GRUPPO ALBATROS IL FILO PRESENTA: LO SPECCHIO DELLA SCHIZOFRENIA – Melissa Benvenuto

Bentornati amici del Gruppo Albatros. È un piacere accogliere nel nostro blog Melissa Benvenuto, autrice di “Lo Specchio della Schizofrenia: la frammentazione dell’anima”. In questa intervista, esploreremo le complesse sfumature della patologia schizofrenica, cercando di dissipare le nebbie semantiche che spesso avvolgono il discorso sulla salute mentale. Benvenuta, Melissa.

Iniziamo con il cuore del tuo libro, Melissa. Hai sottolineato come la definizione di “normalità” e “patologia” sia spesso un terreno fangoso. Potresti approfondire questo concetto e come si manifesta nella comprensione della schizofrenia?

Nel mio saggio “Lo Specchio della Schizofrenia” affermo che esiste un filo molto sottile che lega il concetto di normalità al concetto di patologia perché ritengo che spesso una non possa escludere l’altra, un filo che lega lo specchio della schizofrenia alla personalità di una persona. Una persona definita folle il più delle volte è una persona che non riesce a trovare un posto nel mondo e per questo si rifugia nei meandri della sua mente esternando ciò che sente e ciò che prova. Il mio pensiero su tale argomento è che spesso si perde di vista il vero significato di patologia o di normalità. Viviamo in un mondo dove il diverso il più delle volte viene emarginato totalmente dalla società e la maggior parte delle persone ritiene che questo sia un comportamento giusto. Io ritengo personalmente che il diverso, in questo caso lo schizofrenico, non debba essere emarginato ma anzi debba essere aiutato ad avere una vita per lo più normale. Comprendere e aiutare sono le facce di una stessa medaglia capaci di renderci persone migliori. Credo che ci dovrebbe essere molta più informazione per poter portare concretamente un aiuto verso le persone etichettate come diverse.

Hai menzionato l’importanza dell’accettazione del “diverso” e del reintegro sociale nell’affrontare la schizofrenia. Quali sono le sfide principali che incontri nel promuovere questa visione all’interno della società e della pratica clinica?

La schizofrenia, come le altre malattie mentali, secondo il mio punto di vista, dovrebbero essere al centro di aiuti concreti; bisognerebbe trovare il coraggio di puntare i riflettori su argomenti delicati, su attimi di storie tralasciati. Credo che per cambiare il modo di pensare della maggior parte delle persone, sia importante sensibilizzare quanto più possibile la società verso tematiche ancora così sconosciute a molti. Le strutture manicomiali hanno trovato terreno fertile perché ritengo che non ci sia stata la giusta vigilanza; all’epoca nei manicomi si potevano trovare anche persone che non erano affette da nessun disturbo, erano semplicemente orfani di genitori, persone depresse o addirittura persone povere che non potevano sostenersi da sole. Ritengo invece che con tutta la tecnologia di oggi, il mondo dei social, i programmi radio e televisivi si potrebbe raggiungere una conoscenza diversa, una visione più ampia di tale argomento che per molti è ancora tabù. Pertanto, la parola resta il mezzo più importante per cercare di migliorare la società. La sfida principale è proprio quella di aiutare a formare le prossime generazioni all’aiuto del diverso, all’uguaglianza tra le persone, all’empatia e all’ascolto.

Nel tuo lavoro presso gli istituti manicomiali, hai avuto l’opportunità di valutare molte situazioni legate alla schizofrenia. Qual è stata la tua più grande lezione o scoperta durante questo percorso?

L’esperienza matura grazie ai miei studi e al mio percorso formativo mi ha arricchito sotto tanti punti di vista. Ho potuto toccare con mano ciò che accadeva all’interno delle strutture manicomiali, ho potuto constatare di come la non conoscenza e la paura abbia portato a suicidi di massa, ad “omicidi” dell’anima. Ogni storia, ogni persona con cui ho avuto il privilegio di entrare in contatto mi ha lasciato un grande insegnamento ossia che la memoria va conservata per evitare di compiere nuovamente gli errori del passato. Credo che la conoscenza del diverso e di ciò che fa paura sia un modo per esorcizzare tutto ciò che non si comprende e che invece dovremmo, ognuno di noi, nel suo piccolo affrontare.

“Lo Specchio della Schizofrenia” affronta le false credenze e i luoghi comuni che circondano questa patologia. Quali sono alcune delle idee sbagliate più diffuse che hai incontrato e come possono essere contrastate?

Una delle idee sbagliate più diffuse che ho incontrato è quella che la persona affetta da patologia schizofrenica sia una persona pazza, da emarginare o, peggio, da rinchiudere. Questo succede perché purtroppo c’è poca informazione su questa tematica e la maggior parte delle persone tende ad eliminare ciò che non conosce o che fa paura. Credo che il miglior mezzo per contrastare tali idee sia proprio il canale comunicativo volto all’informazione e alla conoscenza di ciò che non si comprende per pigrizia o per paura. Viviamo in un mondo in cui si è assorbiti completamente dalla tecnologia e molto spesso si perde di vista il contatto umano e ci si dimentica di come è bello parlarsi ed aiutarsi attraverso le parole, i gesti e l’ascolto.

Infine, guardando al futuro, quali sono le tue speranze e i tuoi obiettivi nel continuare a sensibilizzare sulla schizofrenia e nel promuovere un ambiente più inclusivo e comprensivo per coloro che ne sono affetti?

Ogni parola presente nel mio saggio “Lo Specchio della Schizofrenia” rappresenta un viaggio alla scoperta di se stesso e all’accettazione delle proprie sfaccettature. Ognuno di noi ha dentro di sé sia luce che oscurità e con il giusto aiuto può evitare che l’oscurità prenda il sopravvento. Il mio lavoro nasce proprio dalla voglia di inseguire la libertà e di creare un’uscita dagli stereotipi della società. Il mio intento è proprio quello di dare un aiuto concreto a chi ha smarrito la strada giusta perché alla fine ciò che conta è lo specchio della nostra anima, lo specchio di ognuno di noi. La sofferenza purtroppo farà sempre parte della vita e l’unica arma per “combatterla” è l’empatia che permette ad ognuno di noi di entrare in connessione con l’altro, perché per avere un ambiente più inclusivo e comprensivo le sofferenze dovrebbero essere condivise e non emarginate. La mia speranza è quella di vedere in un futuro prossimo l’accettazione del diverso e il reintegro all’interno della società.      

Grazie infinite, Melissa Benvenuto, per aver condiviso con noi la tua profonda conoscenza e la tua passione nel campo della schizofrenia. Le tue parole illuminano un sentiero verso una maggiore comprensione e accettazione delle sfide legate alla salute mentale. Speriamo che il tuo lavoro continui a ispirare cambiamenti significativi e che il tuo messaggio di inclusione e compassione trovi sempre più eco nella società. Ti auguriamo il meglio per il futuro e non vediamo l’ora di seguire i tuoi futuri progetti. Grazie ancora per essere stata con noi.

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