GRUPPO ALBATROS IL FILO PRESENTA: IL POZZO DELLE FATE – Valeria Casciotti

Benvenuta, Valeria. “Il pozzo delle fate” è un romanzo intenso, che scava nell’animo umano con una scrittura evocativa e potente. La tua narrazione ci porta in una terra tanto materna quanto spietata, dove la miseria e la speranza si intrecciano indissolubilmente. La storia del giovane Domenico tocca corde profonde, evocando un realismo crudo che si mescola con una dimensione quasi fiabesca. Oggi vogliamo approfondire il tuo percorso di scrittura e le tematiche del tuo libro.

“Il pozzo delle fate” racconta una storia di sofferenza e di sogni che si intrecciano con la dura realtà. Cosa ti ha ispirato nella creazione di Domenico e del suo mondo?

Rispondere a questa domanda è  abbastanza complesso, perché tanti e diversi sono i fattori che mi hanno ispirato: la Sicilia, questa terra meravigliosa e al contempo aspra e difficile,  la sua storia,  spesso crudele per un popolo che dall’Unità d’Italia non solo non ha tratto alcun vantaggio, ma ha visto anzi peggiorare sensibilmente le sue condizioni,  il brigantaggio, fenomeno che trae le sue origini proprio dai problemi sociali di questo popolo e di questa epoca, e che mi ha sempre affascinato moltissimo. Questi i principali elementi che mi hanno guidato nel dipingere il contesto del mio romanzo, ma essenzialmente la storia di Domenico mi è nata dentro spontaneamente, non so quando o perché, come se fosse lì da sempre e aspettasse solo di essere raccontata.

La figura materna nel romanzo è centrale, con una forza e un amore incondizionati che si contrappongono alla brutalità della vita. Qual è stato il processo che ti ha portato a costruire un personaggio femminile così intenso?

Il personaggio della madre di Domenico nasce sicuramente dal ricordo di mia madre   che, seppure tanto diversa, in qualche modo le somiglia molto: le somiglia essenzialmente nell’amore viscerale e incondizionato per i figli, nel suo essere un punto di riferimento, un porto sicuro in qualsiasi circostanza e le somiglia anche nella riservatezza, nella dignità, nella classe, nell’altruismo con cui ha affrontato una vita troppo breve e non sempre facile.

La tua scrittura richiama atmosfere che ricordano quelle di Grazia Deledda, con un legame profondo tra uomo e natura. Quali sono gli autori che più hanno influenzato il tuo stile e la tua visione narrativa?

Sono ovviamente onorata che il mio nome venga accostato a quello di Grazia Deledda, unica scrittrice italiana ad aver ricevuto il Premio Nobel per la letteratura, ma non so quanto il paragone possa essere calzante. L’uomo-canna della Deledda è perfettamente consapevole della sua fragilità e dell’ineluttabilità del suo destino, mentre Domenico appare inconsapevole delle proprie condizioni e si rifugia nel sogno proprio per sfuggire alla realtà. È vero che anche la Deledda parla di apparizioni notturne, di elfi, fate e fantasmi, ma sono recepite dal protagonista in modo diametralmente opposto a come le recepisce Domanico: nel primo caso c’è timore e inquietudine, nell’altro, fiducia e speranza. Direi che gli autori che più hanno influenzato il mio stile, e che sono anche quelli che amo di più, sono Elsa Morante, soprattutto in “Menzogna e sortilegio”, e Dino Buzzati.

Nel romanzo si percepisce una contrapposizione tra la crudezza della realtà e il mondo fantastico che Domenico costruisce per sopravvivere. Quanto è importante, secondo te, il potere dell’immaginazione nella vita delle persone?

Per me il potere dell’immaginazione è un aspetto essenziale della vita: senza la fantasia, senza il sogno, senza la favola l’esistenza sarebbe una ben misera cosa. Quando non abbiamo più la capacità di sognare, a qualsiasi età, siamo già morti. Io ho una naturale, forse anche eccessiva, predisposizione al sogno, al sogno come fuga dal dolore, come luogo alternativo in cui rifugiarsi quando la realtà è troppo dura da sopportare, al sogno come l’unica cosa che tutto guarisce e consola. So di essere fortunata per questo, perché per altre persone è più difficile riuscire a staccarsi dalla realtà, anche se lo vorrebbero, ma penso che tutti noi, nei momenti più difficili della nostra vita, abbiamo almeno tentato di rivolgerci al sogno, alla favola, a una speranza che va anche oltre il possibile. Ecco, in fondo, io credo che, chi con minore, chi con maggiore successo, Domenico siamo un po’ tutti noi.

Hai sempre avuto la passione per la scrittura. Cosa rappresenta per te scrivere oggi e quali sono i tuoi progetti futuri?

Per me scrivere è una necessità, una cosa che mi fa sentire viva e mi permette di dare spazio alla creatività e alla fantasia. È un’attività che mi consente di vivere tante vite alternative e di entrare nella pelle di tanti personaggi diversi, per età, per sesso, per condizione sociale. Inoltre, la mia passione per la scrittura deriva anche dal profondo amore e rispetto che provo per la mia lingua, oggi così spesso maltrattata e offesa, e da ciò deriva inevitabilmente un certo perfezionismo: posso passare anche un’ora su una frase, finché non la sento perfetta, nella sintassi, nella punteggiatura, nelle singole parole, che devono necessariamente esprimere, esattamente, ciò che voglio dire. Attualmente ho in mente due progetti, che riguardano, stavolta, le donne: uno è la rielaborazione di un romanzo che ho già scritto e che racconta una storia di donne e di un amore lontano e mai dimenticato, mentre l’altro è il racconto della vita difficile di una donna, del suo coraggio e delle sue lotte, delle sue dipendenze e delle sue piccole gioie.

Grazie, Valeria, per aver condiviso con noi il tuo viaggio nella scrittura e il dietro le quinte di “Il pozzo delle fate”. Il tuo romanzo è un’opera che lascia il segno, capace di emozionare e far riflettere. Ti auguriamo il meglio per i tuoi prossimi progetti e speriamo di leggerti ancora presto!

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