Benvenuti in questa nuova intervista del nostro blog, oggi abbiamo il piacere di ospitare Roberto Benato, autore del libro “Il giardino delle pietre ollari”. Roberto Benato è uno scrittore talentuoso e in questa intervista avremo l’opportunità di conoscere meglio l’autore e il suo lavoro, scoprendo le ispirazioni dietro la stesura del libro e alcuni retroscena interessanti.
Nel suo libro il tempo è descritto come la sostanza di cui è fatto l’uomo e il momento presente è enfatizzato come l’unico su cui possiamo veramente agire. Come ha esplorato questi temi attraverso la storia di Barnaba e quali sono le principali lezioni che i lettori possono trarre?
Ringrazio per questa domanda perché mi permette di chiarire uno degli strati di lettura del mio romanzo su cui molti lettori si sono soffermati ma che è “solo” uno di altri temi altrettanto importanti. Evidentemente questo “strato” è molto sentito. La questione del tempo occupa gran parte della filosofia del ‘900. Pensiamo a Sartre e Heidegger e a come l’esistenzialismo abbia cercato d’integrare il tema del tempo nella struttura stessa dell’esistenza. Solo uno scrittore come Borges poteva condensare o meglio sintetizzare tomi di filosofia nelle tre righe che ho messo all’inizio del libro. Il tempo è la sostanza di cui sono fatto. Il tempo è un fiume che mi trascina, ma io sono il fiume; è una tigre che mi sbrana, ma io sono la tigre; è un fuoco che mi divora, ma io sono il fuoco. Ancora una volta la poesia della sintesi (dono concesso a pochi) contrapposta alla realtà prosastica dell’analisi. Io, nel mio, non ho voluto sacrificare la fabula per sviluppare questo tema (altresì avrei scritto un saggio) ma ho cercato di investigare le implicazioni emotive della percezione del tempo (l’utilizzo transitivo di investigare è molto più rispettoso di quello intransitivo visto che ne evidenzia l’incredibile potenza diretta e sintetica). Barnaba vive, una volta barbone, guardando lo specchietto retrovisore di una realtà passata che più non è, vagheggiando la sua famiglia e la sua vita da ricco ingegnere. Quando però quella realtà esisteva e lui viveva nell’agiatezza con la famiglia, comunque non riusciva a vivere il suo presente rifugiandosi nella maniacalità del lavoro. Sceglieva sempre il noto del lavoro invece dell’ignoto del suo quotidiano. E questo mi permette di accennare a un altro strato di lettura del libro: il rapporto dell’uomo della nostra civiltà con il proprio lavoro. Il lavoro che facciamo non dice, per se ipso, quello che siamo ma come lo facciamo dice molto di quello che siamo. Io, per esempio, faccio il professore all’Università: professore viene da profiteri professare. Cosa professa il professore universitario? La fede e l’amore per la ricerca e per l’insegnamento. Eppure ci sono molti professori che non hanno né l’una né l’altro. Però, il modo in cui lavoriamo, quello invece dice molto di noi: appunto se nell’insegnamento non riempiamo vasi ma accendiamo fuochi allora siamo davvero professori, se nella ricerca investighiamo per migliorare le condizioni del genere umano, allora siamo veramente dei professori e dei ricercatori. Parimenti se viviamo il lavoro come unica cosa esistente nella nostra vita, segnaliamo un disequilibrio in quello che siamo. La maniacalità di Barnaba per il lavoro dimostra la sua incapacità di vivere il presente rifugiandosi nella certezza e nella prevedibilità del lavoro. In questo contesto si spiega il titolo del libro. Il giardino è quello in cui Barnaba tiene il braciere con le pietre per cucinare: esse non sono mai state usate e diventano il simbolo di quello che si rinuncia a vivere nel e del presente per dimorare nella certezza del lavoro. O rifugiandosi nel passato o nel futuro. Ciascuno ha le proprie pietre ollari.
La discesa e risalita simile all’apnea che Barnaba affronta è un processo di crescita personale e consapevolezza. In che modo questo viaggio interiore influenza la sua prospettiva e le priorità nella vita e come ciò si riflette nelle sue azioni e decisioni?
Sono un apneista e ho potuto sperimentare che quando sono sott’acqua non penso ma appartengo e sono. Non scendo per guardare i pesci o la sabbia o gli scogli ma per vedere dentro di me. Questo si realizza senza pensiero…incredibile. Quando ho concepito la storia di Barnaba che tocca il suo fondo spirituale per poi riemergere alla realtà in una sorta di palingenesi e beh …si è composto nella calotta del mio cervello il parallelismo con l’apnea. Il parallelo tra l’apnea e la lavoro su di sé lo trovo immodestamente molto azzeccato: l’apnea come metafora del percorso di discesa nel profondo dei precordi, metafora della ricerca interiore. Riporto la postfazione del mio libro: I titoli dei capitoli riguardano ciascuno una precisa fase dell’apnea, dall’immersione in acqua mediante capriola alla emersione nell’aria. L’apnea, con la sua discesa verso il profondo, è una metafora straordinaria del processo di immersione intestina nei precordi, di ricerca spirituale. Barnaba ha avuto bisogno di scendere nel suo profondo, di vedere ciò che stava perdendo e aveva perduto, per poter riemergere alla e nella realtà quotidiana. Così ha potuto comprendere l’importanza del presente, dell’istantesimo; di usare quelle pietre ollari occultate tra le ramaglie del giardino per il mero gusto di viverli, presente e istantesimo. Le meraviglie e i fasti del presente sono i più difficili da vivere: ieri offre rifugi e domani sembra avere diamanti ma, crede mihi, sia i rifugi sia i diamanti sono finti.
“Il giardino delle pietre ollari” tratta temi profondi e universali. Quali sono stati i suoi principali ispiratori nella creazione di questa storia e cosa l’ha spinta a riflettere su concetti come il tempo, la consapevolezza del presente e il significato dell’esistenza?
Domanda profonda che mi consente, in estrema sintesi, di parlare delle mie fonti ispiratrici. Sulla parte del tempo ho già accennato nella prima domanda. E non mi dilungherò oltre. Tocco invece altri strati di lettura del mio romanzo. Uno strato poco evidenziato dai miei lettori è quello della pietà verso gli ultimi. Ovviamente, anche qui, non volevo scrivere un saggio o sbandierare consapevolezze religiose. M’interessavano, ancora una volta, le implicazioni emotive della vita dei barboni. Se doveva emergere la sospensione del giudizio verso gli ultimi, avrebbe dovuto prorompere inopinata mediante le emozioni indotte dalla fabula. Ci sono riuscito? Graf è una barbona esistente che vive nella stazione ferroviaria di Padova. Si chiama Maria. Potete vederla fuori dalla stazione intenta a fare esattamente quello che ho scritto nel libro. Nel libro, non vi è alcun giudizio sulla possibile insensatezza di quel gesto ma se ne trae un’interpretazione, sicuramente letteraria, declinandola in termini di grafomania (nel suo significato proprio e non in quello scherzoso/spregiativo). Le fonti? Il De André della città vecchia e Spinoza quando delle vicende umane scrive: “NON RIDERE, NON LUGERE, NEQUE DETESTARI SED INTELLIGERE” (Non ridere, non piangere, né detestare ma comprendere). Ho cercato di intelligere cioè di cogliere il legame tra e dentro le cose. Barnaba stesso è un barbone e si trova a essere chi prima disprezzava. Proprio tra i barboni scopre una ricchezza umana per lui impensabile. Altro strato di lettura: io sono uno scienziato e ho scritto un romanzo. Credevo che su questo si accendesse il dibattito ormai storico delle DUE CULTURE. Ci sono due linguaggi quello della scientia e quello delle humanae litterae. Ivano Dionigi, straordinario latinista, scrive: “A chi sostiene che la scienza è destinata a scalzare inesorabilmente le humanities (humanae litterae) e che i problemi del mondo si risolvono unicamente in termini ingegneristici, si dovrà rispondere che, se la scienza e le tecnologie hanno l’onere della risposta (ars respondendi) ai problemi gravi e urgenti del momento, il sapere umanistico ha l’onere della domanda (ars interrogandi); e pertanto tra scienza e umanesimo ha da essere un’alleanza naturale e necessaria, perché i linguaggi sono molteplici ma la cultura è una.” Quindi non vi alcuna incompatibilità tra scienze e letteratura. Un esempio vivente sono io, uno letterario è Barnaba. In me convivono i versi di Neruda, Montale, Ungaretti, con le reattanze subtransitorie dei generatori sincroni, gli apozeugmi con gli elettroni, la parola con la cifra, la lettera con il numero, senza soluzione di continuità. Ricordiamo Commiato di Ungà:
Quando trovo
in questo mio silenzio
una parola
scavata è nella mia vita
come un abisso
Ecco! La parola giusta è come una torcia fatta cadere lungo un pozzo buio: man mano che scende illumina le pareti del pozzo. Il pozzo però per buona parte rimane buio, immerso nelle domande. Quando ho bisogno di risposte certe, allora torno alla scienza. Le mie fonti sono Ivano Dionigi, Massimo Cacciari, e Giulio Preti.
La copertina del libro, con il titolo stesso, evocano una forte immagine simbolica. Come sono nati e cosa rappresenta questa scelta nel contesto della narrazione?
Il giardino, il pomario sono sempre luoghi incantati, maliosi. Mi ricordo i versi dei Quattro Quartetti di Eliot e il giardino delle rose
Footfalls echo in the memory
Down the passage which we did not take
Towards the door we never opened
Into the rose-garden.
o il pomario montaliano:
Godi se il vento ch’entra nel pomario
vi rimena l’ondata della vita
Il titolo quindi non poteva che contenere la parola giardino come passaggio segreto, un portale cronotopico quasi un’utopia, un non luogo. E poi le pietre ollari. Intanto pietra come se fosse il monolite di S. Kubrick. Ollare derivato da olla o pentola di terracotta. È vero sono tutti simboli; si potrebbero così tradurre: il passaggio spazio-temporale (giardino) per arrivare a capire tramite gesti quotidiani (ollare=cucinare) quello che è e che resta (pietra). Però questa è la mia interpretazione e non è detto che sia quella giusta né l’unica: come scriveva Conrad “Si scrive soltanto una metà del libro, dell’altra metà si deve occupare il lettore”. Quindi lascio al lettore il compito di interpretare la simbologia del titolo e anche quella di alcuni passaggi del libro (ad esempio i riferimenti alla ricerca dei funghi). Per la copertina, io avevo pensato all’Impero delle luci di Magritte per le forti implicazioni surrealiste (vedasi citazione a inizio libro) della compresenza giorno/notte, luce/tenebre, discesa/ascesa ma il gruppo Albatros ha trovato una soluzione che mi ha molto emozionato e dalla sua domanda inferisco che possa emozionare anche i lettori.
Barnaba è il protagonista del libro. Quali sono i momenti chiave del suo percorso di crescita e cambiamento, e come questi momenti potrebbero risuonare con i lettori in generale, spingendoli a riflettere sulla propria esistenza e il modo in cui affrontano il tempo?
Gli snodi della rinascita di Barnaba sono essenzialmente due: l’amore per la cagnetta Ghifty e il risollevarsi dall’indigenza mediante la cultura. Ci tengo a proporre al lettore queste poche righe del libro: “Così, al rientro da Roma, Barnaba avrebbe avuto un lavoro che gli avrebbe consentito di curare Ghifty e, anche se non era fisicamente malato, sé stesso. E similmente alla prosa di Marquez, la cultura poteva curare Ghifty e far rinascere Barnaba. Barnaba si stava ripartorendo, e la maieutica sarebbe stata la cultura.” Forse l’idea che la cultura sia la vera chiave per aprire tutte le porte nella vita e per saper interpretare di che materiale sono fatte è mera utopia. E vi lascio con delle domande contenute nel libro. “Quanti in realtà pensavano che la cultura fosse uno strumento di promozione? Che portasse al successo?”. Che poi questo è il modo più bello con cui posso salutarvi. Uno scrittore dovrebbe proporre domande perché sono universali …le risposte sono sempre personali. E non si può non concludere con il profeta Isaia nella domanda più profonda mai udita: “Sentinella, a che punto è la notte? Sentinella a che punto è la notte?”. La risposta non cercatela nel profeta (anche perché non ve la darà spronandovi nel continuare a domandare) ma dentro di voi.
Ringraziamo Roberto Benato per averci concesso questa intervista e averci parlato del suo nuovo libro “Il giardino delle pietre ollari”. Siamo rimasti molto colpiti dalle sue parole e siamo sicuri che questo libro sarà un successo. Buona lettura!
