GRUPPO ALBATROS IL FILO PRESENTA: Il miracolo della farfalla – Bruno Russo

Benvenuti a questa nuova intervista sul blog del Gruppo Albatros. Oggi abbiamo il piacere di ospitare Bruno Russo, autore del libro “Il miracolo della farfalla”. Un’opera che si presenta come un viaggio affascinante ai confini della mente umana, portandoci attraverso le vicende di Nino e le sue avventure, che sfidano le convenzioni e i limiti della nostra comprensione. Il libro affronta temi profondi e complessi come la violenza sulle donne e i traumi che attraversano il tempo e le generazioni, immergendosi nelle tre dimensioni di corpo, spirito e anima. In questo viaggio letterario, Russo ci porta al centro dell’eterna battaglia tra bene e male, esplorando il senso più profondo della vita.

Nel suo libro, “Il miracolo della farfalla”, affronta temi delicati come la violenza sulle donne e i traumi generazionali. Cosa l’ha spinta a scegliere questi argomenti e in che modo la storia di Nino si intreccia con queste tematiche? 

Il libro affronta una vasta gamma di tematiche complesse, tutte collegate da un filo conduttore rappresentato dall’osservatore, un’entità neutrale che osserva il comportamento umano senza giudizio. Questo sguardo distaccato permette di analizzare fenomeni sociali come la violenza sulle donne e il patriarcato da una prospettiva più ampia, cercando di comprendere le cause profonde che li alimentano. Uno dei temi che oggi tocca profondamente la nostra società è proprio la violenza di genere, un dramma che trova spazio costante nelle cronache quotidiane e nei dibattiti pubblici. Ho cercato di esplorare questo fenomeno come farebbe un osservatore, spostando il punto di vista verso l’alto, per cogliere non solo gli eventi immediati, ma anche le concause storiche e culturali che hanno portato a questa involuzione. La violenza sulle donne, per quanto sia un problema contemporaneo, affonda le sue radici in una lunga storia di squilibri di potere. Dal momento in cui l’uomo, da nomade cacciatore, si è fatto stanziale, l’accumulo di beni materiali e la proprietà della terra hanno creato nuove forme di dominio, alimentate successivamente da guerre, ambizioni di potere e il desiderio di controllo, non solo su risorse materiali, ma anche sugli individui, comprese le donne. Il libro si interroga sulle motivazioni che ci hanno portato a questo punto: davvero l’egoismo e il desiderio di possesso sono alla base di tutte queste ingiustizie e violenze? Cosa si può fare per invertire la rotta? La mia opera nasce dal desiderio di piantare un piccolo seme che possa far riflettere i lettori su queste tematiche tanto care a me. Sento che è solo attraverso la riflessione consapevole e collettiva che possiamo sperare di cambiare il corso della storia. Una delle prime osservazioni che emerge da una lettura attenta della storia è che gli eventi sembrano ripetersi ciclicamente. Finché l’uomo non deciderà di spezzare le catene che lo legano al passato, continuerà a riprodurre gli stessi schemi di violenza e sopraffazione. In questo contesto, trovo illuminanti le teorie di Anne Ancelin Schützenberger, esposte nel suo libro *La sindrome degli antenati*. Schützenberger dimostra l’esistenza di una “memoria cellulare” che si trasmette da una generazione all’altra, perpetuando traumi e sofferenze se non vengono riconosciuti e risolti. Il mio libro inizia con episodi di violenza brutali che si verificano nel tardo Cinquecento, quando donne coraggiose come Beatrice Cenci si trovano a dover resistere agli abusi di uomini di potere. Queste donne, nonostante le crudeltà che subiscono, lottano per liberarsi dalle ingiustizie. È una storia di resistenza, che si tramanda attraverso i secoli come una memoria ancestrale. Le paure e i traumi di quelle donne vengono ereditati dai loro discendenti, come una sorta di destino segnato, una “memoria del corpo” che persiste, anche se inconsapevolmente, nei comportamenti e nelle emozioni delle generazioni successive. Schützenberger, ad esempio, ha indagato il legame tra i disturbi alimentari di oggi e le carestie vissute dai nostri antenati, mostrando come esperienze estreme come la fame possano lasciare un’impronta duratura nella nostra psiche e nel nostro corpo. Non è una giustificazione per l’inazione, tutt’altro. La comprensione di questi meccanismi ci offre la possibilità di spezzare l’anello, liberando non solo noi stessi ma anche le generazioni future dal ripetersi degli stessi schemi distruttivi. È questo il messaggio centrale del mio libro: attraverso la consapevolezza e la volontà di cambiamento, possiamo interrompere il ciclo della violenza e dare vita a una nuova storia, una storia di guarigione e trasformazione. Nino, il protagonista del mio libro, incarna la possibilità concreta di sciogliere questi nodi ancestrali e spezzare il ciclo di sofferenze tramandato di generazione in generazione. Attraverso il suo percorso, il libro cerca di trasmettere un messaggio profondo: non siamo condannati a ripetere gli errori dei nostri antenati. Possiamo, attraverso la consapevolezza, la compassione e il coraggio, sciogliere quei nodi invisibili che ci legano e liberarci da cicli di sofferenza e violenza. In questo senso, Nino è una figura di cambiamento e redenzione, un simbolo della possibilità che, nonostante il peso del passato, possiamo scegliere di costruire un futuro diverso.

Il titolo del libro evoca un’immagine potente e simbolica. Può spiegarci cosa rappresenta la farfalla e come si collega al viaggio interiore del protagonista? 

La farfalla è un simbolo universale di trasformazione e rinascita. Nel libro, rappresenta il percorso di cambiamento e crescita che il protagonista, Nino, attraversa. Come una farfalla che emerge dalla crisalide. Nino, nel libro, è una giovane anima che si affaccia alla vita con una certa ingenuità, simile a quella di un bambino che cerca scorciatoie per evitare il dolore. All’inizio del suo percorso, egli spera di poter sfuggire alle esperienze più difficili e dolorose, credendo che esista un modo per evitarle del tutto. Questa è una reazione naturale, quasi istintiva, alla sofferenza: cercare vie più facili, soluzioni immediate che lo tengano lontano dalle difficoltà. Tuttavia, proprio come ogni farfalla deve passare attraverso la crisalide per completare la sua trasformazione, anche Nino deve affrontare inevitabilmente le sfide della vita. Le scorciatoie che cerca si rivelano illusorie, e ben presto si rende conto che per crescere, evolvere e liberarsi dai traumi del passato, non può sottrarsi al dolore. È proprio attraverso queste esperienze, per quanto difficili, che Nino inizia a maturare, a conoscere se stesso e a comprendere le radici dei suoi problemi e delle sue paure. Il fatto che Nino all’inizio cerchi di evitare il dolore lo rende un personaggio estremamente umano, con cui molti lettori possono identificarsi, spesso, di fronte alle avversità della vita, la prima reazione è quella di cercare una via più facile o indolore, ma il percorso di Nino insegna che non c’è crescita senza affrontare ciò che ci spaventa. Solo attraversando il dolore e vivendo appieno le esperienze, anche quelle più difficili, possiamo davvero trasformarci e trovare la nostra strada. In questo senso, Nino rappresenta la lotta interiore che tutti affrontiamo: la tensione tra il desiderio di proteggersi dal dolore e la necessità di affrontarlo per poter veramente crescere e cambiare. È un personaggio che, attraverso il suo viaggio di scoperta e accettazione, dimostra che non ci sono scorciatoie per la libertà interiore: il dolore, quando affrontato con coraggio, diventa parte integrante del processo di trasformazione e guarigione.

Nino è un personaggio ricco di sfumature e complessità. Come è nato questo personaggio e quali sono state le sue principali ispirazioni nel crearlo? 

Nino è un personaggio profondamente complesso, nato da un intreccio di suggestioni e riflessioni che vanno ben oltre il semplice concetto di vita e morte. Tutti, o quasi, si interrogano su cosa succeda dopo la morte, ma una domanda altrettanto affascinante che mi sono posto è: cosa succede prima di nascere? Come nasce un’anima? Questa domanda è stata il punto di partenza per la creazione di Nino, un personaggio che non solo esiste in questa vita, ma che ha un’origine molto più profonda, radicata nel mondo invisibile. Ho immaginato che l’anima di Nino non fosse nata semplicemente in un corpo, ma fosse il risultato di una combinazione di forze straordinarie. Nella mia ipotesi, Nino prende forma come una sorta di “egregora”, un’entità nata dalle forti emozioni e dalle “forme pensiero” delle persone che assistettero all’esecuzione di Beatrice Cenci, un evento drammatico che ha segnato la storia. L’amore incondizionato di Beatrice, unito alla maledizione lanciata dal padre Francesco Cenci, si intrecciano in una dinamica tanto potente da creare un embrione ectoplasmico, un’anima non ancora formata nel mondo dell’invisibile, che nasce proprio da Beatrice. Questa origine dà a Nino una complessità unica. Beatrice, portatrice di un amore sconfinato e puro, rappresenta per lui la figura che lo nutre e lo sostiene. Nino cresce con un legame indissolubile con Beatrice, alimentato da questo amore incondizionato, che lui desidera riappropriarsi a tutti i costi. Tuttavia, quando Beatrice decide di rinascere sulla Terra per proseguire il suo percorso di crescita, Nino vive questo gesto come un rifiuto. Si sente abbandonato, quasi tradito, e questo lo spinge a cercare in ogni modo di interferire con le scelte di Beatrice nella sua vita terrena. Il personaggio di Nino, dunque, è stato ispirato da queste dinamiche spirituali e invisibili, che esplorano l’origine dell’anima e il legame profondo tra amore e sofferenza. Egli è un essere che esiste tra due mondi, il visibile e l’invisibile, e che lotta per trovare il suo posto in entrambi. Da un lato, è attratto dall’amore primordiale che lo ha generato, dall’altro è consumato dal desiderio di riconquistare quel legame, il che lo porta a scelte difficili e a conflitti interiori. La sua complessità risiede proprio in questo: è un’anima che cerca di colmare il vuoto lasciato da un amore che non comprende, ma al quale è inesorabilmente legato. Questo fa di Nino un personaggio tormentato ma anche profondamente umano, perché la sua ricerca dell’amore e della comprensione che riflette la stessa lotta che molti di noi affrontano nella vita.

Nel suo libro, esplora le tre dimensioni di corpo, spirito e anima. Come queste dimensioni si manifestano nella trama e quale messaggio spera che i lettori traggano da questa esplorazione? 

Nel mio libro, le tre dimensioni – corpo, spirito e anima – giocano un ruolo fondamentale nella trama e nella struttura del romanzo, sono intimamente connesse alle esperienze di vita terrena.  Ciascuno di questi elementi rappresenta un aspetto diverso dell’essere umano e delle sue dinamiche interiori, e la loro interazione è ciò che dà forma alla storia. Il corpo rappresenta la dimensione fisica, il luogo in cui vengono vissuti i traumi, le sofferenze e le esperienze concrete della vita. È la parte materiale di noi, quella che ci lega alla terra e che porta con sé il peso del passato, inclusi i traumi ereditati dai nostri antenati. Queste cicatrici fisiche e psicologiche influenzano fortemente il modo in cui percepiamo e viviamo il mondo, spesso confondendoci e distogliendoci dal nostro vero scopo. Nel caso di Nino, il corpo è il vettore delle esperienze dolorose, ma anche il campo di battaglia dove si svolge la lotta per la sua liberazione. Lo spirito, invece, è la dimensione più elevata e intangibile, ciò che ci connette all’universo e alle forze superiori. È la nostra essenza più pura, priva delle limitazioni del corpo, e anela a qualcosa di più grande, un amore incondizionato, una connessione totale con il divino o con l’energia cosmica. Tuttavia, lo spirito, privo delle esperienze, non può esprimersi pienamente, e per evolvere necessità di un’armonia di un legame con la materia, ma è anche costantemente ostacolato dalla realtà fisica e dai limiti imposti dal corpo. Infine, **l’anima** svolge un ruolo cruciale come interfaccia tra queste due forze opposte. È il ponte che connette corpo e spirito, permettendo loro di coesistere e interagire. Tuttavia, l’anima è anche lacerata tra queste due dimensioni: da un lato, è ancorata al corpo, che porta con sé il peso del passato, i dolori e le limitazioni della materia; dall’altro, è attratta dallo spirito, che cerca di elevarsi e di sfuggire alle sofferenze terrene per raggiungere una forma di amore e libertà incondizionata. Questo conflitto interno è centrale nel viaggio di Nino, che cerca di trovare un equilibrio tra il mondo fisico e quello spirituale, tra il desiderio di vivere pienamente nel corpo e la necessità di elevarsi spiritualmente. Il messaggio che spero i lettori possano trarre da questa esplorazione è che ognuna di queste dimensioni ha un ruolo importante nella nostra esistenza, e che la vera crescita e trasformazione avvengono quando riusciamo a integrare corpo, spirito e anima. Il corpo, con tutte le sue ferite e i suoi limiti, non deve essere rifiutato, ma compreso e guarito. Lo spirito, con la sua aspirazione all’infinito, deve essere riconosciuto e coltivato. E l’anima, che è continuamente strappata tra queste due forze, deve trovare il suo equilibrio per permettere all’essere umano di vivere una vita autentica, in armonia con se stesso e con l’universo. Attraverso la storia di Nino, spero di trasmettere l’idea che, anche se siamo lacerati tra forze contrastanti, è possibile trovare un’unità interiore che ci permetta di vivere appieno la nostra esistenza. La strada per raggiungere questa armonia è tutt’altro che facile, ma è attraverso la consapevolezza e l’accettazione di tutte le nostre dimensioni – corpo, spirito e anima – che possiamo davvero trasformarci e realizzare il nostro potenziale più profondo.

“Il miracolo della farfalla” si addentra nella dicotomia tra bene e male. Come ha affrontato questa battaglia eterna nella sua narrazione e quali riflessioni spera di suscitare nei lettori riguardo a questa tematica?

La questione del bene e del male è una delle più complesse da affrontare, poiché raramente può essere ridotta a un semplice bianco o nero. Questa dicotomia è al centro del mio libro, ma non l’affronto in termini assoluti o semplicistici. Come hai giustamente sottolineato, il concetto di bene e male è spesso relativo, dipende dal punto di vista. Hannah Arendt, ad esempio, descriveva il bruco che vive dentro una mela: per il bruco, la mela è la sua fonte di vita, un bene essenziale, mentre per l’uomo che la vuole mangiare, quel bruco rappresenta un elemento negativo. Questo esempio riflette quanto sia importante il punto di vista da cui si osservano le dinamiche della vita. Nel mio libro, questa prospettiva viene incarnata dall’osservatore, un’entità che guarda gli eventi dall’alto senza giudicare. Questa posizione neutrale permette di cogliere la complessità delle situazioni umane, dove il bene e il male spesso si intrecciano. Non esistono azioni o decisioni che siano universalmente “giuste” o “sbagliate” per tutti, ma piuttosto ogni scelta porta con sé una molteplicità di effetti, positivi e negativi, a seconda del punto di osservazione. L’osservatore, con la sua capacità di distaccarsi, ci invita a riflettere su questa relatività e a sospendere il giudizio, permettendoci di considerare i diversi aspetti della vita con maggiore profondità. Mi viene in mente anche il modo in cui Fabrizio De André nelle sue canzoni ci spingeva a riflettere sulle ingiustizie sociali e sui margini della società, dove il bene e il male si mescolano, sfidando le convenzioni. La sua poetica, che spesso dà voce agli emarginati, ai “cattivi”, ci invita a riconsiderare i confini tra bene e male, a guardare oltre le apparenze e a riconoscere l’umanità dietro ogni scelta, anche la più discutibile. Un altro tema che mi sta a cuore e che desidero esplorare nel libro è la relazione tra condizione sociale e capacità di osservare la vita e le sue dinamiche. La vita non è solo sofferenza, ma spesso le persone, quando sono schiacciate dal peso delle difficoltà materiali e quotidiane, faticano a sollevarsi per osservare cosa accade intorno a loro. Se ci troviamo a dover lottare ogni giorno per la sopravvivenza, per mettere qualcosa da mangiare sul tavolo o per garantire una vita dignitosa, non abbiamo il lusso di riflettere su concetti più elevati o di vedere la bellezza e la complessità che ci circondano. La lotta per la sopravvivenza oscura la nostra capacità di essere osservatori, e di conseguenza limita anche la nostra comprensione del bene e del male. In “Il miracolo della farfalla”, la dicotomia tra bene e male viene affrontata attraverso la complessità dei personaggi e delle loro scelte. Nessuno è completamente buono o completamente cattivo: ogni personaggio agisce in base alle sue esperienze, alle sue ferite e al suo contesto. Il male spesso nasce dal dolore e dalla paura, mentre il bene emerge dalla capacità di superare quei traumi e di vedere oltre il proprio interesse personale. Spero che i lettori possano trarre dalla mia narrazione una riflessione profonda sulla complessità della vita e delle scelte umane. Vorrei che comprendessero che il bene e il male non sono categorie fisse, ma concetti fluidi, influenzati dal contesto, dalle esperienze e dalla prospettiva di ciascun individuo. E, infine, che la capacità di elevarsi, di vedere la vita da una posizione più alta, è ciò che ci permette di comprendere davvero queste dinamiche, andando oltre il giudizio superficiale per abbracciare una visione più ampia e compassionevole.

Ringraziamo Bruno Russo per aver condiviso con noi il suo mondo interiore e le profondità tematiche de “Il miracolo della farfalla”. Un libro che non solo ci intrattiene, ma ci invita a riflettere su temi fondamentali della vita e della mente umana. Siamo certi che i lettori troveranno in queste pagine un viaggio stimolante e profondo. Grazie, Bruno, per averci portato al centro di questa eterna battaglia tra il bene e il male, e per averci fatto dono di una prospettiva tanto affascinante quanto necessaria.

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