GRUPPO ALBATROS IL FILO PRESENTA: Quattro vite – Maria Teresa Montuori

Benvenuti lettori del blog del Gruppo Albatros! Oggi abbiamo il piacere di ospitare Maria Teresa Montuori, autrice del toccante libro “Quattro vite”. In questa affascinante opera, Maria Teresa ci guida attraverso la vita di Tulipán, un bambino timido e gentile che, abbandonato in un orfanotrofio, affronta le sfide dell’infanzia e dell’adolescenza, cercando di conciliare una forte fede con le difficoltà della crescita. È un racconto che esplora i temi della famiglia, della fede e della resilienza. Siamo entusiasti di approfondire con lei il viaggio di Tulipán e il processo creativo dietro questo libro. Cominciamo subito!

Maria Teresa, cosa ti ha ispirato a scrivere “Quattro vite” e come è nato il personaggio di Tulipán?

L’ispirazione di quattro vite in realtà è molto complessa: mi viene quasi da dire che sono nati prima i personaggi e poi la storia. Tulipàn, insieme agli altri personaggi principali, è nato quando avevo dodici anni, e potremmo quasi definirlo un amico immaginario. Mi trovavo in vacanza in California con i miei genitori e nel primo pomeriggio, mentre loro riposavano prima di andare al mare, io mi divertivo ad ascoltare canzoni sul tablet, di solito erano sempre le stesse, quelle del musical “Notre Dame De Paris”, in più lingue diverse, poiché era il periodo in cui iniziavo ad appassionarmi allo studio delle lingue straniere. Durante quell’estate ho passato ore a immaginare i ballerini e i cantanti di quel musical che piano piano cambiavano forma e raccontavano una storia diversa. Questa è una cosa che ho sempre fatto fin da piccola: immaginare storie creando dei crossover tra i cartoni animati che vedevo; era il mio passatempo preferito. Così, Tulipàn è nato immaginando, a ritmo di musica, che il cantante con il ruolo di Clopin (il re degli zingari) nel musical sopra citato fosse a conoscenza dell’esistenza dei maghi e della magia, concepiti nell’universo di Harry Potter. Gli era stata affidata Lirio, la sorella Magonò di Ron Weasley (personaggio appunto inventato da me, non presente nella storia originale) perché crescesse nel mondo dei babbani, in modo da non sentirsi inferiore nel mondo dei maghi, essendo una bambina senza poteri. Così sono nati Tulipàn e Lirio, e in modo simile anche Leòn e Mariposa, e hanno accompagnato i pomeriggi della mia estate: nella primissima versione della storia in realtà, la protagonista era Lirio e non Tulipàn. Un giorno poi, cinque anni dopo, ho iniziato ad immaginare come sarebbe stato dare a questi personaggi, che non avevano mai abbandonato del tutto la mia fantasia, una storia loro, smettendo di essere semplici aggiunte alla storia di qualcun altro; e così ho iniziato a pensare a quale storia potesse starci a pennello col personaggio che avevo creato: un fratello gentile che amava tanto la sua sorellina, capace di amare in modo smisurato, di fare di tutto per le persone importanti e, più di tutti, innamorato di qualcuno che non lo ricambia. Ad un certo punto la storia perfetta è semplicemente comparsa: un ragazzo orfano, che cresce in un convento, che chiama fratelli e sorelle ragazzi che non lo sono davvero, e che prova attrazione per gli uomini, cosa non tollerata nel luogo in cui è cresciuto. A volte, in realtà, penso di aver creato Tulipàn perché avrei voluto un fratello come lui: sono figlia unica e uno dei motivi per cui già a dieci o undici anni avevo il tempo e la voglia di fantasticare sulle storie dei miei “amici immaginari” era che in vacanza con i genitori non c’erano altri bambini con cui giocare, non sempre almeno.

Il tema dell’abbandono e della ricerca di una famiglia è centrale nel tuo libro. Come hai affrontato questi argomenti delicati nella narrazione?

Il tema dell’abbandono si sviluppa innanzitutto dall’esigenza di mostrare come le persone giudicate diverse si sentano abbandonate e dimenticate: non si parla solo di diversità di orientamento sessuale, ma diversità di valori, ideali, interessi. Tulipàn ama inventare storie: guarda le nuvole in cielo, pensa a qualcosa che potrebbero rappresentare e inventa una storia sul momento. Questo suo interesse, ad esempio, non è capito dai suoi coetanei, come non viene capita la sua fede, o la sua sensibilità. Il messaggio finale del libro, tuttavia, è di speranza: l’abbandono è sicuramente qualcosa che segna la vita di un bambino orfano, ma non tutta la sua esistenza viene ridotta a questo: l’ho sentito dire varie volte che un bambino è meglio non nato piuttosto che cresciuto in un orfanotrofio, ma ne siamo proprio sicuri? Il tema dell’abbandono è sviluppato in modo tale da invitare a riflettere e ad essere sempre gentili con chi, per qualsiasi motivo, ci sembra diverso da noi, perché in fondo, la diversità è ricchezza. Un concetto simile vale per la ricerca di una famiglia: a volte la famiglia in cui nasciamo, pur segnandoci per sempre, non è quella destinata ad accompagnarci per tutta la vita. La ricerca della famiglia in “Quattro Vite” si accompagna alla ricerca di un’identità: la famiglia di Tulipàn è la Chiesa, ma può essere veramente se stesso nella chiesa? E si può veramente chiamare casa un luogo in cui non si può essere chi si è davvero? La sua famiglia sono le suore, ma gli piacerebbe avere una mamma tutta per lui. Tulipàn vorrebbe poter chiamare “famiglia” degli amici che non lo giudicano, che lo amano per quello che è, che lo capiscono. Non è in fondo ciò che vogliamo tutti?

La fede gioca un ruolo importante nella vita di Tulipán. Come hai sviluppato questo aspetto del personaggio e quali messaggi speri di trasmettere ai lettori riguardo alla spiritualità?

La fede gioca un ruolo importante nella vita di Tulipàn principalmente perché ha giocato un ruolo importante nella mia adolescenza: in Italia la maggior parte delle persone è, almeno culturalmente parlando, cristiana, ma di fatti i giovani che frequentano veramente la chiesa sono pochi. Il percorso di sviluppo della fede di Tulipàn è in gran parte autobiografico: una volta, in estate, ero fuori con i miei amici ed era domenica mattina. Andando via, dissi che tornavo a casa perché faceva caldo, in realtà mi vergognavo di dire che stavo andando via per andare a messa, visti i commenti che avevo ricevuto in altre occasioni. Con questo volevo far notare che, di fatti, paradossalmente, in Italia non esiste solo la vergogna per essere neri, omosessuali, o musulmani (tra l’altro la vergogna di una giovane ragazza musulmana che sceglie di non portare il velo è un altro argomento trattato, seppur brevemente, nel libro); esiste anche la vergogna per essere cattolici. Tulipàn, del resto, ha una fede forte, che non è condivisa dalla maggior parte dei suoi coetanei: si sente in colpa per l’esplosione degli ormoni durante la pubertà e le logiche conseguenze, si sente in colpa se non va a messa la domenica, tutte cose che non toccano allo stesso modo i suoi pari, e ciò contribuisce al suo senso di inadeguatezza e abbandono. Ho spesso avuto l’impressione che, soprattutto per i ragazzi, la chiesa e l’andare a messa venga oggi considerato come un insieme di regole da seguire: non fare questo, non fare quello, non mangiare carne il Mercoledì delle Ceneri, dire il rosario ogni tanto, come se il Paradiso fosse un percorso a punti che ci si guadagna obbedendo a regole che non vengono davvero spiegate fino in fondo. Ciò che speravo di trasmettere con “Quattro Vite”, e anche con altre opere a cui sto lavorando, è la concezione che la Chiesa sia molto più di questo: ci sono giovani nella Chiesa, ci sono giovani che hanno voglia di frequentare la Chiesa, e sì, anche giovani omosessuali che frequentano la Chiesa, per quanto non siano ancora pienamente accettati. La Chiesa, quella vera, è una scuola d’amore.

La vita in orfanotrofio e il rapporto con le suore sono descritti con grande sensibilità. Ci puoi raccontare come ti sei documentata per rendere autentici questi elementi del libro?

Ammetto di avere poca esperienza con gli orfanotrofi, e quindi mi scuso per qualsiasi imprecisione possa esserci nel libro. Il convento di cui parlo è immaginario, seppur ispirato a uno realmente esistente, che ho visitato diversi anni fa non solo perché ero intenzionata ad ambientarci Quattro Vite, ma anche per informarmi meglio sull’ordine delle oblate a cui, per un periodo seppur breve della mia vita, ho valutato di unirmi. Quando io ho visitato il convento, non c’erano bambini fissi, l’orfanotrofio vero e proprio era ormai chiuso da anni, ho solo potuto sentire qualche breve racconto delle suore che sono ancora lì. Ad essere sincera, più di questo, non mi sono documentata in maniera particolare: se il racconto risulta autentico è perché, essendo cresciuta in ambienti religiosi, pur non conoscendo gli orfanotrofi, conosco le suore; non a caso, mentre rispondo a questa domanda, sono ospite delle suore dorotee di Alepè, un villaggio dell’Africa Subsahariana.

“Quattro vite” è un titolo che suscita curiosità. Qual è il significato dietro questa scelta e come si collega alle esperienze di Tulipán?

In effetti il titolo ha un doppio significato: rimanda sia ai personaggi principali; quindi, a Tulipàn e alle tre persone che alla fine diventeranno la sua famiglia: Leòn, Lirio e Mariposa; ma rimanda anche all’evoluzione che fa il personaggio di Tulipàn nel corso delle quattro parti del romanzo. Mi piace considerare quattro vite un romanzo di formazione, e dunque ho dato molta importanza al percorso del mio protagonista: il bambino insicuro e triste che è stato abbandonato; il ragazzo che trova il suo primo amico, l’adulto che soffre per un segreto che non riesce a rivelare neanche alle persone a lui più care e, infine, l’uomo che ha trovato la sua famiglia.

Grazie mille, Maria Teresa, per aver condiviso con noi il tuo percorso creativo e le profondità emotive del tuo libro “Quattro vite”. È stato un piacere ascoltare le tue riflessioni e siamo sicuri che i nostri lettori apprezzeranno ancora di più la tua opera dopo questa intervista. Invitiamo tutti a leggere “Quattro vite” per immergersi nella commovente storia di Tulipán. Alla prossima intervista sul blog del Gruppo Albatros, continuate a seguirci per altre affascinanti conversazioni con gli autori!

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