Benvenuti al blog del Gruppo Albatros. Oggi siamo felici di avere con noi un autore il cui lavoro poetico ha catturato l’attenzione e l’ammirazione di molti lettori. Leggendo “Il Mattino Perduto” di Luca Trapani, ci si immerge in un mondo di poesia che risuona con profondità e maturità. La sua espressione stilistica, fortemente radicata nella tradizione della poesia italiana del Novecento, si distingue per una ricerca dell’essenziale che evoca l’atmosfera serena delle liriche orientali. Diamo il benvenuto a Luca Trapani!
Il tuo lavoro poetico sembra richiamare fortemente la tradizione della poesia italiana del Novecento. Quali sono le tue principali fonti di ispirazione in questo contesto?
Direi senz’altro Eugenio Montale e Dino Campana. Ho amato gli scritti di entrambi, e la loro influenza, in particolare durante i primi anni della composizione, è stata su di me quasi tirannica. Di Montale l’asciutta consapevolezza capace di oltrepassare i limiti esistenziali del quotidiano, senza mai perdere una composta e profondissima lucidità; di Campana, le altissime vette di lirismo, la padronanza febbrile del ritmo, della metrica, della rima, abbastanza per considerarlo davvero un novello Orfeo ispirato dalle Muse. Non vorrei però fare torto nemmeno ad Ungaretti, maestro della condensazione e della sintesi.
Abbiamo notato che la tua poesia spesso evoca un senso di serenità e contemplazione, simile a quello trovato nelle liriche orientali. Cosa ti ha spinto a esplorare questo tipo di estetica nella tua scrittura?
Nel mio caso, i due aspetti si sono rincorsi e completati; la mia indole meditativa ha sempre cercato la contemplazione, e la poesia era il modo più naturale di proseguire – e raccontare – questo dialogo con l’infinito; quando poi, più tardi, ho potuto sperimentare la meditazione specificamente orientale – in particolare lo yoga, lo za-zen e il cha-no-yu – queste hanno a loro volta influenzato il mio modo di vivere la composizione poetica come ricerca dell’istante. Altre letture – come i canti mistici di Tagore, o il Wakanroeishu – hanno fatto il resto…
Nel tuo libro, “Il Mattino Perduto”, affronti temi universali come l’amore, la natura e la ricerca interiore. Qual è il messaggio principale che desideri trasmettere ai lettori attraverso le tue poesie?
Non saziatevi mai di cercare, osservare, cogliere, amare. Amate ogni momento e vivete l’infinito come fosse oggi, ora, adesso – perché è esattamente così. C’è altro – tutto – oltre a ciò che si può vedere e toccare.
Come avviene il processo creativo per te quando componi una nuova poesia? Ci sono particolari rituali o ispirazioni che ti guidano durante questo processo?
In realtà no, anche e soprattutto perché non mi ritengo un “poeta” nel senso letterale del termine, – senz’altro non “di professione”. Umanamente, fra Montale e Campana, mi sento molto più vicino, per fortuna o purtroppo, al secondo. Credo che la poesia sia un dono molto vicino a Dio, è dunque lei che decide di venire a trovarti, può accadere in qualunque momento, contemplando un’alba in montagna, o lavando i piatti; tutto sta nell’essere pronti ad accoglierla, nel rimanere “sintonizzati” col giusto stato d’animo – e non sempre la quotidianità del mondo te lo lascia fare. Se avessi avuto a portata di mano un taccuino, tutte le volte che dei boccioli di poesia mi nascevano in cuore, probabilmente avrei già compilato altre due o tre raccolte; ma non sempre funziona così. Quel momento di connessione è un vero istante di beatitudine; ma inizia subito a perdere luminosità, non appena si cerca di ricondurlo alla parola scritta; e ancor di più quando viene soggetto al necessario labor limae. Ecco perché, dal nucleo originario di una poesia, io preferisco sempre togliere, che aggiungere; più che comporre versi, il mio obiettivo è di “mimare” quell’ispirazione, riducendo al minimo indispensabile il mezzo – la parola – che, pur veicolando il messaggio, rischia di intorbidirlo.
In che modo credi che la poesia possa influenzare la percezione del mondo e la vita quotidiana delle persone?
Credo che la degenerazione del mondo sia sotto gli occhi di ciascuno di noi, specialmente da qualche anno a questa parte. Non vi è ambito della nostra vita che ne sia rimasto immune, sia nel quotidiano, che sul piano nazionale-internazionale. Questo è frutto di un lavoro certosino che perdura da decenni – e forse molto di più. Ebbene io penso che le espressioni di questa deriva, trovino terreno fertile ogni volta che le persone chiudono gli occhi, chiudono il cuore, si ripiegano su se stesse e sui loro bisogni (potrei chiamarli anche idoli), arrivando a scivolare nell’illusione di identificare se stessi come gusci vuoti, separati dall’universo, anelanti solo a riempirsi di “cose”. Ma questa non è vita. I conflitti che stanno insanguinando il mondo si stanno rapidamente intensificando proprio a causa della diffusione di questo humus di non-cultura, di non-vita. La poesia, col suo potere delicato, cura queste ferite esistenziali, aiuta ad aprirsi; aprirsi al nostro vero essere, all’altro, a Dio. Le preghiere di tutto il mondo, di tutte le culture, sono sempre poesie, l’avevi mai notato? Quando l’uomo guarda in alto, i suoi occhi si riempiono di luce, e, tornando a guardare giù, questa luce si trasforma in benevolenza; la poesia è uno strumento per diffondere questa luce, questa benevolenza, non l’unico strumento certo, ma di sicuro uno dei più genuini, non contaminato dalle barriere identitarie che spesso, oltre a definirci, ci dividono. Mi piacerebbe, nel dizionario dei sinonimi e contrari, trovare il lemma “Poesia” come uno dei contrari di “Guerra”.
Ringraziamo Luca Trapani per la sua illuminante condivisione e per averci offerto uno sguardo nel mondo affascinante della sua poesia. Le sue parole ci ispirano a contemplare la bellezza e la profondità della vita attraverso l’arte della poesia, e ci auguriamo che il suo lavoro continui a incantare e a toccare le anime dei lettori. Grazie ancora, Luca, per essere stato con noi oggi!
