GRUPPO ALBATROS IL FILO PRESENTA: Il bene degli altri – Nadia Bellini

Oggi abbiamo il piacere di ospitare sul blog del Gruppo Albatros Nadia Bellini, autrice del romanzo “Il bene degli altri”. Un libro che ci trasporta nella suggestiva atmosfera di Skagen, una cittadina nel punto più settentrionale della Danimarca, famosa per la sua luce unica e avvolgente. La protagonista, Aleisia, vive in un piccolo cottage all’interno di un campeggio e lavora di notte in un pub. Ma dietro questa apparente normalità si cela una fuga: da chi o da cosa? Qual è il segreto che la tormenta? Abbiamo voluto approfondire questo viaggio emozionante e complesso attraverso le parole della sua autrice. Scopriamo insieme il mondo di “Il bene degli altri”.

Nadia, come è nata l’idea per questo romanzo e cosa ti ha spinta a scegliere Skagen come ambientazione principale per la storia di Aleisia?

In un momento di fatica, quando i miei due figli erano appena adolescenti, ho sofferto di insonnia. Dopo settimane di veglie notturne seguendo programmi televisivi, navigando su Internet, leggendo di tutto, dal gossip alle ricette ai documentari alla cronaca ai libri, in una notte di invincibile noia ho cominciato a riflettere su quanto stavo vivendo. Avevo una famiglia normale e in armonia, eravamo tutti in salute, i ragazzi crescevano bene. Non mi bastava. Ero inquieta e cercavo di capire il perché. Ho cominciato a scrivere pensieri a caso e li rileggevo la notte dopo, finché ho compreso che quello che mi mancava me stessa, i miei desideri, i miei ritmi, i miei sogni. Mi affannavo tutti i giorni senza ascoltarmi. Non riuscivo più a leggere un libro. a guardare un film, a fare una passeggiata, a ritagliarmi del tempo, a godere degli svaghi. Perfino il parrucchiere e la palestra erano percepiti come doveri. Ho voluto raccontare cosa stavo vivendo certa di non essere l’unica moglie e madre a sentirsi sopraffatta, per condividere e per proporre una riflessione. Noi donne dovremmo imparare che saper fare tanto non significa dover fare tanto. La scelta di Skagen per l’ambientazione della storia è stata determinata dagli splendidi ricordi legati a due anni di vacanza con tutta la famiglia in Danimarca. Un paese piatto (il punto più alto è a 173 metri sul livello del mare) che possiede una natura capace di regalare singolari emozioni. Faccio alcuni esempi: l’isola di Rømø, le dune a Råbjerg, le scogliere di Møns klint, i suggestivi castelli, certamente Copenaghen e soprattutto Skagen e Grenen, dove il Mare del Nord e il Mar Baltico si fronteggiano per chilometri originando correnti spaventose. La spiaggia di Grenen è un luogo drammatico, senza pace, intimidisce e ammutolisce. Quando si dice che in un luogo si lascia il cuore non è esatto: siamo noi a portare incisi nel cuore e per sempre ricordi, sapori, profumi e immagini di quanto ci ha turbato o impressionato. Grenen rispecchia e sottolinea la sofferenza di Aleisia.

La protagonista, Aleisia, sembra essere fuggita da una vita che molti potrebbero definire “normale”. Puoi raccontarci di più sul suo percorso interiore e sulle scelte difficili che ha dovuto affrontare?

Aleisia ha un’anima vibrante, sensibile. Il quotidiano le sta stretto, lo vive per necessità rimanendo proiettata verso la sua personale visione della vita. La sua giornata ideale è fatta di amore, condivisione e buon umore. Percepisce il prossimo proprio come prossimo, lo tratta con delicato rispetto, e si aspetta altrettanto per sé. Con il matrimonio realizza uno dei suoi sogni: stare con la persona amata felice di essere riamata. La maternità comporta lo scostamento della vita reale dal sogno: I figli portano gioia ma tolgono leggerezza, impegnano e sfiniscono. Si innesca il meccanismo di molte famiglie: la moglie si accolla la maggior parte della cura dei figli che si aggiunge agli impegni precedenti, il marito prosegue con il lavoro trovando svago nell’impegno fuori casa. Aleisia si sente isolata, scontata, È la mamma e la moglie, per marito e figli ha smesso di essere anche una persona. Aleisia è sconcertata dalla distanza che si è creata tra lei e il marito, incredula di fronte all’insensibilità dei figli. Continua con caparbietà, ogni giorno, a riproporre il suo modello di famiglia basato sull’amore sperando in un cambiamento che non arriva e aumentano invece insofferenza malumori e litigi. Mentre il marito, di indole pratica e razionale e lontano dall’immaginare la sua sofferenza emotiva, aspetta che la situazione si risolva da sé, Aleisia decide di agire dopo anni in cui si è sentita invisibile: abbandona la famiglia e obbliga marito e figli ad accorgersi di lei facendo i conti con la sua assenza. 

Un tema ricorrente nel romanzo è il sacrificio per il bene altrui. Come è nato in te il desiderio di esplorare questo argomento, e quanto della tua esperienza personale si riflette in esso?

Papa Francesco ha detto: “chi non vive per servire non serve per vivere”, spiegando che la nostra vita assume significato solo se vissuta spendendola per gli altri. Per le donne è intrinseco manifestare l’amore con il servire, e il servizio è accomunato al sentimento anche da chi lo riceve: mi curi quindi mi vuoi bene, se non mi curi non ti importa di me. È sottile la differenza tra il sentimento disinteressato e il sentimento finalizzato, e anzi: può far comodo non coglierla. Ognuno di noi dovrebbe imparare ad amare gli altri perché persone, e non per quello che rappresentano o fanno. Amando la persona ci si preoccupa di cosa le piace, si sente il bisogno di avere sue notizie, di condividere esperienze e aspetti della vita, di trascorrere del tempo insieme, ci sta a cuore la sua felicità. Se amiamo davvero non c’è scampo, le persone amate hanno la precedenza. E questo comporta il primo tra i sacrifici: subordinare i nostri bisogni privilegiando quelli di chi amiamo. E farlo per i figli è semplicemente naturale. Aleisia in questo mi assomiglia: non si stanca di dare ma a volte si sente sola.

Aleisia incontra e si lega a molte persone lungo il suo cammino, ma continua a doverle lasciare. Quanto è importante nel romanzo la ricerca del proprio posto nel mondo?

Aleisia desidera essere accettata e amata per quello che è, non per quello che fa. Ama suo marito ma si allontana dolorosamente da lui perché respinta dal vuoto dell’incomprensione; nella solitudine cerca appigli per non affondare. Sperimenta così altre forme di amore, il colpo di fulmine scaturito da un’attrazione chimica inattesa, che non è raro scatti tra persone che nello stesso momento hanno “la porta del cuore aperta”; la corte di un uomo che in quel momento impersona la forma di amore di cui ha bisogno: la tenerezza, l’attenzione, il riguardo, senza riconoscere il vero fine, la conquista. Si affeziona, ricambiata, ad un ragazzo dell’età dei suoi figli facendogli temporaneamente da madre; si lega al padre del ragazzo costruendo un rapporto di amicizia profonda, basato sulla stima che nasce reciprocamente per chi si è in quel momento, le origini non sono importanti. Ogni persona incontrata la aiuta a riflettere e a ritrovarsi, è un mezzo per proseguire non un luogo in cui fermarsi. Con la fuga Aleisia ha cercato la luce che aveva smarrito: la voglia di vivere, il significato dei giorni, la capacità di essere felice. Per Aleisia, come per tante donne, tutto questo risiede proprio nella famiglia, la stessa dove però è anche possibile sentirsi scontate, non apprezzate. Quante donne hanno provato tutto questo e sognato di cambiare vita nei momenti più duri pur rimanendo saldamente al loro posto? 

Scrivere un romanzo può essere un processo impegnativo e lungo. Cosa ti ha dato la forza di andare avanti e concludere “Il bene degli altri”, nonostante le difficoltà?

Ho cominciato la stesura del romanzo quindici anni fa poi, superati il periodo difficile e l’insonnia non ho più proseguito. Ho ritrovato quasi per caso le pagine scritte quando è stato necessario sostituire il computer di casa ed ho verificato i file da conservare. Così ho riletto e ricordato e provato il desiderio di portare a compimento quell’opera sospesa. In pochi mesi ho ultimato il romanzo con una diversa sensibilità, se vogliamo con la consapevolezza che viene dal sapere com’è andata. Tutto passa; l’impermanenza, uno dei principi del buddismo, dovrebbe essere una linea guida nei comportamenti e nelle scelte. Ho concluso il romanzo in occasione del mio sessantesimo compleanno. Erano passati tredici anni dal suo inizio ed averlo scritto mi è servito per ricordare da dove discendono le decisioni prese e il mio sentire.

Grazie mille, Nadia, per aver condiviso con noi le tue riflessioni e la tua esperienza. “Il bene degli altri” è un romanzo che lascia il lettore con tante domande e riflessioni profonde sul significato del sacrificio e della ricerca di sé. Ti auguriamo il meglio per i tuoi futuri progetti letterari e non vediamo l’ora di scoprire quali altre storie hai in serbo per noi.

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