GRUPPO ALBATROS IL FILO PRESENTA: Un vecchio testamento. Storie di baby gang – Giovanni Di Martino

Benvenuti al blog del Gruppo Albatros, cari lettori. Oggi abbiamo il piacere di ospitare Giovanni Di Martino, autore del libro “Un vecchio testamento. Storie di baby gang”. Attraverso la sua opera, Giovanni Di Martino ci conduce in un viaggio crudo e veritiero nella Napoli degli anni ’80 e ’90, dove il sottobosco criminale delle famiglie camorristiche ha dato vita a micro-organizzazioni criminali notoriamente chiamate “baby gang”. Ma queste non sono solo storie di violenza adolescenziale; sono le tracce di un percorso criminale che si snoda tra la debolezza di un tessuto sociale vulnerabile e la catena madre della malavita organizzata.

Giovanni, cosa ti ha spinto a esplorare il tema delle baby gang e cosa rende il tuo libro così unico rispetto ad altri approcci a questo fenomeno?

La scintilla scattò il primo giorno che mio figlio mise piede nella scuola, il varcare quella soglia accese un interruttore arrugginito e proiettò la mente ai tempi della scuola, quando feci le prime sperienze con le baby bang … “forse un giorno anche lui dovrà affrontare le mie stesse difficoltà?” mi chiesi. Da allora presi un impegno con me stesso, quello di fare un viaggio nel passato, ritornare a quei tempi dopo circa trent’anni, rivisitare i luoghi, ritrovare amici e nemici, spingere la mente oltre quello che riuscivo a vedere e a interpretare a quell’età, portare a “Gianni” e ai giovani adolescenti la traccia di un vecchio testamento. Ogni racconto è frutto di un’esperienza personale, vissuta direttamente sulla mia pelle, per cui direi che è a chilometro zero, inoltre, il libro non vuole avere nessuna pretesa letteraria, è crudo, cosicché ogni lettore che mi accompagnerà in questo viaggio lo farà col proprio bagaglio personale, risvegliando la memoria delle proprie esperienze, ognuno riaccendendo il proprio interruttore. 

Nel tuo percorso di ricerca e narrazione riguardo alle baby gang, hai avuto l’opportunità di interagire con persone coinvolte direttamente o indirettamente in questo fenomeno? Qual è stata la tua esperienza nel raccogliere testimonianze e come queste hanno influenzato la tua prospettiva sull’argomento trattato nel libro?

L’idea iniziale era quella di cercare un confronto con gli attori di ieri, ma ahimè non è stato possibile, ognuno ha preso la sua strada lontano da quei luoghi e provare a rintracciarli sarebbe stato anche molto difficile visto che la scrittura del libro avvenne durante il periodo della pandemia, sarebbe stato davvero emozionante intraprendere quel viaggio in loro compagnia. In compenso però ho vissuto le storie raccontate dagli adolescenti di oggi, in particolare quella di Vincenzo e di Arturo, a cui ho dedicato il libro. La loro esperienza raccontata sui giornali e nelle tv mi ha scosso enormemente, non dimenticherò mai quelle parole e quante volte si sono chiesti: “perché? perché mi hanno fatto questo?”, perché! Sentivo il peso di quel perché, a cui si cerca di dare una risposta logica, inesistente! Può sembrare strano dirlo, e non voglio apparire egocentrico, ma ogni volta che raccontavo un episodio mi facevo violenza nel ricordare anche i dettagli, l’interagire con me stesso è stata un’esperienza mai provata prima, cercavo di tenermi a bada e spesso non ci riuscivo, lasciato tutto lì e tornavo alla mia vita quotidiana, una specie di fermata di soccorso nel viaggio dentro i miei ricordi. 

Le baby gang, come evidenziato nel tuo libro, rappresentano una sorta di anello intermedio tra la criminalità organizzata e il tessuto sociale degli adolescenti. Puoi condividere con noi come questa connessione si manifesta e quali conseguenze ha sulla vita dei giovani coinvolti?

Come riportato anche nel libro una buona parte dei membri delle baby gang appartenevano direttamente alle principali famiglie camorristiche, figli e nipoti dei boss, per cui raggiungere un posto all’interno dell’organizzazione era per loro, oltre che la massima aspirazione, anche una naturale evoluzione. Sin da piccoli, pur essendo al di fuori dell’organizzazione criminale, si comportavano come se ne facessero già parte, il loro atteggiamento nascondeva questa aspirazione e spesso non era nemmeno così nascosta visto che il loro modo di porsi nei confronti dei poveri malcapitati era quella di vicario del genitore: “io sono il figlio di tizio e per cui qui comando io!” Così, i membri più vicini alle famiglie criminose, erano ad un passo dal baratro, mancava solo la giusta età per chiudere l’ultimo anello che li avrebbe agganciati per sempre a quella vita criminale, e in taluni casi così è stato, ed oggi alcuni di quei ragazzi che conobbi di persona sono già in galera! L’aver fatto parte di una baby gang di quei tempi, aver “combattuto” fianco a fianco col figlio del boss che oggi ha ereditato il titolo, ha comportato – per alcuni di loro – una specie di legame con l’organizzazione, una specie di aspettativa, per cui anche se costoro, fortunatamente, non hanno chiuso il cerchio, sono di fatto legati da un anello invisibile, una specie di cane al guinzaglio; e ciò è successo a quelli che non hanno intrapreso un percorso lontano da quei luoghi e sono rimasti nel perimetro del clan. 

Sebbene il tuo libro sia ambientato negli anni ’80 e ’90, le persistenze e le evoluzioni del fenomeno delle baby gang sono ancora, purtroppo, attuali. Come si presentano oggi e quali sfide rappresentano per la società contemporanea?

Le baby gang hanno subito una trasformazione, oserei dire una mutazione, si è infatti passati da una matrice prevalentemente di tipo camorristica, monolitica, ad una mista, con membri appartenenti a qualsiasi categoria sociale, spesso figli di famiglie benestanti ignare delle azioni dei propri rampolli. Durante il periodo in cui è ambientato il libro non c’era spazio per altro tipo di bande se non quelle con diretta discendenza dei cartelli criminali ben consapevoli di ciò che succedeva nei quartieri, oggi invece c’è stato un cambio di pelle, le baby gang sono eterogenee, occasionali, e sotto un certo aspetto anche più pericolose visto che le famiglie d’origine ne sono all’oscuro e l’impunità è dietro l’angolo data anche l’età dei membri, spesso sotto i 14 anni, che come sappiamo rientra nella fascia della non punibilità. Il tema dell’educazione e l’assenza delle famiglie sono senza dubbio alla base del fenomeno delle baby gang odierne, i ragazzi sono immersi in un contesto sociale privo di valori, mi piace ricordare il pensiero del prof. Galimberti quando parla di “assenza di risonanza emotiva da parte dei ragazzi”, l’incapacità di farsi condizionare dalle difficoltà altrui, una sorta di interruttore spento dalla mancanza di valori. Bisognerebbe ricondurre i giovani ai rapporti umani, tirarli fuori dal mondo virtuale dove spesso dimorano – “freddo”, “buio” – e tutto ciò sarebbe possibile, per esempio, con un’offerta formativa ricca di rapporti umani; lo sport offerto gratuitamente a tutti i giovani fino alla maggiore età potrebbe essere una via. 

Qual è il messaggio principale che vorresti trasmettere ai lettori attraverso le tue parole e la tua narrazione?

Il fenomeno delle baby gang è tutt’ altro che passato, forse non verrà mai debellato, si potrebbe però aspirare ad una riduzione ai minimi termini principalmente attraverso la costante presenza delle famiglie e delle istituzioni con la scuola al primo posto. Bisogna fare molta attenzione perché questo è un virus che può attaccare tutti, anche gli insospettabili e le baby gang di oggi lo dimostrano. Ogni qualvolta ci si concede ad un atto di violenza si perde qualcosa, stima altrui, amicizia, libertà … a me è successo perché ho lasciato per un breve tempo che l’ambiente mi contaminasse, senza che nessuno intorno se ne accorgesse in tempo! Non vorrei però lasciare tutto nelle mani degli adulti, anche i ragazzi possono agire per comprendere e riportare alla ragione i propri amici caduti nel circuito delle baby gang, anzi spesso è molto più influente un rimprovero ricevuto da un coetaneo che non da un adulto, per me così è stato!

Ringraziamo Giovanni Di Martino per la sua disponibilità nel condividere con noi il dietro le quinte del suo libro, “Un vecchio testamento. Storie di baby gang”. Il suo lavoro ci offre uno sguardo senza veli su un fenomeno ancora presente, ancorché trasformato, nella società odierna. Vi invitiamo a scoprire queste intense testimonianze, consapevoli che, sebbene il racconto possa risultare difficile, è importante affrontare la cruda realtà che permea il mondo delle baby gang. Grazie, Giovanni, per il tuo contributo illuminante e coraggioso.

2 commenti

  1. Tiziana

    Un libro scritto con un linguaggio semplice che arriva subito ai ricordi di una generazione che nel bene e nel male ha vissuto le stesse problematiche che l’autore ha voluto condividere con noi lettori e che ci hanno riportato indietro ad atmosfere sopite ma mai dimenticate in particolare, per quel che mi riguarda, nei capitoli dedicati agli anni ’80 anni belli e dannati e di un modo di essere che non tornerà piu. Bravo Gianni di Martino continui così!!

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