GRUPPO ALBATROS IL FILO PRESENTA: Sogni e castelli di carta – Riccardo Capua

Benvenuti al blog del Gruppo Albatros, dove esploriamo il mondo della letteratura e i suoi affascinanti protagonisti. Oggi abbiamo il piacere di intervistare Riccardo Capua, autore del libro “Sogni e castelli di carta”. Questa raccolta di poesie ci proietta in un universo etereo, dove le parole fluttuano leggere, arricchendosi di significati nascosti e accostamenti vividi. Capua dimostra una forte capacità immaginativa e poetica, riuscendo ad abbinare luoghi reali a una vita parallela, rielaborata dal tempo, dal cuore e dal pensiero. Il lettore è invitato a esplorare un’esperienza che trascende il semplice vissuto, immergendosi in una lettura che attraversa più piani emozionali. Scopriamo di più su questa affascinante opera direttamente dalle parole dell’autore.

Riccardo, cosa ti ha ispirato a scrivere “Sogni e castelli di carta? La tua raccolta di poesie sembra essere un viaggio tra realtà e immaginazione. Quali sono state le principali fonti di ispirazione per il tuo lavoro?

Dietro ogni raccolta, componimento o verso che scrivo vi si trova sempre una piccola storia di vita vissuta che è riuscita a generare quel germoglio di idea che poi sarà alla base di tutta l’opera. A me piace legare 30/40 poesie sotto l’ombrello di una unica tematica in modo che il lettore leggendo la raccolta possa ascoltare un messaggio che gradualmente si dipana, verso dopo verso, fino ad una destinazione finale. Nel particolare caso di “Sogni e Castelli di carta” per comprendere appieno l’dea ispiratrice, bisogna andare a leggere la poesia “Lo zimbello della vita” che ha a sua volta una piccola storia dietro. Era una calda giornata di luglio ed io passeggiavo su una strada lungo il mare, come spesso mi capita di fare quando d’estate mi trovo nel mitico paese di Scilla in Calabria. Passeggiavo e riflettevo su come noi, essere umani, nonostante tutti i nostri sforzi (e forse è meglio così) non riusciamo mai ad avere il pieno controllo delle nostre esistenze. Ci dobbiamo, per così dire, affidare molto al caso o, meglio, alla dea bendata “la fortuna”. Facciamo progetti, dentro di noi, elaboriamo aspirazioni, ma non di rado tutti i nostri desideri si infrangono inesorabili contro lo scoglio indomito della realtà che ci sfugge fra le man; e allora dobbiamo accontentarci se non siamo riusciti a diventare l’astronauta che per primo tocca la terra di Marte, il grande statista, l’artista, l’imprenditore di successo. Dobbiamo rassegnarci, accettando di buon grado quello che ci offre la vita, consapevoli che non tutto dipende da noi e dai nostri sforzi. Oppure potrebbe esserci un’altra strada: viaggiare con la fantasia, entrare con l’immaginazione in mondi paralleli, costruire i nostri castelli di carta, dove siamo i sovrani incontrastati, i cavalieri invincibili della tavola rotonda, gli eroi epici cantati dai poeti dell’antica Grecia e dove vinciamo così la battaglia contro un destino capriccioso, bugiardo, avaro ed ostinato. Da qui poi si sviluppa la raccolta nei versi di Vico dei miracoli, Caccia grossa, Gocce di felicità, Un’altra vita, A una piega dalla realtà e via andare.

I luoghi descritti nei tuoi versi sembrano avere una vita propria, arricchita dalle esperienze vissute. Come scegli questi luoghi e quale significato hanno per te?

Una mia caratteristica è dedicare dei versi a dei luoghi specifici, descrivendoli ed agganciando la descrizione fisica a quella emozionale, inserendo sentimenti di vita realmente vissuta o riferimenti storici dei luoghi stessi. Ho dedicato versi al paese di Scilla, a Reggio Calabria, la città dove sono nato, a Roma, la città dove vivo, all’isola di Fuerteventura. Nella raccolta Sogni e Castelli di carta c’è Trastevere, Mikonos, ricordando un viaggio romantico e pieno di passione, Una domenica al lago di Bracciano che descrive l’esperienza di vivere una domenica al lago e ricevere da queste acque calme una sorta di quiete, proprio come vorresti fossero i tuoi pensieri e la tua vita. C’è poi Itaca un tributo al grande Costantino Kavafis e Per tutte le strade del mondo, un viaggio fisico che parte dalle terre del nord per scendere in Italia, arrivare alla città di Gerusalemme e giungere, infine, in un luogo mistico ed immaginario, che io chiamo la Shangri-la della mente, dove trovare la pace con noi stessi, il sollievo dei sonni ristoratori, la resa dai continui desideri che affollano, a volte inquinandola, la nostra anima. Quindi il luogo scelto diventa la scusa, la leva che mi consente di entrare e descrivere, attraverso uno spazio fisico e ben conosciuto, tutta una serie di emozioni, sentimenti, rimandi storici e culturali.

Ogni poeta ha il proprio metodo di lavoro. Puoi condividere con noi il tuo processo creativo e come riesci a coniugare immaginazione e realtà nei tuoi testi?

Ho sempre un’immagine nella mia mente che descrive l’azione del processo creativo che avviene dentro di me. C’è una grande diga che forma un immenso lago artificiale bloccando le acque furiose di un fiume che vorrebbe continuare inesorabile la sua leggendaria corsa verso il mare. A furia di sbattere contro il portentoso muro della diga (quello che non ci fa vedere oltre la realtà, che non ci fa sognare, che ci tiene legati alle catene della mera vita quotidiana) piano piano si formano delle crepe da dove fuoriescono zampilli, piccoli rivoli d’acqua, i quali a furia di spingere, con la forza e la pressione delle acque più alte, si fanno una strada sempre più larga che alla fine riuscirà ad abbattere il muro della diga ed allora tutte le acque della creatività si riverseranno con la loro potenza verso valle e poi verso il mare. All’inizio della mia fase creativa ci sono solo dei guizzi di pensieri, insistenti però, di cui non riesco a disfarmi, pur volendolo a volte perché mi sembrano vacui e inutili, non ci riesco. L’incalzare di questi pensieri, che sembrano slegati e indipendenti fra di loro, si fa sempre più forte, finché non comincio a metterli giù su carta per fissarli e osservarli dall’esterno. All’inizio non so che direzione prenderanno questi primi versi, che gradualmente cominciano a legarsi tra loro, a formare, come in un puzzle, un’immagine sempre più chiara e nitida. Alla fine del componimento provo una sensazione di grande appagamento, come quando si riesce a chiarire un’idea molto confusa che tenevi dentro e che adesso hai espresso in modo chiaro e musicalmente piacevole.

Che ruolo gioca il tempo nelle tue poesie? Come riesci a integrare il concetto di tempo nei tuoi versi?

Credo che nei miei versi, nelle immagini che evocano, nei luoghi che descrivono, non ci sia il concetto di tempo. Il racconto poetico si sviluppa in un luogo immaginario privo dello scorrere del tempo, non c’è una mattina e poi una sera, uno ieri, un oggi e un domani, probabilmente c’è un tempo presente, quello che vivono i caratteri, i personaggi, nei quali mi identifico, che attraverso la loro voce narrante si descrivono (Village Idiot, Schiavo di libertà) si raccontano e raccontandosi parlano di un modo diverso di guardare all’esistenza (A una piega dalla realtà). Come nella poesia Lo zimbello della vita dove il nostro eroe si imbraca nelle sue ali storte e spicca il volo verso universi immaginari in cui non esiste tempo e non esiste spazio, ma dove le aspirazioni ed i desideri trovano finalmente una loro armonica realizzazione.

La tua raccolta offre una lettura che va oltre il semplice testo. Quali sono le emozioni e i pensieri che speri di suscitare nei lettori attraverso le tue poesie?

Quando compongo il mio intento, l’obiettivo supremo, è descrivere emozioni e sentimenti che appartengono a tutti noi, dove gli altri possano riconoscersi e consolarsi all’idea di non essere i soli a provare certe emozioni, avere certi pensieri, a volte una certa voglia di libertà dalle paure, una voglia di scappare da se stessi, di prendere le distanze da se stessi, dai propri desideri, forse osservarli da lontano con affetto ed ironia. La voglia anche di ridere di noi stessi, delle nostre acrobazie al trapezio senza rete. Per me la poesia detiene il dono di mettere un punto sulle cose, di fare chiarezza su alcune questioni che avevi lasciato in sospeso, privo del coraggio di affrontarle, mostrare una via per una migliore gestione dei propri sentimenti, o un riconoscimento più evidente degli stessi. Consegnare al lettore una versione onirica e immaginifica della realtà che ha però sempre agganci molto forti con il nostro vivere quotidiano. Per giungere a tutto ciò un poeta deve essere onesto, non raccontare frottole, non ingannare, essere se stesso, mettersi a nudo, avere il coraggio di mostrare alla gente il proprio mondo interiore, quello che solitamente serbiamo dentro noi, ben nascosto dagli sguardi degli altri, persino delle persone a noi più care e vicine.

Ringraziamo Riccardo Capua per aver condiviso con noi il suo affascinante viaggio poetico con “Sogni e castelli di carta”. La sua abilità nel combinare realtà e immaginazione ci invita a riflettere su esperienze profonde e multi-sfaccettate. Speriamo che questa intervista vi abbia offerto una nuova prospettiva sulla poesia e sul potere evocativo delle parole. Continuate a seguirci sul blog del Gruppo Albatros per altre interviste e approfondimenti con autori straordinari. Buona lettura!

Lascia un commento