GRUPPO ALBATROS IL FILO PRESENTA: L’epifania del sacro. II edizione – Giorgio Libero Sanna

Oggi abbiamo il piacere di ospitare sul nostro blog Giorgio Libero Sanna, autore del saggio “L’epifania del sacro. II edizione”, un’opera che affronta tematiche di grande rilevanza per il nostro tempo. In questo saggio, Sanna esplora la “dimensionalità originaria” dell’esperienza umana, partendo dalle teorie di pensatori come Franco Selleri e Nicholas Georgescu-Roegen, per affrontare la crisi energetica e il collasso della civiltà industriale. Con una solida formazione in fisica e giurisprudenza, e un interesse costante per l’epistemologia, l’autore ci guida attraverso una riflessione profonda su come la scienza e la cultura moderna abbiano plasmato il nostro modo di vivere e pensare.

Nella seconda edizione del suo saggio, lei approfondisce il concetto di “dimensionalità originaria”. Potrebbe spiegarci come questo principio si relaziona con la crisi energetica che stiamo vivendo?

Credo che, per rispondere in maniera soddisfacente alla prima domanda, sia opportuno iniziare dal titolo del libro e dalla sua genesi. Il titolo del libro (che ha una certa assonanza con quello di Umberto Galimberti intitolato “Le orme del sacro” ma ne è completamente estraneo nel contenuto filosofico ed epistemologico) ha avuto la sua genesi dalla lettura del saggio di Benveniste sui pronomi personali e dimostrativi e sugli avverbi dimostrativi di luogo nonché dalla lettura della “Lettera sull’umanismo” di Heidegger e dal commento a detta lettera svolto da Slotterdijk nel suo saggio “La domesticazione dell’essere”. Come evidenzia Benveniste l’uomo non potrebbe parlare senza l’uso dei pronomi personali e dimostrativi e degli avverbi dimostrativi di luogo per cui essi plasmano la struttura concettuale portante del linguaggio umano che è, perciò, fortemente caratterizzata, in maniera indelebile, dalla “spazialità”. E dall’analisi di questa struttura profonda del linguaggio emerge che gli uomini (spesso inconsapevolmente) usano un particolare avverbio dimostrativo di luogo come indicatore linguistico della “dimensionalità originaria” e cioè della “dimensione spaziale aperta ed indeterminata” in cui, in ultima analisi, si trovano a stare assieme a tutti gli altri enti. Detto uso si contrappone a quello degli altri avverbi dimostrativi di luogo utilizzati quali indicatori linguistici di porzioni chiuse e determinate di spazio (qui, costì, colà). In italiano per indicare la “dimensionalità spaziale originaria” viene usato l’avverbio dimostrativo di luogo “ci” (in tedesco “da”). Infatti, quando diciamo, per esempio, “io ci sono oppure questo c’è”, senza nessun’altra specificazione, intendiamo dire che l’ente parlante e l’ente osteso sono nella “dimensionalità originaria” che sta tutt’attorno a noi e agli altri enti che ostendiamo e in cui siamo completamente immersi e da cui non possiamo mai prescindere. Quindi, mentre i pronomi personali e dimostrativi (questo, codesto, quello) e gli avverbi dimostrativi di luogo (qui, costì, colà) indicano gli enti determinati e osservabili che stanno in una porzione di spazio determinata (per esempio un campo gravitazionale) il “ci” può essere usato per indicare la misteriosa “dimensionalità originaria” indeterminata e inosservabile che costituisce per Heidegger il “sacro” nel senso greco del termine e che può anche essere evocata con altri nomi come “Logos” o “Tao”. Per Heidegger detta enigmatica “dimensionalità originaria” determina tutto ciò che in essa si trova, tutto ciò che appunto è in essa, tutto ciò che “c’è”, poiché gli enti sono, per così dire, necessariamente “incastonati” in essa e non si può parlare degli enti senza parlare, anche solo indirettamente, della “dimensionalità originaria” in cui essi necessariamente sono. E poiché la “dimensione originaria” non è un ente, di essa si può dire solamente (come afferma Heidegger) che è “ni-ente”. Infatti, mentre di un ente (cosa) possiamo (anzi dobbiamo) sempre dire che “c’è”, del “ci” (e, quindi, della “dimensionalità originaria”) non possiamo dire niente, neanche che il “ci” è (nessuno, infatti, si sognerebbe di fare un’affermazione del genere perché sarebbe priva di senso in qualsiasi lingua). In sostanza, gli uomini, seppur inconsapevolmente poiché non viene loro insegnato, quando usano l’avverbio dimostrativo “ci” in senso esistenziale indicano e nominano la dimensione “sacra”, “divina” del loro abitare e soggiornare (ovvero, usando la terminologia heideggeriana, del loro in-essere, in-stare) nella “radura dell’essere”.

Il pensiero di Franco Selleri e Nicholas Georgescu-Roegen ha avuto un impatto significativo sul suo lavoro. In che modo le loro teorie hanno influenzato la sua analisi del collasso della civiltà industriale?

Nel leggere i libri di Selleri mi sono reso conto che la “dimensionalità originaria” oltre ad emergere dall’analisi filosofica della struttura portante del linguaggio umano emerge anche, come esposto ampiamente nel saggio, dall’analisi profonda della struttura concettuale portante della fisica. Selleri afferma più volte, nei suoi libri, che l’energia è la “sostanza” dell’universo, “l’essenza di tutti gli (ess)enti”. In fisica, pertanto, la “dimensionalità originaria” emerge come, “essenza”, come forma primordiale, intrinsecamente indeterminata e inosservabile, di energia da cui sono verosimilmente derivate tutte le altre forme determinate e osservabili (energia di massa, energia cinetica, energia radiante, energia di campo). Quindi, il concetto di “dimensionalità originaria” oltre ad avere un preciso significato filosofico, può avere anche un rigoroso significato epistemologico. Infatti, la rigorosa applicazione delle leggi di conservazione della quantità di moto e dell’energia (intese, come afferma Selleri quando evidenzia il carattere basilare, per la fisica, del teorema di Noether, come leggi fondamentali della fisica, assieme naturalmente alle altre fondamentali leggi di conservazione, come la conservazione della carica elettrica e della carica nucleare e cioè del numero barionico) alle quattro interazioni fondamentali tra le particelle elementari che costituiscono la materia stabile (compresi i quanti di radiazione) portano inevitabilmente a quello che può essere definito “l’enigma dell’arbitrarietà delle condizioni iniziali”, enigma che è, per così dire, la “sacra orma” lasciata dalla “dimensionalità originaria” nella struttura concettuale portante della fisica. La “dimensionalità originaria”, in termini fisici si può quindi pensare come ad uno “spazio originario senza campi” per usare la definizione che ne fornisce Ilya Prigogine nel suo saggio “Tra il tempo e l’eternità”. Peraltro, leggendo l’opera di Georgescu-Roegen, ci si rende conto che dalla struttura concettuale portante della fisica (e cioè il teorema di Noether, che evidenzia la perfezione matematica della “dimensionalità originaria”, caratterizzata dalla “sacra orma” della legge di conservazione dell’energia e da quella che Selleri denomina la sua “sorellina vettoriale” e cioè la legge di conservazione della quantità di moto), emerge anche che il destino della civiltà industriale è quello di andare incontro ad un inevitabile collasso energetico, per le ragioni esposte nel capitolo finale della prima parte del libro e più dettagliatamente nella seconda parte. E nell’avvento di detto collasso si sostanzierà “l’epifania del sacro” (la manifestazione della “dimensionalità originaria”: la forma primordiale di energia che “determina” il destino di tutti gli enti fisici, particelle, quanti di radiazione, campi) nell’epoca della fine della civiltà industriale. Infatti, l’energia sostiene lo stare di qualsiasi stato fisico e l’avvenire di qualsiasi evento fisico, compresi gli stati e gli eventi cosiddetti economici. E la civiltà industriale, per stare ed avvenire, ha necessità di abbondanti flussi di energia fossile. In estrema sintesi, analizzando l’universo su un piano strettamente energetico (seguendo quindi l’impostazione di Selleri tesa a porre in primo piano l’energia come “essenza” dell’universo) si può dire che tutte le fonti di energia sono strettamente connesse con le quattro interazioni fondamentali sperimentate in natura (gravitazionale, elettromagnetica, nucleare debole e forte). A livello cosmico, la gravitazione e le interazioni nucleari esotermiche, che alimentano la combustione nucleare nelle stelle, sono le fonti prevalenti di energia mentre a livello terrestre, semplificando molto, si possono riassumere in questo modo: la Terra si trova in una buca gravitazionale ed è investita dalla radiazione solare la quale alimenta il ciclo dell’acqua e il moto dei venti. Le prime fonti di energia si hanno, quindi, dalla caduta dell’acqua e dal moto dei venti che, infatti, sono state sfruttate dall’uomo in tempi precedenti alla rivoluzione industriale. Per quanto riguarda le fonti attinenti alle interazioni elettromagnetiche, le fonti principali di energia derivano dalle reazioni chimiche endotermiche, come la fotosintesi clorofilliana, che consentono di immagazzinare energia la quale (semplificando ancora una volta) può essere utilizzata mediante la combustione del legno e mediante la forza muscolare degli animali (e ovviamente dell’uomo). La civiltà industriale si è sviluppata utilizzando la gigantesca bolla di energia fossile contenuta nelle viscere della Terra e derivante anch’essa, in ultima analisi, dalla energia solare immagazzinata con la fotosintesi. C’è, infine, l’energia immagazzinata nei nuclei atomici dell’uranio 235 che si sono formati, a livello cosmico, con reazioni nucleari endotermiche. Il petrolio è il combustibile fossile con la più alta densità e intensità (potenza) di energia ma la gigantesca bolla di energia derivante dal petrolio sta manifestando enormi rendimenti decrescenti in termini di EROEI (rapporto tra energia investita ed energia ottenuta) e prima o poi ai rendimenti decrescenti si aggiungerà anche il declino dei volumi prodotti (la diminuzione dei volumi del petrolio è iniziata alla fine del 2018 e continuerà implacabilmente nei prossimi anni). Tutta la produzione industriale, compresa quella delle strutture fisiche utilizzate dalle cosiddette energie rinnovabili, si basa sul petrolio, persino quella degli altri combustibili fossili (gas e carbone). Si è cercato di sopperire ai rendimenti decrescenti del petrolio (aumento dei costi di estrazione) con la stampa esponenziale di debito e di moneta nonché producendo a debito, a causa della sua scarsa redditività, il petrolio di scisto statunitense, lo shale oil. Ma se lo shale oil toccherà il picco di produzione quest’anno, come sostengono molti specialisti del settore, allora nel 2025 si assisterà ad un collasso finanziario di proporzioni epiche con tutto ciò che ne conseguirà in termini sociali. In particolare, gli Stati Uniti d’America, che mediante il cosiddetto “privilegio valutario” vivono alle spalle di tutto il resto del pianeta, stampando pezzi di carta colorata e ottenendo in cambio preziose materie prime e manufatti, cercheranno di mantenere questo privilegio a tutti i costi e cercheranno di distruggere chiunque cerchi di liberarsi da questo giogo, scatenando guerre per accaparrarsi le risorse residue. Giovanni Arrighi, già nel 2007, nel suo libro “Adam Smith a Pechino”, richiamato nel saggio, affermava che, al fine di occultare la più grande insolvenza della storia dell’umanità, gli Stati Uniti e l’Europa occidentale avrebbero cercato di “bruciare i libri contabili” in una grande guerra. Ora trovo opinioni analoghe in noti specialisti della finanza come lo statunitense Martin Armstrong: https://www.zerohedge.com/geopolitical/wests-governments-need-war-warns-martin-armstrong-because-their-debts-are-no-longer. A chi è convinto che le cosiddette “energie rinnovabili” ci verranno in soccorso con una “transizione energetica” che ci consenta di continuare il nostro stile di vita industriale posso solamente dire che l’energia elettrica, non essendo, notoriamente, una fonte di energia bensì un vettore di energia, per essere prodotta ha bisogno di una o più fonti di energia. Infatti, le centrali elettriche devono essere alimentate da una fonte di energia che, a livello terrestre può essere solamente, come già detto, la caduta dell’acqua (centrali idroelettriche), il vento (centrali eoliche), i combustibili fossili, carbone, metano e petrolio (centrali termiche) e i combustibili nucleari (centrali nucleari). Ebbene, poiché le centrali idroelettriche patiscono dei forti vincoli idrografici e possono quindi produrre al massimo circa il 10% dell’elettricità mondiale e le centrali eoliche, a causa del loro funzionamento discontinuo hanno comunque necessità di una rete elettrica alimentata da fonti convenzionali continue e quindi possono solamente aggiungersi ad una base elettrica convenzionale ma mai sostituirla, possiamo dire, ragionevolmente, che non più del 20% dell’elettricità può provenire dalle centrali eoliche. Rimarrebbero quindi almeno due terzi di elettricità da produrre mediante centrali alimentate a carbone, a metano (il petrolio oramai è utilizzato raramente per produrre elettricità) oppure con combustibile nucleare. Ma quello che si trascura quando si parla di transizione energetica è che per l’estrazione, il trasporto e la lavorazione dei minerali e delle materie prime che servono per costruire e gestire le centrali idroelettriche, quelle eoliche, quelle termiche e quelle nucleari occorrono macchinari alimentati con abbondanti quantità di gasolio. Persino per estrarre il metano e il carbone serve gasolio. Senza gasolio non si possono costruire neanche pannelli solari e automobili elettriche. Detto in sintesi non si possono costruire pale eoliche e pannelli solari con la sola energia prodotta dalle pale eoliche e dai pannelli solari. Ma, soprattutto, senza gasolio non ci può essere una cosiddetta agricoltura industriale, quella che ha consentito l’attuale popolazione mondiale di quasi otto miliardi di persone. Infatti, la pecca più grave del pensiero cosiddetto “green” è che il problema fondamentale del decremento delle risorse energetiche fossili non è certamente la mobilità privata e commerciale o il riscaldamento domestico ma la produzione e l’approvvigionamento di cibo. Come evidenzia magistralmente James Howard Kunstler nel suo libro “The long emergency” (in italiano “Collasso”) scritto nel 2004 e di cui ti consiglio vivamente la lettura, l’agricoltura industriale è impossibile senza i combustibili fossili e non tanto per la meccanizzazione (ed è tutto da vedere se i trattori elettrici e tutti gli altri macchinari agricoli che dovranno essere alimentati elettricamente potranno sostituire quelli alimentati a diesel) ma soprattutto per quella vasta gamma di concimi e di anticrittogamici che viene prodotta dai combustibili fossili in quantità industriali e che garantisce il livello di produzione che consente di sfamare (a malapena) 7 miliardi di esseri umani. Ma poi, con quale energia si produrrebbero i fantomatici trattori elettrici, con quale energia verranno estratti i minerali per produrli, con quale energia funzioneranno le industrie metalmeccaniche, gli altoforni etc, etc? Con l’energia elettrica prodotta dai pannelli solari e dalle pale eoliche? e a sua volta le pale eoliche e i pannelli solari con quale energia verranno prodotti? E abbiamo sufficienti quantità di minerali per produrli? Proprio alcuni mesi fa sono state pubblicate notizie sul fatto che le miniere di rame del Cile stanno mostrando un calo consistente della produzione dovuto al loro esaurimento. Non tutti si rendono conto di quanto il petrolio sia speciale come fonte di energia. Come già detto, non esiste una fonte di energia più densa (concentrata nello spazio) e intensa (concentrata nel tempo e cioè fisicamente potente) del petrolio. Mio padre nonostante non avesse neanche la terza media, dato che era rimasto orfano a 11 anni (nel 1935 non esisteva lo Stato sociale), l’aveva intuito chiaramente e mi diceva già quando ero bambino, avendo anche vissuto la crisi energetica degli anni 70′ del secolo scorso, che la civiltà industriale sarebbe finita quando sarebbe finito il petrolio. Georgescu-Roegen nelle sue opere elabora la fondamentale distinzione tra “tecniche fattibili” e “tecnologie autosostenentesi” che è completamente misconosciuta dagli scienziati ed economisti del paradigma scientifico ed economico dominante. Moltissimi economisti e scienziati ignorano completamente questa fondamentale distinzione quando svolgono le loro argomentazioni sulla transizione energetica. Soprattutto non si rendono conto che una “tecnica fattibile” non è necessariamente una “tecnologia autosostenentesi”. Per fare un esempio, tempo fa il noto fisico, premio Nobel, Carlo Rubbia (https://www.ecoblog.it/post/140038/il-nobel-rubbia-dicerinnovabili-troppo-costose-meglio-gli-idrati-di-metano/), propose come fonte abbondante di energia gli idrati di metano (clatrati). Ebbene è pur vero che i fondali oceanici sono ricchissimi di idrati di metano ma è anche vero che il loro recupero, seppur fattibile, è estremamente costoso dal punto di vista energetico. La “pesca” oceanica degli idrati di metano è quindi una “tecnica fattibile” ma non certo una “tecnologia autosostenentesi”. E, infatti, non se ne sente affatto parlare nei mezzi di informazione. La stessa cosa si può dire di tante altre presunte fonti di energia (l’idrogeno, la fusione nucleare, i biocarburanti, etc). Il caso dell’idrogeno è, a mio parere, particolarmente emblematico. Ancora Rubbia, come pure molti altri scienziati e tecnologi, propone l’idrogeno come sostituto dei combustibili fossili (https://st.ilsole24ore.com/art/tecnologie/2013-04-10/dalle-ricerche-rubbia-metodo-154002.shtml?uuid=AbpHEzlH). E’ una proposta che lascia sconcertati in quando un qualunque studente che abbia fatto il liceo scientifico sa o dovrebbe sapere che sulla Terra l’idrogeno non può mai essere una fonte di energia ma solamente un vettore di energia (come la corrente elettrica). Infatti, sulla Terra l’idrogeno molecolare non esiste (se non in pochissimi giacimenti di cosiddetto idrogeno bianco a tutt’oggi rimasti non sfruttati per la loro irrilevanza) in quanto l’idrogeno molecolare tende a reagire “spontaneamente” con molti altri elementi chimici mediante reazioni chimiche cosiddette “esoenergetiche”. Di conseguenza per ricavare idrogeno molecolare da utilizzare come combustibile è necessario utilizzare un’altra fonte di energia per scindere le molecole dei composti chimici in cui si trova, come per es. l’acqua. Ed è noto che l’energia normalmente richiesta per scindere le molecole dei composti che contengono l’idrogeno è superiore a quella che si ricava utilizzando l’idrogeno stesso come combustibile. Parlare, come fa Rubbia, di “metodo sostenibile per produrre idrogeno” significa ignorare, ancora una volta, la distinzione fondamentale tra “tecniche fattibili” e “tecnologie autosostenentesi” e conferma la veridicità della affermazione di Georescu-Roegen quando sostiene che riguardo al problema delle risorse “la confusione è dominante non solo tra gli economisti in generale… ma anche in altri elevati ambienti intellettuali“. E ciò e dovuto, come sottolinea Selleri, ad una scarsa, per non dire totalmente assente, preparazione culturale epistemologica sia degli economisti che degli scienziati (fisici e chimici in particolare). Del resto, solo l’assenza di un’adeguata, approfondita analisi epistemologica della struttura concettuale portante della fisica può aver portato la grandissima maggioranza dei fisici ad accettare acriticamente che la fisica stessa si fondi su un concetto come quello di probabilità, talmente oscuro e al limite della comprensibilità, da far dire a Bertrand Russell, ironicamente, che “il concetto di probabilità è il più importante della scienza moderna soprattutto perché nessuno ha la più pallida idea del suo significato“.

L’epistemologia della fisica teorica è uno degli argomenti centrali del suo saggio. Quali sono, a suo avviso, le principali difficoltà nel trasmettere un pensiero critico verso le ideologie antropocentriche di cui la scienza è portatrice?

Sul piano strettamente epistemologico, infatti, nel mio libro viene radicalizzata e portata alle estreme conseguenze la critica di Georgescu-Roegen e Ilya Prigogine al concetto di probabilità intrinseca, calcolata a priori, che Boltzmann ha posto a fondamento della sua interpretazione probabilistica della seconda legge della termodinamica, la legge di entropia, nonostante l’evidente incompatibilità del concetto di probabilità intrinseca calcolata a priori (secondo il calcolo combinatorio) con le leggi di conservazione della quantità di moto e dell’energia applicate ad una popolazione numerosa di molecole, in parte calde (veloci) e in parte fredde (lente) in moto all’interno di un contenitore. Le molecole, infatti, raggiungono uno stato di equilibrio termodinamico non certo a causa di un’oscura legge di entropia, basata appunto sul concetto di probabilità intrinseca calcolata a priori, ma proprio a seguito della stretta e rigorosa osservanza delle leggi di conservazione della quantità di moto e dell’energia in applicazione delle quali una molecola calda (veloce) cederà (quasi) sempre quantità di moto ed energia cinetica alla molecola fredda (lenta) fino al raggiungimento dello stato di equilibrio termico. Sempre sul piano epistemologico, nel mio libro viene radicalizzata e portata alle estreme conseguenze la critica di Selleri (che a sua volta segue il pensiero di Einstein e de Broglie) dell’interpretazione di Copenaghen della meccanica quantistica, a sua volta fondata sul concetto di probabilità intrinseca misurata a posteriori (frequenza), nonostante anche tale concetto violi surrettiziamente le leggi di conservazione, in particolare quella della quantità di moto, e si fondi sull’ipotesi di fantomatiche “azioni a distanza” istantanee che garantiscano la “correlazione” (determinata dalle leggi di conservazione) tra le grandezze fisiche dei sistemi interagenti successivamente alla cessazione dell’interazione.

Lei parla di un “inevitabile collasso energetico” legato all’industrializzazione. Quali scenari prevede per il futuro delle nostre società di fronte a questa crisi?

In una fisica fondata sul rigoroso rispetto delle leggi di conservazione della quantità di moto e dell’energia e, quindi, sul teorema di Noether (ma anche sul rigoroso rispetto delle leggi di conservazione della carica elettrica, del numero barionico e dello spin), i processi sono rigorosamente deterministici e la possibilità appartiene esclusivamente, per usare le parole di Prigogine, all’enigma dell’arbitrarietà delle “condizioni iniziali” ovvero all’enigmatica “dimensionalità originaria” da cui è scaturito uno dei tanti universi fisicamente possibili. Naturalmente il determinismo presuppone grandezze fisiche quantitativamente ben determinate e si può sfuggire al determinismo solamente ipotizzando una indeterminazione intrinseca delle grandezze fisiche, e cioè una “sovrapposizione” fluttuante di possibilità pesate (“le onde di probabilità”) rappresentate dalla funzione d’onda (per sua stessa natura inosservabile e quindi meta-fisica) la cui evoluzione deterministica è descritta dall’equazione di Schroedinger. La grande maggioranza dei fisici che aderisce al paradigma dominante, basando la fisica su un concetto come quello di probabilità intrinseca, attribuisce, antropomorficamente e antropocentricamente, la limitazione delle possibilità conoscitive dell’uomo ad una caratteristica “intrinseca” della natura che, invece, è perfettamente deterministica almeno fino a quanto non si arriva all’enigma dell’arbitrarietà delle condizioni iniziali a cui porta proprio la rigorosa applicazione delle leggi di conservazione della quantità di moto e dell’energia. Einstein, come ricorda Selleri, affermava che “gli uomini sono suggestionabili come cavalli” e, a quanto pare, la suggestione provocata dal concetto di “probabilità intrinseca” è talmente pervasiva da non essere percepita come tale dalla grandissima maggioranza dei fisici. Del resto, come disse il fisico, premio Nobel, Gell Mann (e come ricorda ancora Selleri), la scuola di Copenaghen ha fatto il lavaggio del cervello a intere generazioni di fisici e la scarsa preparazione epistemologica ha fatto il resto. Il lato ironico della vicenda, come Selleri evidenzia magistralmente (e così pure altri storici della fisica) è che i due esponenti maggiori dell’interpretazione di Copenaghen avevano intenti smaccatamente ideologici, aderendo entrambi a filosofie irrazionaliste di stampo spiritualistico, essendo uno (Bohr) uno kierkegaardiano e l’altro (Heisemberg) una aderente alla lebenphilosophie (nonché certamente non un oppositore del nazismo). Entrambi poi, non a caso, erano visceralmente antidarwiniani. La cecità concettuale dei fisici sulle questioni energetiche ha un’origine profonda nella loro mancanza di preparazione epistemologica e il segno più evidente di questa grave carenza intellettuale e vera e propria ottusità mentale è l’adesione acritica delle grandissima maggioranza dei fisici a teorie irrazionali e meta-fisiche come l’interpretazione probabilistica della seconda legge della termodinamica e l’interpretazione di Copenaghen della meccanica quantistica, entrambe basate sull’oscuro concetto di probabilità intrinseca, più simili ai dogmi di una religione rivelata che ad una teoria scientifica. Le mie previsioni sul futuro delle società industriali sono analoghe a quelle efficacemente esposte da James H. Kunstler nel già citato libro “The long emergency. Surviving the Converging Catastrophes of the Twenty-first Century” (trad. it. “Collasso. Sopravvivere alle attuali guerre e catastrofi in attesa di un inevitabile ritorno al passato”). Credo che il titolo del libro dica già tutto sul destino della civiltà industriale. Le società industriali possono esistere solamente se vengono sostenute da abbondanti flussi di energia fossile e, in particolare, da abbondanti forniture di petrolio. Ma purtroppo, già a partire dal prossimo anno, di petrolio non ce ne sarà abbastanza per tutti e ciò avrà delle conseguenze devastanti sull’attuale tenore di vita delle popolazioni euroamericane. Per chi fosse interessato, posso consigliare la lettura di un articolo del 2011 di Dave Pollard (“Transition e collapse scenario”: https://howtosavetheworld.ca/2011/05/11/transition-and-the-collapse-scenario/)che descrive, anche graficamente, le fasi economiche del collasso energetico delle società industriali. Come il lettore potrà constatare l’articolo prevede con notevole precisione le caratteristiche economiche e sociali della fase attuale.

Il suo percorso accademico spazia dalla fisica alla giurisprudenza. Come queste due discipline si intrecciano nel suo approccio alla riflessione epistemologica e filosofica?

Dopo la delusione epistemologica patita nei due anni trascorsi in facoltà di fisica, che ho lasciato per le ragioni esposte nella prefazione del saggio, durante gli studi nella facoltà di giurisprudenza ho continuato ad interessarmi di analisi del linguaggio, stimolato anche dalle lezioni del docente di filosofia del diritto che seguiva, appunto, la filosofia analitica anglosassone fondata da Wittgenstein, ma anche dell’ermeneutica heideggeriana e, quindi, della filosofia di Heidegger e della sua meditazione sul linguaggio inteso come “casa dell’essere”. Mi sono interessato anche di economia e, in particolare, di economia classica e del concetto di “rendimenti decrescenti” delle risorse naturali (agricole e minerarie) presente soprattutto nell’opera di Riccardo, Malthus e Stuart- Mill. Tutti questi studi mi sono poi ritornati utili quando, del tutto casualmente, ho incontrato gli studi di Georgescu-Roegen e Franco Selleri che hanno risvegliato i miei assopiti interessi epistemologici nei confronti della struttura concettuale portante della matematica e della fisica nonché dell’economica analizzata su base ecologica (e cioè energetica). Probabilmente il mio libro troverà una piena comprensione solamente quando le origini energetiche dell’ormai prossimo collasso economico e finanziario saranno sotto gli occhi di tutti. Infatti, anche se il raggiungimento di questa consapevolezza viene continuamente procrastinato dalla abnorme emissione di debito e di moneta, che consente di far credere all’opinione pubblica che la situazione non sia così grave come invece è effettivamente, l’evento epocale del collasso economico di matrice energetica non potrà essere rinviato all’infinito.

Ringraziamo Giorgio Libero Sanna per aver condiviso con noi le sue riflessioni su temi così complessi e attuali. “L’epifania del sacro” offre una prospettiva unica e profonda sull’evoluzione della civiltà industriale e sulle sue inevitabili conseguenze. Invitiamo tutti i nostri lettori a scoprire questo saggio e a lasciarsi coinvolgere da un viaggio intellettuale che ci porta a riflettere sul futuro dell’umanità.

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