperimenti su Uri Geller che affermava di piegare i cucchiai con la sola forza del pensiero, poi smascherato e rivelatosi solo un’illusionista). Dal punto di vista lavorativo e umano non posso non menzionare l’esperienza estiva romana. Anche qui ho imparato molto, in cucina soprattutto: qualche anno fa ero talmente preso dalla cucina che feci un provino a Masterchef, che poi ho dovuto abbandonare per sopraggiunti problemi. La prima esperienza nell’azienda in cui lavoro, dove vedevo persone con la quarta elementare mettere in riga ed avere il rispetto di ingegneri, è un mix che ho ben assorbito e di cui mi sono nutrito. In effetti ho sempre cercato una nuova via: una volta mi cimentai nella scrittura di una sceneggiatura per un film senza avere successo, ho vestito i panni dell’inventore realizzando accessori per racchette da tennis e un poggiatesta per mia figlia. Ora eccomi, ho ricordato di saper scrivere temi interminabili già da piccolo fino al liceo e sto provando a scrivere libri, ma non mi definisco uno scrittore. Il tempo dirà se lo sarò diventato.
Qual è il messaggio principale che vorrebbe che i lettori portassero con sé dopo aver letto “Sogni infranti (e non) di un bambino di 60 anni”?
Vivere la vita in armonia sarebbe un bel messaggio e alcuni passi del libro ne danno rilievo: il tempo passa inesorabilmente per ognuno di noi e non ci rimane che viverlo al meglio. Questa armonia però è data da ciò che facciamo giornalmente e costantemente: se diamo amore non possiamo che riceverne…pazienza se qualcuno non lo capirà. Vivere la vita con la semplicità che ormai stiamo perdendo riporterebbe l’umanità ad essere più umana, ma questa è pura utopia. Spero di aver trasmesso emozioni, come le ho provate io nelle varie fasi della vita per gli eventi accaduti. È ciò che mi propongo con queste righe. Parto dal titolo del libro, con la parola “Sogni” e di seguito le parentesi che racchiudono un qualcosa (e non). Questo è dedicato soprattutto ai più giovani (mia figlia in testa): i sogni non solo fanno parte della nostra vita, ma la indirizzano, la plasmano giorno dopo giorno. Bisogna averne tanti perché purtroppo non potranno essere tutti realizzati (Infranti), ma comunque bisogna lottare per concretizzarli. Le parentesi (e non), quindi, indentificano il cassetto che ancora ne contiene e che cerchiamo di realizzare. Quindi, ragazzi e ragazze, sognate, sognate una vita migliore e combattete per realizzarla. Buona lettura.
Ringraziamo Giovanni Grossi per averci aperto una finestra sui suoi ricordi e pensieri, offrendoci uno sguardo sincero e toccante su una vita vissuta con curiosità, passione e resilienza. “Sogni infranti (e non) di un bambino di 60 anni” è un’opera che ci ricorda quanto ogni storia personale sia unica e preziosa, e ci invita a riflettere sul nostro stesso viaggio.
