GRUPPO ALBATROS IL FILO PRESENTA: Stendhal: un rossiniano del 1815 – Alessandro Cardinali

Benvenuti sul blog del Gruppo Albatros. Oggi abbiamo il piacere di ospitare Alessandro Cardinali, autore di “Stendhal: un rossiniano del 1815”. Il libro rappresenta un’affascinante esplorazione del rapporto tra Stendhal e la musica, con particolare attenzione alla figura di Rossini, uno dei compositori più amati dal grande scrittore francese. Con un’analisi approfondita che fonde letteratura e musica, Cardinali ci guida attraverso le riflessioni di Stendhal, offrendo una nuova prospettiva sulla sua sensibilità artistica. Scopriamo insieme cosa lo ha spinto a indagare questo aspetto poco conosciuto della vita di Stendhal.

Alessandro, il tuo libro esplora un aspetto inedito di Stendhal, ovvero la sua profonda connessione con la musica. Cosa ti ha portato a concentrarti su questo tema specifico e come è nata l’idea di scrivere “Stendhal: un rossiniano del 1815”?

L’idea di scrivere un saggio su questo argomento mi è venuta frequentando il Rossini Opera Festival di Pesaro. I musicologi rossiniani contemporanei (Gossett, Zedda, Cagli, Carli Ballola, ecc.) nei saggi che pubblicavano nei “Programmi di sala” citavano spesso la “Vita di Rossini” di Stendhal. Del grande romanziere francese avevo letto i romanzi, i racconti e le opere autobiografiche. Così ho pensato di conoscere anche un altro aspetto dell’opera di Stendhal, cioè i suoi rapporti con la musica in generale e con quella di Rossini in particolare. Leggendo la “Vita di Rossini”, mi sono innanzi tutto meravigliato del fatto che molte opere rossiniane, considerate da Stendhal dei “capolavori”, siano scomparse, già a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, dalle stagioni operistiche dei grandi teatri italiani ed europei. Studiando più attentamente la storia del melodramma ho compreso però che nel corso dell’Ottocento, con l’avvento del Romanticismo prima e del Verismo poi, il modo di cantare le opere italiane era cambiato. La vocalità rossiniana, di tipo belcantistico, era tramontata ed i cantanti non erano più in grado di interpretare correttamente le opere rossiniane.  Ho scoperto inoltre che le opere di Rossini preferite da Stendhal non erano quelle predilette dalla tradizione del primo Novecento (“Il barbiere di Siviglia”, “La Cenerentola”, “Guillaume Tell”), ma “Tancredi”, “L’italiana in Algeri” e “La pietra del paragone”, perché in queste opere il canto prevaleva sulla strumentazione. Secondo Stendhal, infatti, la voce umana esprime i sentimenti meglio dei suoni degli strumenti musicali; di conseguenza l’orchestra deve accompagnare e non sopraffare il canto. E questo predominio della voce umana Stendhal lo riscontrava nelle prime opere di Rossini, cioè in quelle scritte prima di “Elisabetta, regina d’Inghilterra”, opera che inaugura la seconda stagione della musica rossiniana, quella nella quale il maestro pesarese ha iniziato a irrobustire lo sviluppo orchestrale. Approfondendo lo studio delle opere stendhaliane, ho compreso inoltre che il grande romanziere francese aveva delle idee estetiche ben precise (non solo in ambito letterario ma anche nel campo musicale e artistico) e dei gusti musicali ben definiti (argomenti che ho trattato nelle prime due parti del mio saggio).

Nel libro sottolinei come Stendhal considerasse la voce umana il miglior strumento per esprimere i sentimenti. Quali sono, secondo te, i passaggi più emblematici delle sue opere che dimostrano questa convinzione?

I passi delle opere stendhaliane che evidenziano meglio il ruolo del canto nell’espressione dei sentimenti sono i capitoli ottavo, ventunesimo, ventisettesimo, ventottesimo, ventinovesimo, trentesimo, trentunesimo, trentaduesimo, trentatreesimo, trentaquattresimo e trentacinquesimo della “Vita di Rossini”.

Stendhal è noto per la sua predilezione per la musica italiana, in particolare per Rossini. Come pensi che questa preferenza abbia influenzato la sua scrittura e la caratterizzazione dei suoi personaggi?

A mio parere, “La Certosa di Parma” è il romanzo più musicale di Stendhal. Per quanto riguarda la caratterizzazione dei personaggi mi sembra che Fabrizio e Clelia siano i personaggi stendhaliani più sensibili alla musica e quasi immersi in un’atmosfera musicale. Un personaggio come Fabrizio Del Dongo, che dopo la caduta di Napoleone è costretto ad abbandonare gli ideali napoleonici e a immergersi nella grigia atmosfera della Restaurazione, mi sembra simile ad alcuni personaggi rossiniani epico-lirici come Tancredi, Falliero e Maometto II. Secondo me la musicalità di certe pagine della Certosa di Parma ricorda le note delle melodie rossiniane, ma è un’impressione del tutto soggettiva. Leggendo alcune pagine della Certosa di Parma ho avuto la sensazione di sentire nella mia mente, come sottofondo, la musica delle sinfonie rossiniane. I primi capitoli del romanzo, in particolare, dove viene celebrata la giovane audacia dei soldati di Napoleone, mi richiamano alla memoria le melodie di “Tancredi”. I paesaggi della Certosa di Parma (la pianura padana, la cittadella di Parma, il castello Del Dondo, ecc.), che sono le espressioni concrete del lirismo stendhaliano, mi ricordano invece certe tonalità de “La Donna del Lago” e, in alcune descrizioni-evocazioni, la sensualità della “Armida”.    Tuttavia, lo ripeto, si tratta di sensazioni del tutto soggettive, in contrasto con quelle di altri lettori. Infatti, Massimo Colesanti, il celebre francesista, scrive in un suo saggio su Stendhal che nella Certosa di Parma agisce “un’aura tipicamente mozartiana”. Anche il giornalista Ottavio Matteini dichiara: “In tutti i grandi romanzi di Stendhal ritroveremo con il suo fascino emotivo la sottile presenza e influenza della musica mozartiana”. A me sembra che la musica mozartiana, venata di malinconia, sia più presente nella prima parte dell’altro grande romanzo di Stendhal: “Il rosso e il nero”. I personaggi di questo romanzo hanno una certa affinità con quelli delle “Nozze di Figaro” di Mozart. Anche Cherubino, come Julien Sorel, trabocca di energia giovanile; anche la contessa di Almaviva, come Madame de Renal, è avvolta in un’atmosfera di sensuale malinconia. Non dimentichiamo inoltre che Stendhal premette al capitolo VI le parole di Cherubino: “Non so più cosa son, cosa faccio”. Secondo me si tratta di un vero e proprio invito al lettore a leggere le pagine di questo capitolo ascoltando la musica dell’opera “Le Nozze di Figaro”.

La teoria sull’influenza dei climi e dei caratteri sulla musica, che Stendhal sviluppa nei suoi scritti, è molto interessante. Puoi spiegare ai nostri lettori come questa idea si inserisce nel contesto più ampio del suo pensiero?

La teoria dell’influenza delle condizioni climatico-geografiche sulle tradizioni musicali, ma anche artistiche e letterarie, non è un’idea originale di Stendhal, ma è un principio che Stendhal assimila da alcuni filosofi francesi come Montesquieu ed Helvétius. Sviluppando questa teoria in ambito musicale e tenendo presente anche le sue esperienze di viaggiatore e di frequentatore di teatri, Stendhal giunge alla conclusione che i climi caldi favoriscono l’attitudine per il canto, mentre i climi freddi sono più favorevoli allo studio degli strumenti musicali: ecco perché l’opera italiana predilige il canto, mentre l’opera tedesca preferisce la musica strumentale.  Come si inserisce questa teoria nel pensiero di Stendhal? Innanzitutto, non dimentichiamo che Stendhal tra il 1804 e il 1805 progettò di scrivere un’opera filosofica, che rimase incompiuta e che intitolò “Filosofia nova” (titolo per metà italiano e per metà latino). Al futuro romanziere interessava comprendere soprattutto “la natura umana, formata di un corpo, di una testa e di un cuore”. Lo stile di questo saggio filosofico doveva essere semplice e chiaro: i suoi modelli stilistici dovevano essere Montaigne e Montesquieu. Di che cosa si occupa la “Filosofia nova” di Stendhal? Dell’anima, cioè delle passioni, perché “l’anima è l’insieme delle passioni”. Conoscere le passioni significa conoscere se stessi; fin dalla giovinezza Stendhal progettò dunque di fondare una sorta di “scienza dell’Io”, che era un tipico programma della cultura tardo-illuministica, quella degli “Ideologi”.  Infatti, filosofi come Tracy e Cabanis (spesso citati da Stendhal nelle sue opere) si erano prefissati di studiare l’Io come se fosse un qualsiasi altro fenomeno che può essere definito con procedure scientifiche. Il fondamento del pensiero stendhaliano è dunque la concezione materialistica del mondo e dell’uomo, tipica degli Ideologi (Tracy, Cabanis). Sulle orme della “Filosofia nova” si pone il successivo saggio “Dell’amore”, pubblicato nel 1822. Nel primo libro di questo saggio Stendhal analizza la genesi e lo sviluppo di questo sentimento. Nel secondo libro analizza invece le condizioni esterne che influenzano l’amore, e tra queste ci sono anche le condizioni climatico-geografiche. Pertanto, nella concezione tardo-illuministica di Stendhal le condizioni climatiche esercitano, in generale, un’influenza sullo svolgimento delle passioni e delle attività umane.

Nel tuo libro citi frequentemente “Vita di Rossini”, un’opera che rivela molto sulla sensibilità musicale di Stendhal. Quali aspetti di questa biografia ritieni siano stati i più significativi nel definire il suo rapporto con la musica?

La “Vita di Rossini” non si può considerare una vera biografia. È una formulazione delle idee estetiche di Stendhal in campo musicale ed in ambito artistico e letterario; è anche una mappa dei gusti musicali stendhaliani; è un’opera utile per conoscere il mondo dei teatri, dei compositori, dei cantanti e dei librettisti di quel tempo; è un’opera interessante anche dal punto di vista sociologico, perché analizza molti aspetti della mentalità e del costume italiano, francese e tedesco di quegli anni.  Le parti di questo libro che esprimono meglio i rapporti di Stendhal con la musica sono i capitoli in cui il romanziere francese analizza le opere di Rossini. Significativa è anche l’Introduzione, dove Stendhal analizza la musica di Cimarosa, di Paisiello e di Mozart e dove stabilisce un interessante confronto tra la musica italiana e la musica tedesca. Altri capitoli, invece, come il XXI e quelli che vanno dal XXVII al XXXV sono importanti per capire la concezione stendhaliana del canto e la sua interpretazione della rivoluzione operata da Rossini nel canto (argomento che ho trattato nel capitolo 22 del mio saggio).

Grazie mille, Alessandro, per aver condiviso con noi il tuo prezioso lavoro su Stendhal e la musica. Il tuo libro ci offre uno sguardo nuovo e coinvolgente su un lato meno conosciuto di uno dei più grandi scrittori francesi. Invitiamo tutti i nostri lettori a immergersi in “Stendhal: un rossiniano del 1815” per scoprire quanto la passione per la musica abbia influenzato l’opera di Stendhal. Siamo certi che il tuo libro sarà una fonte di ispirazione per molti. Grazie ancora per essere stato con noi.

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