Benvenuti sul blog del Gruppo Albatros. Oggi abbiamo il piacere di intervistare Max Deste, autore del romanzo in versi “Lasciare andare”. Questo libro, strutturato in sette capitoli endecasillabi, ci conduce attraverso una storia drammatica dove il caos trova un equilibrio nella metrica, e un finale sorprendente ci riporta all’inizio, trasformando una triste fiaba poetica in una riflessione sulla solitudine e l’abbandono. L’ironia e l’assurdità degli eventi narrati rispecchiano le complessità esistenziali, donando profondità e autenticità alle emozioni descritte.
Come è nata l’idea di scrivere un romanzo in versi e quali sono state le principali sfide che hai incontrato durante il processo creativo?
Dopo tre romanzi per così dire tradizionali, una raccolta poetica e una trilogia teatrale, oltre alla composizione di numerose canzoni, sentivo il bisogno di sperimentare questo tipo di scrittura, mettendo l’accento in particolare sulla musicalità e sulla capacità di sintesi di ogni singola parola. Più in generale sentivo il bisogno di accendere i riflettori sulla figura del poeta e sull’importanza della poesia in un contesto storico sempre più condizionato dagli algoritmi. Qui il protagonista è un ragazzo, un ragazzo che scrive poesia. Insomma, per i tempi che corrono, qualcosa davvero di rivoluzionario. Devo anche ammettere di non ho inventato nulla. Già 700 anni fa un certo Dante andava in questa direzione, realizzando l’opera più importante della letteratura italiana e della cultura mondiale, vale a dire “La Divina commedia”. Ovviamente, non posso che inchinarmi al Sommo poeta, e nemmeno parlare di “Lasciare andare” come di una “Commedia” moderna. Nel mio caso, ad essere precisi, si tratta di un diario poetico, scritto in versi endecasillabi, senza rima. Un diario poetico che racconto la storia di un ragazzo che diventa adulto, configurandosi così anche come un romanzo di formazione.
Nel tuo libro, l’ordine è rappresentato dalla metrica mentre la storia è caratterizzata dal caos. Come hai gestito questo contrasto tra forma e contenuto?
Questa è un’ottima domanda. Il protagonista, un quattordicenne che si trova in difficoltà, decide di scrivere per sfogarsi. Scrive perciò un diario. Al tempo stesso ricerca un ordine da dare alla sua vita caratterizzata appunto dal caos. Sente che il ritmo offerto dal verso endecasillabo, il verso della tradizione, lo aiuta in questo senso. Di più, si accorge che dover scegliere le parole giuste per mantenere questo ritmo e ricercare la musicalità lo porta ad abbellire la sua vita e in definitiva a stare meglio.
La tua opera presenta un finale che riporta l’inizio alla fine. Qual è il significato di questa scelta narrativa e come pensi che influenzi la percezione del lettore?
Il senso di questo romanzo è quello di imparare a lasciare andare (senza lasciarsi andare), accettando il proprio ruolo, la propria condizione. Il ragazzo ha avuto problemi con suo padre, sua madre è venuta a mancare, ha in seguito perduto una figlia, al culmine della disperazione stava per commettere un omicidio, uccidendo un ragazzo, fino a quando ha realizzato che il senso ultimo della condizione umana è quella di aiutare il prossimo, a cominciare da chi ti sta vicino, in questo caso proprio quel ragazzo che voleva uccidere.
“Lasciare andare” affronta temi profondi come la solitudine e l’abbandono. Come hai lavorato per rappresentare queste emozioni in modo autentico e coinvolgente?
Durante il lockdown, molte persone si sono sentite sole, e abbandonate. Ritornando a scuola, ho percepito, e continuo a percepire un certo disagio, confermato dalle statistiche. Il fatto di essere tutti inchiodati ad un telefonino non aiuta. Credo che sia giusto rimettere l’accento sull’importanza sia di scrivere un diario (per sfogarsi), sia di scrivere in versi poetici, riscoprendo la bellezza insita nell’atto creativo. Per rappresentare le emozioni in modo autentico e coinvolgente era necessario scrivere in prima persona. Ho messo in scena un personaggio, ho provato a raccontare attraverso il suo sguardo le sue difficoltà. Tutte situazione inventate, ma che al tempo stesso avevano una carica emotiva importante. Dunque, è stato una sorta di terapia anche per me stesso, rivivere cioè emozioni forti attraverso una storia inventata.
L’ironia e l’assurdità degli eventi nel tuo libro riflettono gli intrecci esistenziali della realtà. In che modo la tua esperienza personale ha influenzato questi elementi nella narrazione?
Il mio scopo principale è quello di raccontare il mondo che mi circonda. Offrire perciò un mio piccolo contributo alla comprensione dello stesso. Se guardiamo il presente, di situazioni assurde e purtroppo drammatiche direi che ce ne sono parecchie. L’ironia, in questo senso, è fondamentale per sdrammatizzare, relativizzare e guardare le cose con calma.
Grazie, Max, per aver condiviso con noi i tuoi pensieri e il tuo processo creativo. “Lasciare andare” è un’opera che non solo invita alla riflessione, ma anche alla scoperta delle sfumature più intime dell’animo umano. Invitiamo tutti i nostri lettori a immergersi in questa drammatica e poetica storia, lasciandosi trasportare dalle emozioni e dalle parole di Max Deste.
