GRUPPO ALBATROS IL FILO PRESENTA: Emozioni – Paul McGregor

Benvenuti sul blog del Gruppo Albatros. Oggi abbiamo il piacere di ospitare Paul McGregor, autore del libro “Emozioni”. Questa raccolta di riflessioni filosofiche e poesie offre un’esperienza profonda e toccante, in grado di accarezzare e scuotere l’animo del lettore. McGregor ci guida attraverso un viaggio emozionante, esplorando la sofferenza e l’amore, due sentimenti fondamentali che ci arricchiscono e ci uniscono. Con una sensibilità unica, l’autore ci invita a scoprire la bellezza nascosta nella vita quotidiana e a riscoprire noi stessi. Siamo entusiasti di approfondire con lui i temi e le ispirazioni che hanno dato vita a questa straordinaria opera.

Paul, nel tuo libro “Emozioni”, esplori profondamente la sofferenza e l’amore. Cosa ti ha spinto a scegliere questi temi come fulcro delle tue riflessioni e poesie?

Nella mia opera parlo dell’amore e della sofferenza non per una vera scelta, ma perché mi è sembrata la cosa più naturale per una persona che, come me, ha amato ed è stata molto amata, e, purtroppo, ha anche sofferto moltissimo. Credo che niente ci scolpisca, e ci dia un’idea chiara di chi siamo, più del dolore. Tutti soffriamo, chi di più, chi di meno, ma appunto, credo che la verità della mia affermazione stia non tanto nella quantità del dolore che la vita ci assegna in sorte, no. Quello che ci differenzia sta nel modo in cui veniamo colpiti da quello stesso dolore, e la differenza sta nella nostra personalità e nella sensibilità di cui siamo capaci, che ci consegnano fra le mani un diverso modo di subire e di affrontare la sofferenza. Del resto, il dolore ci dà anche un’idea del nostro modo di amare, perché è di fronte alle difficoltà che un amore si conquista l’aggettivo “vero”. E sto parlando di qualsiasi tipo di amore, quello per se stessi, quello per la vita, quello per gli altri. E, rimanendo a parlare dell’amore, credo che niente più di lui possa essere considerato la luce della vita e del mondo. Io credo che, un cuore che batte, faccia la differenza fra una persona che vive, e un’altra che, semplicemente, sopravvive.

Le tue poesie e riflessioni invitano i lettori a scoprire una versione migliore di sé stessi. Puoi parlarci del processo personale che ti ha portato a questa consapevolezza e di come speri che i lettori possano trarre beneficio da essa?

Ho compreso l’importanza di migliorare me stesso quando mi sono reso conto di essere molto peggiore di quanto credessi di essere. Ero peggiore nel non vedere molte cose che mi circondavano. Ero peggiore nel credere di avere tutte le risposte di cui avessi bisogno. Ero peggiore nel non pormi molte domande di cui, forse, temevo le risposte. Ero peggiore nell’arrendermi a quella, come ad altre paure, non sforzandomi abbastanza per abbracciare il coraggio di affrontarle. Ero peggiore nel credere che soltanto i vincenti fossero persone da ammirare. Poi ho guardato negli occhi la mia fragilità come non avevo mai fatto, io che, comunque, fin da piccolo, ne ero consapevole e ci soffrivo molto. Ma ho provato a non condannarla, ho provato ad ascoltarla senza demonizzarla, ho provato a non considerarla una malattia di cui vergognarmi. E ho scoperto la delicatezza di sentirmi piccolo, ma grato di questa mia consapevolezza. Ho scoperto la stupidità di voler per forza eccellere in ogni cosa che io facessi, soggiogato com’ero dagli stereotipi del mondo moderno, e ho sposato in pieno la bellezza di abbracciarmi nel dire a me stesso che sono un vincente ogni volta che mi sforzo di raggiungere un obiettivo, anche, e anzi soprattutto, quando quell’obiettivo lo manco. In tutti i miei fallimenti ho scoperto la dolcezza di accarezzarmi e di dire a me stesso che, finché avrò la forza di rialzarmi in piedi dopo ogni caduta, significa che la rassegnazione non mi avrà ucciso. E questo, tutto questo, io lo considero migliorare me stesso, ecco perché i miei componimenti, che sono figli delle mie esperienze personali, spero che possano essere un faro per molte persone che, come me, ad un certo punto della loro vita si sono sentite perse, quasi sconosciute a loro stesse, e, con fatica, con umiltà, ma anche con curiosità, si sono cercate per conoscersi di nuovo, fino in fondo, senza sconti, e questo fa male, molto male, ma anche senza inganni, e questo, invece, fa bene, molto bene.

La tua scrittura è caratterizzata da una notevole sensibilità verso le relazioni umane e i sentimenti. Come riesci a mantenere questo equilibrio tra intensità emotiva e riflessione filosofica nelle tue opere?

Questa domanda mi offre lo spunto per una risposta che mi nasce dal cuore. Equilibrio è quello che può trasparire quando tiro le somme di un’esperienza che mi ha toccato. Equilibrio sono io che cerco di ricavare una lezione da un errore che avrei preferito non commettere. Equilibrio sono io che provo a dare un senso a tutto quello che mi lascia destabilizzato. Ma la verità più vera è che, una persona come me, è tutto fuorché equilibrata. Del resto, è proprio la mia sensibilità, dono e condanna della mia vita, a portarmi a dire questo. Chi è sensibile, equilibrato non lo sarà mai, perché ogni emozione, ogni sentimento, ogni sfumatura dell’anima, è un terremoto, è un’eruzione, è un caos. L’unico equilibrio di cui mi sento capace, tirando le somme come ho detto poco fa, sono io che cerco di tenermi a galla nell’oceano delle mie emozioni, sono io che accetto il mio caos, provando ad ascoltare tutto ciò che, di volta in volta, mi vuole dire, e posso assicurare che, in quelle conversazioni, sia quando sono rispettose, come quelle fra due amici, sia quando sono terribili, come quelle fra giudice e condannato, le parole che ascolto sono sempre istruttive per me, per me che ho sempre moltissimo da imparare.

In “Emozioni” sottolinei l’importanza di ascoltarci e comprenderci al di là delle etichette sociali. Quali consigli daresti a chi sta cercando di ritrovare sé stesso in un mondo spesso frenetico e distratto?

Il consiglio che mi sento di dare, da parte di una persona che, in tutta sincerità, continua a scoprirsi ogni giorno, è proprio questo: non vergognarsi mai di mettersi in discussione, anche se le domande che ci sentiamo spinti a porci trovano dubbi come risposte o, peggio ancora, trovano risposte che ci pugnalano. Io non posso dire di conoscermi del tutto proprio per questo, perché non mi piace considerarmi come un quadro già finito e incorniciato. Nella mia tela ci sono moltissimi strappi, è vero, ma anche tante immagini meravigliose. Il nostro mondo è caotico oltre ogni misura, quindi la risposta con cui possiamo resistergli è fare il contrario: fermarci. Niente come la calma, il silenzio, la compagnia delle persone che amiamo e delle nostre passioni, ci aiuta a fare la pace con la frenesia con cui la realtà ci contagia. La cura a questa, che a tratti sembra una malattia, è rallentare, per ascoltare meglio la voce che abbiamo dentro di noi; solo così siamo in grado di scegliere con più cura, fra tutte le cose che stanno al di fuori, quelle che ci aiutano a somigliare sempre di più a noi stessi. Ma soprattutto, mi sento di dire che, finché il nostro modo di essere non fa del male a nessuno, nessuna scelta è sbagliata. Le etichette sono un modo sbrigativo che la società ha di incasellarci. Ma, come ho appena detto, conoscere se stessi, per me, significa rallentare, ascoltarsi, guardarsi, e niente di tutto questo può essere fatto in modo sbrigativo. E poi le etichette suonano come sentenze inappellabili, come definizioni che sanno di perfezione, e, per esperienza personale, inseguire la perfezione, oltre a essere un’illusione, è uno sbaglio che può portare all’autodistruzione. Che sia sempre benvenuta, con tutte le sue imperfezioni, la spontaneità, che va a braccetto con la sincerità, quella che, prima di tutto, dobbiamo avere verso noi stessi.

Uno dei messaggi principali del tuo libro è l’invito a valorizzare le azioni altruistiche e coraggiose. Puoi condividere con noi qualche esperienza personale che ha ispirato questo aspetto del tuo lavoro?

Credo che l’altruismo sia l’antidoto a una delle cose che odio di più al mondo, l’egoismo. Si tratta di pensare se stessi in relazione agli altri. Si tratta di pensare che, un gesto d’affetto vero qualcun altro, ci porta fuori dai recinti che ci costruiamo per difenderci, che ci proteggono dal male sì, ma che rischiano di tenerci lontani anche dal bene. Quando parlo di coraggio, nell’essere altruisti, mi riferisco alla forza, che ho sempre avuto, di tornare ad amare la vita, e soprattutto gli altri, nonostante tutti gli schiaffi che, sia la vita che gli altri, mi hanno dato. Alcune esperienze della mia vita sono talmente dolorose, che non credo che potrò mai parlarne apertamente, eppure non mi hanno trasformato in una persona neppure lontanamente somigliante a quelle che mi hanno colpito nel profondo, lasciando in me cicatrici che dolgono come fossero ferite appena inferte, se solo il mio pensiero le sfiora. E comunque, per avere il coraggio di essere altruisti, non c’è bisogno di compiere chissà quali imprese. Lasciare libero un posto su un autobus per una persona che è più affaticata di te, non occupare un parcheggio riservato a un disabile, offrire ascolto a chiunque senta il bisogno di confidarsi, sorridere a chi incrocia il tuo sguardo anche quando hai la morte nel cuore, una cosa, quest’ultima, che mi è capitato di fare innumerevoli volte. Credo che ci sia un eroismo molto più comune di quanto questa parola possa suggerire, quello delle persone che portano avanti la loro vita cercando di mantenere alto il rispetto per gli altri, nonostante loro stesse abbiano, più di una volta, subìto ingiustizie. Personalmente, di eroi, ne ho moltissimi, e sono proprio loro, cioè tutti quelli che fanno del loro cuore un posto sempre pronto ad accogliere e ad abbracciare. La presenza di tanti eroi mi spinge, per riprendere la risposta alla prima domanda che mi è stata posta, a cercare di dare il meglio di me stesso. Non sempre ci riesco, ma, almeno nel tentare di farlo, sento di percorrere la strada giusta, quella che mi dice che sono soltanto una persona comune in mezzo a tantissime altre, ma che, ogni volta che tocca qualcuno, e si lascia toccare, nell’anima, può arrivare a sentirsi speciale.

Grazie mille, Paul, per aver condiviso con noi le tue riflessioni e per averci offerto uno sguardo approfondito sulla tua opera “Emozioni”. Le tue parole sono una fonte d’ispirazione e ci invitano a riflettere su noi stessi e sulle nostre relazioni in modo più profondo e significativo. Invitiamo tutti i nostri lettori a scoprire il tuo libro e a lasciarsi trasportare dalle emozioni che riesci a trasmettere con tanta delicatezza e intensità. Speriamo di averti di nuovo presto con noi per continuare questa affascinante conversazione. Grazie ancora e a presto!

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