Benvenuti nel blog del Gruppo Albatros! Oggi abbiamo il piacere di intervistare Maria Silvana Salvini, autrice del saggio “Evoluzione dell’urbanizzazione. Storia e sviluppo delle città nel mondo”, un’opera che offre uno sguardo approfondito e illuminante sul fenomeno dell’urbanizzazione a livello globale. Con una carriera accademica di rilievo e una lunga esperienza di ricerca sulla demografia, Salvini ci guida attraverso l’affascinante storia delle città e dei loro processi di crescita, mettendo in luce le trasformazioni in corso e le sfide future. L’urbanizzazione, sebbene non sia un fenomeno recente, oggi assume nuove connotazioni, con una crescita senza precedenti nelle aree urbane e un progressivo spopolamento delle aree rurali. Un tema, questo, di grande attualità, che ci tocca da vicino anche in Italia. Vediamo ora di esplorare il pensiero dell’autrice attraverso alcune domande.
Quali sono stati i principali cambiamenti storici che hanno portato alla nascita e allo sviluppo delle città come le conosciamo oggi?
Le basi per la nascita delle città derivano dalla crescita della produzione alimentare, che può divenire oggetto di scambio, e dall’aumento della densità della popolazione con la fine del nomadismo, quando i popoli diventano sedentari. Si assiste così all’evoluzione delle popolazioni nomadi – dipendenti dalla caccia e dalla raccolta – verso gruppi ampi e stabili, in cui si sviluppa la divisione del lavoro. Una parte della popolazione può dedicarsi ad attività diverse da quella agricola, come ad esempio all’artigianato, alle attività politiche e a quelle religiose. Sono i presupposti per lo sviluppo di una società di tipo “urbano”. Le città più antiche del mondo sono sorte nel Vicino Oriente e, in genere, vicino ai fiumi. Si ricordano Gerico, a pochi km. da Gerusalemme, che pare sia stata popolata senza interruzioni dall’11.000 a.C. al 9.300 a.C. nelle vicinanze del fiume Giordano. In Siria sono sorte le città di Damasco che, secondo alcune fonti, è la più antica del mondo, e Aleppo, la cui cittadella è stata inserita tra i patrimoni dell’umanità dell’UNESCO nel 1986, che figura anch’essa tra le città considerate le più antiche del mondo. Il tempo non ha distrutto queste due antichissime città: lo hanno fatto prima la guerra civile e poi il terremoto. Nei secoli sono sorte numerosissime città, che hanno occupato prevalentemente le coste in particolare dell’area mediterranea, dell’Asia orientale, le coste atlantiche dell’America e dell’Africa si sono riempite di megalopoli, a causa della crescita delle attività industriali e dei servizi, con la popolazione mondiale per oltre la metà residente in aree urbane.
Nel suo libro, lei parla di un incremento esponenziale della popolazione urbana. Quali sono, secondo lei, i fattori che hanno accelerato questo fenomeno negli ultimi decenni?
L’urbanizzazione è considerata una forza irreversibile guidata almeno in parte da un passaggio economico dall’agricoltura all’industria, al commercio e ai servizi. Le trasformazioni spaziali sono strettamente legate ai cambiamenti nell’economia, in particolare le trasformazioni settoriali che accompagnano la crescita e l’apertura dell’economia al commercio e agli investimenti esteri. Si pensi – fra le città europee – a Londra, simbolo della crescita legata alla rivoluzione industriale. Si realizza poi il processo di globalizzazione, un fenomeno che accomuna l’omogeneizzazione delle città in termini di attività economiche e soprattutto culturali. Con l’inizio dei processi di urbanizzazione a livello globale, le scienze sociali e i teorici urbani iniziano a dedicare gran parte delle loro energie intellettuali alla comprensione della crescita delle città. Varie teorie sulle città vengono proposte dai teorici urbani: le città emergono e crescono quando i rendimenti crescenti superano i costi di trasporto; la stessa concentrazione spaziale crea un ambiente economico favorevole allo sviluppo della tecnologia così come i fattori religiosi o politici. Una teoria sosteneva che le prime città supportassero le aree circostanti, contestando l’idea che le città si sviluppassero su una base economica rurale. I teorici sociali del XIX secolo e dell’inizio del XX collegarono la crescente urbanizzazione dopo la Seconda guerra mondiale al progresso in Asia, Africa e America Latina, dove nel contempo iniziò a realizzarsi la transizione demografica. Le città avevano una maggiore produttività e i servizi sociali potevano raggiungere un numero maggiore di persone con la diffusione di nuove tecnologie.
L’Italia vive il duplice fenomeno dell’urbanizzazione e dello spopolamento dei piccoli comuni. Quali sono le conseguenze di questa tendenza, e come potrebbe essere affrontata a livello politico e sociale?
La crescita urbana è esponenziale e, secondo le proiezioni delle Nazioni Unite, lo sarà anche nel futuro, mentre diminuirà la popolazione delle campagne. Cambia lo scenario demografico, quindi, e cambia con esso il sistema di vita delle popolazioni. Nelle città sia il mercato del lavoro sia la struttura delle famiglie sono diversi dalle tipologie rurali. Anche nei paesi in via di sviluppo (Pvs) la forma familiare prevalente diventa quella nucleare, rispetto a quella allargata e muta sostanzialmente il modello di fecondità. Lo spostamento dalla campagna alla città, che continua ancora nei Pvs, si sostanzia spesso in periferie degradate, le baraccopoli. L’urbanizzazione non è certo un fenomeno nuovo: di migrazione delle popolazioni dalla campagna alla città si parla da secoli. Tuttavia, il più recente interesse nei confronti dell’urbanizzazione è dovuto alle dimensioni che oggi il fenomeno assume su scala globale: il 55% della popolazione mondiale vive in aree urbane e si prevede che tale dato aumenterà al 68% circa entro il 2050. Lo studio dei flussi città-campagna fa parte di un importante campo di ricerca storica che ha trattato dei rapporti fra città e territorio circostante, quello che in Italia era detto “contado”. Per Berengo come per Braudel una città non è tale se non “regna” su un territorio che la circonda. Una città – in epoca storica ma anche attualmente – controlla la proprietà fondiaria nelle campagne, e questo controllo, che da politico e istituzionale diventa economico in età moderna, si fa sempre più saldo e pervasivo. In tempi recenti le indagini ci rivelano che nei piccoli comuni è migliore la qualità della vita, anche se è più difficile avere buone opportunità economiche rispetto alle grandi città. In molti paesi industrializzati, per cercare un ambiente meno affollato, meno rumoroso, più adatto ai bambini, le famiglie cercano un’abitazione nei centri minori, escono dal centro delle città e tendono a stabilirsi nei dintorni, caratterizzati dalla presenza di verde, di aria più pulita, di una minore rumorosità, oltre che da un minor costo delle case. Questo accade anche in Italia, dove alcune città maggiori hanno visto la loro popolazione diminuire negli anni più recenti. Tuttavia, fino ad oggi ha agito il fenomeno inverso: generalmente è la maggioranza dei piccoli borghi a subire lo spopolamento demografico. L’Associazione nazionale dei comuni italiani (Anci) ha lanciato l’allarme tempo fa, sottolineando la necessità di una politica nazionale e regionale in favore dei territori e dei cittadini dei piccoli borghi che, da una parte, rafforzi le infrastrutture già esistenti che erogano servizi fondamentali (sanità, scuola, mobilità) e, dall’altra, incentivi gli investimenti diretti a sostenere le attività produttive.
Il suo saggio si concentra anche sulle città nei paesi in via di sviluppo. In che modo l’urbanizzazione in queste aree differisce da quella nei paesi industrializzati?
Il processo di urbanizzazione si realizza in modo diverso nelle regioni del mondo avanzate e nelle aree in via di sviluppo. Sostanzialmente in queste ultime non si è verificato lo spopolamento dei borghi minori e neanche l’arresto della crescita nelle grandi città. Nei paesi in via di sviluppo sono aumentate le megalopoli, sia in numero sia in popolazione e densità. La caratteristica di molte città dell’America latina, dell’Africa (in particolare sub-Sahariana) e nell’Asia orientale (soprattutto nel sub-continente indiano) sta nella grande presenza di baraccopoli, che non esistono nei paesi occidentali. In queste “città nelle città” il degrado è visibile, mancano le infrastrutture sanitarie, spesso l’acqua potabile e le case sono fatte con materiale di fortuna, spesso ammassate le une sulle altre, in un insieme dove le condizioni della salute sono del tutto precarie. Accanto a palazzi signorili e a ville di proprietari più che benestanti, si scorgono queste aree disagiate dove anche le attività sono di dubbia qualità e di basso reddito. La povertà e la conseguente inadeguata situazione sanitaria porta alla diffusione di malattie e a livelli di mortalità infantile ancora elevati. Un’altra differenza che distingue i paesi sviluppati da quelli in via di sviluppo risiede nel fatto che la fecondità non mostra diversità fra città e campagne nei primi, mentre nei secondi le aree rurali hanno generalmente una fecondità più alta delle città. La transizione demografica – il passaggio da un regime caratterizzato da alta mortalità e alta fecondità ad un’altra forma di equilibrio dove sia la mortalità sia la fecondità sono basse – non è completata dunque, e le città adesso sono precorritrici del processo, come era accaduto in passato nei paesi avanzati.
Guardando al futuro, quali sfide e opportunità vede per le città in un mondo sempre più urbanizzato?
Il futuro tende a delineare le “città intelligenti” o smart cities. Lo sviluppo urbano in questo approccio è visto in funzione delle nuove tecnologie e in particolare di quelle dell’informazione e della comunicazione. Si aggiunge a questa visione l’idea che nella città intelligente si persegua la ricerca del miglioramento degli stili di vita ispirati al benessere equo e sostenibile e dell’apertura all’innovazione. Oggi, quindi, il concetto di città è profondamente cambiato. Sono cambiate ovviamente le dimensioni, ma anche la forma e tutte le caratteristiche. Il percorso degli agglomerati urbani, dalla città greca, che rappresenta la prima e più avanzata forma di organizzazione spaziale e politica “democratica”, fino alle odierne aree metropolitane con svariati milioni di abitanti, è stato discontinuo. Per un lunghissimo periodo le caratteristiche fondamentali (dimensione, forma, attività svolte) si sono mantenute grosso modo stabili, per cambiare radicalmente fino alla smart city. Inoltre, due aspetti governano l’oggi e il domani delle città. In primo luogo, la verticalizzazione come nelle immense New York e Tokio e in secondo luogo l’esigenza del verde, sotto forma di parchi, grandi giardini e grattacieli verdi, con i palazzi avvolti da alberi, arbusti e piante. Sono stati concepiti vari progetti, come il vertical farming oppure le coltivazioni rooftop sugli edifici delle aree metropolitane. Per l’Italia basti pensare alle creazioni di Porta Nuova o al Bosco Verticale a Milano: si mettono in essere le pareti verdi o i grattacieli verdi, oppure le foreste urbane.
Ringraziamo Maria Silvana Salvini per aver condiviso con noi il suo prezioso contributo e per averci aiutato a comprendere meglio il fenomeno dell’urbanizzazione, una realtà che continua a trasformare il nostro mondo e il nostro modo di vivere. Il suo saggio rappresenta un’importante risorsa per tutti coloro che desiderano approfondire questo tema cruciale. Vi invitiamo a scoprire il suo libro “Evoluzione dell’urbanizzazione. Storia e sviluppo delle città nel mondo” e a riflettere su come le città, grandi e piccole, continueranno a evolvere nel futuro. Grazie a tutti per averci seguito e alla prossima intervista!
