La villa – Rossella Di Pietro

Nell’articolo odierno parliamo del libro La villa di Rossella Di Pietro, pubblicato dal Gruppo Albatros Il Filo. Presentiamo qui un’intervista con l’autrice del libro per evidenziare gli aspetti letterari più originali e le esperienze più importanti che sono condensate in questo testo. Affronteremo anche i temi che maggiormente sono rilevanti per l’autrice e ai quali viene data espressione in modo peculiare. La villa di Rossella Di Pietro, pubblicato dal Gruppo Albatros Il Filo, è un romanzo che è allo stesso tempo un metaromanzo: riflette cioè, sulla possibilità di un testo scritto di farsi movente per un’azione etica, per una svolta nelle proprie convinzioni esistenziali. Riflette, in modo non solo letterale ma anche autoreferenzialmente interno, sulla possibilità del testo scritto di diventare energia viva di cambiamento e riconoscimento. I segni, infatti, esistono solo se qualcuno li vede. E così anche Guia, protagonista del romanzo, coglie i suoi segni e un giorno, mentre è a casa in convalescenza, tra tutti i libri che possiede scopre un libriccino dalla copertina color crema intitolato Uomo Silvano scritto da X. Muñez. Inizia a leggere il libro, all’interno del quale ci sono pagine di appunti, e giorno dopo giorno scopre qualcosa in più sulla vita di quest’uomo. Muñez aveva trascorso gli ultimi trent’anni di attività in una piccola cittadina, aveva acquistato una villa in una zona boscosa e alla sua morte, per mancanza di eredi, la villa viene acquistata da una nota catena di alberghi. Al centro della raccolta si evidenzia il suo impegno per una nuova ecologia urbana, un modo di percepire lo spazio fisico e l’infrastruttura sociale che poggia su un assunto democratico, dentro il quale la logica del capitale non scompare del tutto, ma viene piegata all’esigenza dell’uomo, inteso nella sua declinazione collettiva. Guia si fa prendere sempre di più dalla sua ricerca, indaga nella vita di Muñez, visita i luoghi dove ha vissuto, cerca le persone che possono averlo conosciuto, scava nella sua vita e nei suoi segreti. Ma cos’è che spinge Guia in questa spasmodica ricerca? Cosa lega la sua vita a quella di Muñez? E chi è realmente questo autore sconosciuto?

Per saperne di più, ecco l’intervista con l’autrice: buona lettura!

Quali sono i temi decisivi di questo romanzo?

Uno dei temi decisivi del romanzo è senz’altro quello dell’appartenenza nella sua declinazione sociale. È ugualmente importante che l’appartenenza passi anche attraverso la tangibilità di certi luoghi fisici—come, ad esempio, quello di una villa museale—che diventano cifra storica e culturale di una comunità. È da qui che deriva la mia personale fascinazione per l’ecologia urbana—ovvero come l’interazione con l’ambiente arrivi a modulare certi comportamenti collettivi—che pure trova spazio nel racconto in modo tangenziale. Il tutto è calato nella vita di una donna colta a un crocevia tra passato e futuro, sia professionale che emotivo, schiacciata com’è contro un presente che consuma con indolenza, e nel quale fatica a riconoscersi. È il suo corpo a ribellarsi prima che lei ne sia del tutto consapevole, e il suo viaggio alla ricerca di Muñez è, in essenza, un viaggio alla riconquista di sé stessa, della sua intuizione artistica e, in genere, delle immense potenzialità dell’arte nell’ offrire conforto e trasformazione.

Quali sono le caratteristiche umane e caratteriali dei personaggi principali e come si evolvono durante gli eventi della storia?

All’inizio del romanzo Guia è una regista teatrale insoddisfatta del suo attuale progetto. Si interroga senza posa sul suo talento e su quanto abbia da offrire, ma, probabilmente anche in virtù di una tendenza all’auto sabotaggio, resta refrattaria al cambiamento, alla possibilità di scommettere sulle sue capacità e farsene carico. È il caso, assieme al corpo che crolla sotto la sua palpabile frustrazione, a scuoterla e a consegnarle tra le mani, letteralmente, una via di fuga. Guia non ci pensa due volte e la infila senza voltarsi. Il viaggio che la spinge in avanti, però, come ogni processo evolutivo degno di nota, converge con una analisi necessaria su quanto è invece accaduto prima, e sull’urgenza a imparare ad accogliere quei sentimenti complessi e irrisolti che ha provato invano a sopprimere. Funzionali a tale operazione sono i personaggi che compongono e gravitano attorno al comitato culturale di T. Guia, da regista, finisce, dunque, a ritrovarsi ‘diretta’ da un gruppo di giovani creativi che con candore (o ardore, nel caso di Grace, responsabile alle politiche culturali cittadine) confutano tutto quanto lei sia disposta a credere su sé stessa, senza, al contempo rivelare su Muñez niente di più di quanto sia comunemente noto.

Cosa vuole comunicare ai lettori con questa opera?

Non so se ci sia qualcosa di specifico che intendevo comunicare scientemente mentre ero a lavoro su questo romanzo. Tuttavia, i temi centrali si sono indubbiamente sviluppati in modo organico dalle tensioni di cui sopra. Ho sempre trovato fortemente calzante una citazione di Montaigne su come scrivere significhi stare ai margini della vita. Il margine è fondamentale perché offre un punto di osservazione, ma al contempo inserisce un elemento di distacco nell’equazione. Come si articola il discorso dell’appartenenza per chi è al margine? Nel caso della mia protagonista—una donna bianca, giovane, indipendente e piena di risorse, presumibilmente occidentale, anche se ogni riferimento geografico resta imprecisato—il margine assegnatole, in una ricezione pubblica e conservatrice, potrebbe essere relativo al modo in cui vive liberamente la propria sessualità. Eppure, non era questo aspetto che più mi premeva investigare. Il margine di Guia è la complessità emotiva determinata dalle circostanze specifiche del suo percorso di vita. L’appartenenza, la sua apertura all’esterno, il filo che unisce le sue esperienze a quelle altrui, non può compiersi finché non impara a perdonarsi per il margine che la contraddistingue.

Come descriverebbe il suo stile di scrittura? Quali autori del presente e/o del passato prende come modello?

In termini di stile, mi piace molto procedere per immagini e libere associazioni. Vorrei poter essere in grado di raccontare le ombre e le luci, di trasferire su carta sentimenti complessi sfruttando il punto di osservazione di chi le prova, e creare dunque un intreccio unico tra ciò che accade all’esterno e quello si muove all’interno. Per questo motivo ho la sensazione che, talvolta, la mia scrittura non sia immediatamente scrutabile, ma che richieda un piccolo atto di fede da parte di chi legge. Abbiate pazienza, vi prometto che ha senso! Sono molte le autrici e gli autori che hanno contribuito alla mia formazione. Primi fra tutti, specialmente in termini cronologici, Paul Auster e Italo Calvino, con il suo puntualissimo spirito di osservazione, in grado di cogliere la poesia del quotidiano; Elena Ferrante mi ha insegnato la scientificità della narrativa, Natalia Ginzburg la coralità. Sono assidua lettrice di letteratura europea di cui negli anni ho, anche inconsciamente, subito l’influenza. Tra le favorite vi sono Annie Ernaux, Olga Tokarczuk, Rachel Cusk, Olivia Laing, ma anche l’americana Ottessa Moshfegh, e la messicana Valeria Luiselli.

Come è stata la sua esperienza editoriale con il Gruppo Albatros Il Filo? Progetta di scrivere altri libri?

La mia esperienza con Albatros Il Filo è stata una gioiosa sorpresa, dal momento della selezione del mio romanzo, fino agli step finali delle interviste televisive. I componenti del gruppo mi hanno sostenuta lungo ogni tappa, dispensando utilissimi consigli e infondendomi il coraggio necessario a imbarcarmi in questa impresa. La comunicazione col gruppo è stata puntale, costante ed efficiente, e sono grata a tutte e a tutti per una prima esperienza editoriale così piena di premura e di fiducia.
Progetto senz’altro di continuare a scrivere. Sto rilavorando un vecchio progetto che necessitava di una struttura più raffinata, e sono in costante fase di ricerca per raccontare nuove storie. Ho appena terminato un corso di filmmaking per cui ho scritto, prodotto e diretto un cortometraggio. Il processo è stato entusiasmante, specialmente perché mi ha insegnato quanto sia cruciale avere una struttura narrativa solida, e quanto la tecnica sia necessaria a creare un risultato armonico, che arrivi al punto e che sia in grado di muovere lo l’immaginazione e lo spirito.

Ringraziamo l’autrice per aver risposto alle nostre domande e per averci aiutato ad arrivare al cuore del testo e delle questioni in esso implicate. La villa di Rossella Di Pietro, pubblicato dal Gruppo Albatros Il Filo, merita di essere letto con attenzione perchè getta luce su un percorso esistenziale che insegnare a guardare meglio il mondo, grazie alla capacità di autoanalisi: il conoscere è sempre e in primo luogo un riconoscersi.

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