GRUPPO ALBATROS IL FILO PRESENTA: Un diario nato per caso – Concetta La Bua

Oggi abbiamo il piacere di ospitare Concetta La Bua, autrice del libro “Un diario nato per caso”, un’opera che invita il lettore a immergersi nelle sfumature più intime della memoria. Il diario di Concetta non è solo una raccolta di pensieri e ricordi, ma una celebrazione degli attimi fuggenti, quelli che spesso sfuggono inosservati, ma che, se colti, sanno regalare emozioni intense e durature. Con delicatezza e dedizione, l’autrice ha saputo far germogliare sulla pagina bianca emozioni profonde, che oggi condivideremo con voi attraverso questa intervista.

Concetta, il titolo del tuo libro, “Un diario nato per caso”, suggerisce una spontaneità che è spesso difficile da catturare in forma scritta. Cosa ti ha ispirato a iniziare questo diario, e in che modo la “casualità” ha giocato un ruolo nella sua creazione?

Mi ricordo ancora del come abbia preso forma il mio “diario” in quella giornata di primo autunno in cui mi ritrovavo in casa a oziare, uno dei pochi momenti dedicati a niente ed a nessuno. Solo osservare fuori dai vetri bagnati dalle mille gocce di una pioggia recente e fissare ogni particolare di quel panorama cittadino che mi circondava, che conoscevo da tanti anni, tanti, ma che quel giorno mi si presentava diverso, capace di farsi cogliere anche in ogni sua nuova ed imprevista sfumatura. E mentre continuavo a guardare fuori, o forse solo a seguire i miei pensieri, la mia mente si era messa prepotentemente in moto e mi suggeriva parole, e parole, e parole, una dietro l’altra a creare frasi che parlassero delle mie emozioni di quel momento, un po’ contrastanti e un po’ smarrite… Dovevo annotarle, non lasciarle sfuggire via. Sarebbe stato ovvio scriverle, riportarle in un foglio e poi chiuderle nel cassetto dei miei componimenti, unirle alle tante altre lì conservate… Ma quel giorno, non so perché,  (o forse quel “perché” sconosciuto potrei oggi chiamarlo “casualità”) invece che impugnare la mia stilografica preferivo agguantare lo smartphone lì al mio fianco e inviare, nella chat condivisa con quattro mie care cugine, tutti quei pensieri che intanto avevo già riordinati sotto la veste grafica di un messaggio ben articolato, quasi una prosa … Speravo di far loro piacere, di stupirle per quella modalità, diversa e nuova, di augurare una buona giornata, un buon fine settimana. Era un sabato, l’ultimo di quel settembre di un anno particolare, difficile da vivere: il 2020. Le mie cugine, colpite da quel “messaggio strano”, all’unanimità lo immaginavano come capitolo, il primo, di un libro che mi chiedevano, in coro, di accingermi a scrivere. Mi incoraggiavano, mi esortavano a comporne un brano a settimana, per ogni successivo week-end. Volevano raccontassi della mia vita, delle mie emozioni, che “le narrassi alla mia maniera”. Lì, in quel momento, e a mia insaputa, stavo muovendo i primi passi verso un’avventura nuova e sconosciuta, meravigliosa per l’impegno che mi avrebbe presto richiesto e magica per i momenti speciali che mi avrebbe riservato in seguito, nel suo progredire. Ecco il momento primo della creazione di questo diario, davvero nato per caso. Non potevo e non volevo dargli altro titolo che questo. Me ne rendevo conto dopo qualche settimana da quel fatidico giorno, e così lo battezzavo, quando ancora constava di pochi capitoli, tutti rigorosamente, allora, datati in alto, impressi del giorno della loro stesura. Era indiscutibilmente “un diario”, ne aveva tutta la veste grafica, anche se per cronologia difettava, sicuramente! Ed era “nato per caso”. Raccontava quello che la mente mi ispirava. E mi piaceva lasciare che ogni brano seguisse il precedente nell’ordine in cui davo forma al mio elaborato. Ma ancora non immaginavo di volerlo pubblicare. Era uno dei miei tanti lavori, e come i precedenti sarebbe finito chiuso in un cassetto. Procedevo a rilento, i mesi passavano, mi piaceva scherzare lasciandomi coinvolgere da quell’impegno. Poi, quell’incontro che ha sconvolto le mie incertezze, e assicurato un futuro a quei, ancora appena abbozzati, brani. Era una domenica dell’agosto successivo. Ero fra i presenti alla premiazione prevista per un concorso di poesia e racconti, il primo al quale mi fossi iscritta con una mia opera: una manifestazione ispirata alla pandemia da Covid. Eravamo pochi. Non era permesso allargare il numero dei presenti. La mia poesia si aggiudicava il premio della sua categoria. La presidente di giuria mi invitava “a pubblicare i miei scritti, a tirarli fuori dal cassetto, a condividerli con altri”. Mi leggeva negli occhi lo stupore per quelle sue paroleAggiungeva che “non dovevo lasciarmi scoraggiare dagli anni, dalla mia età matura”. Che “Non è mai troppo tardi”. Che quel giorno, in quel chiostro, si disegnava per me “l’inizio di un grande domani” Sembrava sapesse di quel libro cui stavo lavorando. Il suo invito fugava ogni mio residuo dubbio, mi invitava a credere ad un mio sogno. Era il volano che attendevo. Ancora un incitamento a scrivere, a condividere con altri i miei scritti. Non potevo lasciarlo cadere senza dargli peso. Sembrava il consiglio giusto che chiudeva le mie incertezze e mi infondeva il “coraggio di osare”. Lei non sapeva ancora di quel libro iniziato quasi un anno prima ed ancora in piena lavorazione … Era il momento di provarci sul serio. E me ne convincevo. Le casualità si erano manifestate tutte. Ora restava a me l’onere di essere all’altezza dell’impegno. Quella sera tornavo a casa frastornata ma felice: avevo già deciso, in cuor mio, che il mio “diario nato per caso” meritava un futuro, e mi sarei impegnata appieno per garantirglielo.

La tua scrittura è intrisa di ricordi e momenti di vita vissuta. Qual è l’importanza della memoria nella tua prosa poetica e come riesci a trasformare i ricordi in parole così toccanti?

La mia passione per la scrittura mi ha accompagnata sempre negli anni, già da bambina: mi piaceva annotare dei brevi giorni di vacanza che si trascorrevano lontani da casa. Mio padre era attento alle attitudini mie e di mio fratello. Per questo un giorno me lo vidi comparire con un’agenda in mano: eravamo in dicembre. Me la consegnò. Riguardava l’anno che stava per iniziare. Mi invitò ad annotare di ogni data: <Perché scrivere solo quando siamo in vacanza? Scrivi di ogni giorno!>. Ma sono convinta che la mia memoria, i miei tanti ricordi di vita vissuta, non siano legati alla mia passione per la scrittura, alle tante pagine di cui ho preso nota. È che tutto mi parla del passato: una foto, un disco, un aroma nell’aria, un luogo fisico, un caseggiato: tutte queste tante cose non sono, per me, fini a se stesse, al contrario le percepisco come suggeritori di emozioni e di ricordi. Forse, semplicemente, sono fatta così.  Certo, ricordarmi degli episodi del mio passato è un qualcosa che mi è propria, la mia memoria in questo mi aiuta, forse è una memoria che ho coltivato anno dopo anno a mia insaputa, custodendo nel cuore, mio malgrado, i tanti ricordi della mia semplice vita di donna ormai ultrasessantenne. Ricordi che non si sono mai stancati di accompagnarmi, e che hanno deciso di raccogliersi in un diario le cui pagine mi venivano suggerite da una voce interiore, prepotente e forte, cui ero ben lieta di dare ascolto. E se dovevo parlarne, di quella mia storia semplice, – perché “la vita è storia”, perché “storia sono i ricordi” -, dovevo trovare le parole giuste, quelle capaci di lasciare trasparire tutte quante le mie emozioni ma che, anche e sicuramente, dovevano suscitarne di nuove e singolari nel lettore. Parole capaci di regalare sensazioni piacevoli, magari anche di suggerire ricordi nuovi. E perché il racconto risultasse perfetto non dovevo lasciarmi sfuggire nessun particolare, perché ogni dettaglio crea l’atmosfera, e la rende reale, e ti ci tuffi dentro, come fosse un palcoscenico, e tu l’interprete principale della scena. Così leggevo e rileggevo, e ancora modificavo e ritoccavo finché non sentivo quel brano come avesse vita propria, come sapesse vibrare di qualcosa di speciale. Essere riuscita a trasformare i miei ricordi in parole toccanti è per il me il più grande dei risultati sperati. Il realizzarsi del mio obiettivo. Le parole toccanti nascono dal cuore: lo ascolto, lascio che sia lui a suggerirmele. E in questo mio lavoro mi ha raccontato tanto, come se avesse atteso di esprimersi, un giorno, riportandomi indietro nel tempo qua e là, senza un ordine ordinato – mi piace giocare con le parole – ma offrendomi un panorama dei più importanti momenti che, d’un tratto, si trasformavano improvvisamente in un presente nuovo pieno ancora di emozioni, avanti e indietro nel tempo, senza riguardo alcuno al calendario ed al suo scorrere cronologico. Avevano troppa vita dentro, quei ricordi, perché li lasciassi disperdere nel vento.

Ogni pagina del tuo diario sembra racchiudere una piccola scintilla di vita. Come scegli quali attimi immortalare sulla pagina e come avviene il processo creativo?

Forse inconsapevolmente ho già risposto a questo punto di domanda, nei due precedenti. In realtà non ho scelto quali attimi immortalare. Ho solo annotato di ogni ispirazione che nasceva, ed era al mattino appena sveglia o magari a sera tarda. Ed allora dovevo subito andare alla mia scrivania e prendere nota di quei ricordi e dare loro una veste nuova, trasformarli in un nuovo brano che si unisse agli altri precedenti nel proseguo del mio lavoro. La mente dettava e io scrivevo. Non sceglievo di che scrivere, non seguivo una impostazione voluta, accoglievo ogni ricordo che prepotente mi parlava di sé dentro e voleva esprimersi in parole da trascriversi in un foglio. Credo succeda ad ogni scrittore. Quell’impulso a cui devi arrenderti perché è grande dentro di te e ti vince. E non vuoi disperderlo.

La delicatezza e l’intima felicità che emergono dalle tue pagine sembrano parlare direttamente al cuore del lettore. Come riesci a creare questa connessione così immediata e profonda con chi legge?

Quando leggo un libro mi piace immedesimarmi nel suo contesto, sentirmi al fianco dei personaggi nuovi che conosco, seguirne i passi. Così, facendo attenzione alle mie sensazioni provate nel leggere, mi sono impegnata perché questo mio diario – che, infondo, narra di una persona a tutti, tranne che ai miei amici e familiari, sconosciuta -, avesse un senso, e perché questo senso potesse conquistarselo doveva essere in grado di regalare emozioni. Così, brano dopo brano, rilettura dopo rilettura, stampa casalinga dell’intero lavoro, una dietro l’altra in ogni nuova stesura rivista, ho modificato tanto della mia impostazione iniziale e del mio originario lavoro. Quello che un po’ viene suggerito per la buona riuscita di un’opera: scrivere il testo e poi lasciarlo lì a riposare; e poi riprenderlo e leggerlo come se a leggerlo fosse il lettore, per la prima volta. E non stancarsi di modificarlo finché non riesca a regalare emozioni sincere e semplici. Le più importanti, a mio avviso. Quelle che ci lasciano leggere dentro e ritrovare noi stessi, quella profonda parte di noi che rischia di smarrirsi nei giorni di una vita veloce e sempre in salita. Una pausa, un momento per ritrovarsi. Ho provato ad essere lettrice del mio lavoro. Nella ferma speranza di riuscire a catturare l’attenzione di chi avrebbe letto, un giorno, quel mio testo. E ancora oggi spero che a leggerne le righe possano essere tanti e sempre tanti altri.

Infine, il tuo diario è suddiviso in “Collezioni” distinte. Puoi raccontarci di più su queste collezioni e su come hai deciso di organizzare il libro in questo modo?

Non sono nuova ad attribuire una collezione a ciascuno dei miei scritti. L’avevo già fatto tanti anni fa, per la prima volta, quando le poesie da me composte cominciavano a raggiungere un numero ragguardevole e decidevo, per questo, di distinguerle, di racchiuderle in singoli volumi, ma la parola volume mi rimandava a saggi o ad enciclopedie, così sceglievo la parola “collezione” per contrassegnare ciascuna serie di poesie, collezioni, appunto, che si susseguivano e alle quali mi piaceva dare un titolo, rappresentativo del contenuto o solo ispirato a quel preciso momento di attribuzione. Avere creato, nel mio diario nato per caso, dei brani che parlavano di momenti diversi della mia vita mi ha fatto pensare che sarebbe stato bello attribuire a ciascuno una collezione che, già nella sua denominazione, esprimesse il contenuto del brano stesso. Una sorta di guida al lettore, quasi spiegargli, sussurrando, quello di cui stava per leggere, quasi fosse seduto al mio fianco e ascoltasse il mio narrare. Quasi volessi dirgli: <ora ti racconto di … ed era qualcosa che apparteneva al bagaglio di ricordi, o era un ricordo speciale che allora era come vestito di emozioni, o erano colori della natura o riflessioni di luci su superfici opache, o semplici emozioni> … gli anticipavo l’argomento del capitolo. Mi sembrava fosse la maniera più garbata per catturare la sua attenzione o il modo per lasciargli scegliere il brano che in quel momento avrebbe preferito leggere. A onore della sincerità più vera, le collezioni erano state da me attribuite in testa a ciascun brano, così come ad ogni brano avevo attribuito un suo titolo. Il lavoro attento dell’editor che mi ha seguita mi ha suggerito di raggrupparle per serie: ho accettato quel suo suggerimento efficace che ha dato maggiore luce alle collezioni che avevo creato e che, al contrario, sarebbero rimaste magari disperse fra le tante parole da me scritte. Così oggi sono importanti passi del mio lavoro finito, emblema dello stesso, sezioni che lo rappresentano veicolando il lettore verso uno specifico contesto creativo. E mi piace ritrovarle, a caratteri grandi, riportate nell’indice del mio libro.

Ringraziamo Concetta La Bua per aver condiviso con noi il percorso che ha portato alla nascita di “Un diario nato per caso”. Le sue parole ci ricordano quanto sia importante saper cogliere gli attimi preziosi della vita e trasformarli in qualcosa di eterno e vibrante. Speriamo che i lettori possano trovare in queste pagine la stessa sintonia e bellezza che l’autrice ha saputo trasmettere con così tanta grazia. Grazie ancora, Concetta, per questa preziosa testimonianza.

6 commenti

  1. Rosa Fanara

    sono Rosa Fanara , ho letto il libro , meraviglioso un diario di vita vissuta, l’amore di padre e figlia , la famiglia di un tempo, con i valori e la passione per ogni componente di essa. tutto era semplice ma nello stesso tempo magico, lo stare insieme, senza invidia senza rancore ma solo vivere l’amore di essere insieme. Valori adesso morti dell’ io e dell’apparire sul web. Consiglio a tutti di leggerlo.

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  2. Concetta Lo Cascio

    Cettina, 17 settembre 2024

    Una lettura piacevole, con tratti di vera poesia, un volo nel mio passato nel rivivere, con il cuore, la normalità della “famiglia” di una volta, pagine di sincera emozione, che restano anche dopo che hai finito di leggere. Grazie dell’ottimo lavoro

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  3. Rosalba Grimaudo

    La lettura di questo libro, scritto con semplicità e amore verso luoghi e persone, trasporta i lettori verso un mondo familiare ma ricco di poesia. Una collezione di ricordi in cui è facile immedesimarsi e lasciarsi suggestionare da questi “quadri” di vita dalle ricche sfumature di colore.

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  4. Valentina

    Un immersione nei ricordi della scrittrice che suscitano ricordi e emozioni vissute. Straordinaria nel saper descrivere dettagliatamente le sue emozioni da trasmetterle al lettore che le rivive. La narrazione è un dolce ricamo che scorre fluidamente e si intreccia. E il risultato è un capolavoro! Complimenti e grazie per la piacevole lettura!!

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  5. Pablo

    Ciao, Concetta. Ho finito ieri di leggere la tua opera prima e non posso che farti i complimenti. La lettura scorre via velocemente.
    Hai una capacità straordinaria nel descrivere sentimenti, situazioni e oggetti. Chi legge può vedere, sentire e percepire cosa hai visto e sentito tu con i tuoi occhi e con le tue orecchie, con il tuo essere, con la tua anima.
    Se dovessi scegliere un capitolo in particolare, beh, non avrei esitazioni, sceglierei il 21, “Una lettera per sempre”, davvero struggente!
    Traspare tutta la tua voglia di condividere con gli altri tutte le tue emozioni passate, come se le avessi vissute qualche minuto fa.
    Aggiungo che ho come l’impressione che a raccontare non sia ”una donna ormai ultrasessantenne”, come ti definisci tu, ma una ragazzina piena di quella straordinaria carica vitale, che un tempo, ricordo, avevo anch’io. Tempi che furono…

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