GRUPPO ALBATROS IL FILO PRESENTA: Maria – Emilia Montevecchi

Benvenuti al blog del Gruppo Albatros! Oggi siamo entusiasti di accogliere un’autrice dal talento straordinario, Emilia Montevecchi, per discutere del suo ultimo romanzo, “Maria”. Questo libro ci porta nel cuore pulsante della stazione di Bologna, dove il protagonista, Giacomo, un uomo di mezz’età, osserva il mondo con occhi attenti e un cuore ancora in lutto per la perdita della sua amata compagna, Anna. Ma la sua quiete apparente viene scossa dall’arrivo di Maria, una figura enigmatica che ha un legame profondo con il passato di Giacomo e con quello di Anna. Tra lettere misteriose, incontri inaspettati e rivelazioni sconvolgenti, “Maria” ci conduce in un viaggio di introspezione e di scoperta dell’animo umano. E oggi, siamo fortunati ad avere con noi l’autrice stessa, pronta a condividere con noi i segreti dietro questa avvincente storia.

Emilia, che cosa ti ha ispirato a creare i personaggi di Giacomo, Anna e Maria, e quali sono le sfide che hai affrontato nel delineare le loro storie?

La nascita dei miei personaggi è avvenuta sotto forma di una visione; la prima ad arrivare è stata Maria. Mi si è letteralmente materializzata sotto gli occhi. Potevo vederla in piedi in un luogo ben definito, aveva un corpo, un’identità e una personalità. Soprattutto aveva una storia da raccontarmi, io non dovevo fare altro che ascoltarla. Maria mi chiedeva tempo e mi prometteva di farmi riflettere e tenermi compagnia. Il suo nome, così evocativo e intrigante da subito mi ha parlato di maternità e mi ha obbligato a indagare sul significato della famiglia e delle relazioni umane. Giacomo e Anna me li ha presentati lei e il loro rimando ad Anna e Gioacchino, genitori di Maria di Nazaret, mi è stato chiaro solo alla fine. La scelta dei loro nomi, che all’inizio mi era sembrata casuale, in realtà, mi ha consentito di considerare le figure bibliche come un faro, una direzione, una traccia sotterranea che proprio perché è stata disattesa dai due protagonisti, rimangono, soprattutto nelle parole finali di Giacomo e nel suo rimpianto, un motivo di redenzione e di speranza.

“Maria” affronta temi complessi e introspettivi. Qual è il messaggio principale che desideri trasmettere ai lettori attraverso questa storia?

La tesi di questo libro è che gli esseri umani sono complessi e racchiudono in sé il bene e il male. Gli incontri della vita, le circostanze che affrontano, le abilità di cui sono coscienti e il loro processo inconscio determinano, ogni volta, la direzione verso la salvezza o verso il baratro. L’esistenza si percorre su un crinale. La necessità di riconoscere e orientare le scelte consapevoli e anche quelle inconsce in una direzione, piuttosto che in un’altra non cessa mai di essere la cifra della libertà degli uomini e contemporaneamente della loro responsabilità. Pertanto, la libertà è un fatto molto serio, che riguarda soprattutto se stessi. Ogni sofferenza può essere abbandonata con un atto di volontà e dunque di libertà. In questa ottica non si può far altro che intravedere nella ricerca della libertà una sfida che riguarda anche l’educazione e la cultura. L’anelito alla libertà trova indubbiamente il suo volano nel fatto educativo. Ma che fare di fronte a cattivi maestri o adulti inadeguati? Quando emerge il personaggio di Margherita appare chiaro che non c’è nulla di predestinato: due padri per lei, uno fa il rimando alla Croce, non come redenzione, ma come fallimento, l’altro al solo fallimento umano. Entrambi non hanno nulla di liberante eppure danno vita a questa giovane donna che rappresenta un nuovo germoglio, una nuova speranza. Alla fine, si può dire che sì, esistono buoni e cattivi maestri, ma non sono i soli responsabili dell’andamento che prenderà la vita delle persone ad essi affidate. La peculiarità del libero arbitrio o dell’intelligenza emotiva rende l’uomo libero, a patto che lo voglia. Dunque, il messaggio del libro vuole mettere in evidenza come l’energia vitale e la tensione al compimento della propria umanità sia un percorso sempre possibile anche se tortuoso e a tratti doloroso. E ovviamente Maria ne è la principale testimonianza.

La trama di “Maria” è ricca di colpi di scena e rivelazioni sorprendenti. Senza svelare troppo, puoi condividere con noi uno dei momenti più memorabili che hai creato nel libro?

Direi che ci sono almeno un paio di momenti significativi. Entrambi aprono uno squarcio inedito sulla personalità dei protagonisti, qualcosa di inimmaginabile fa capolino tra le righe e lascia l’interlocutore sbigottito. Tutte e due le volte Giacomo è presente. La prima volta quando Maria lo mette alle strette e gli offre una sorta di duello virtuale tra l’immagine di Anna, cristallizzata in una foto riposta su una mensola, che sprigiona tutto il suo potere magico e dall’altra Maria, in carne ed ossa, che la incalza con la sua dirompente energia positiva. Questo, a mio avviso, è il primo scontro tra il bene e il male. Il secondo avviene attraverso un flash, un incubo ad occhi aperti che Giacomo fa nelle ultime pagine del libro, in una notte in cui il cielo a Milano si era fatto improvvisamente scuro e aveva disvelato i fantasmi del suo passato, spiegando molte cose. Purtroppo, però, questo passaggio lascia l’amaro in bocca perché sembra arrivare in ritardo sulla tabella di marcia del percorso esistenziale del personaggio.

La storia di “Maria” si svolge in un contesto molto particolare, la stazione di Bologna. Qual è stata la tua ricerca per rendere autentico questo ambiente e come hai integrato la sua atmosfera nella trama?

Così come l’arrivo dei personaggi mi è apparsa come una visione inaspettata, anche il contesto logistico è stata una sorpresa. Io sono una camperista, non uso il treno da moltissimi anni. Deve essere un ricordo del passato, di quando, da bambina, da Santarcangelo di Romagna, dove abitavo con la mia famiglia, andavo con mia madre a Bologna in treno a trovare mio padre che era ricoverato al Sant’Orsola. Lo è stato per diversi mesi. Mio padre è stato un pioniere dei trapianti in Italia. Nel 1968 aveva ricevuto una infausta notizia, a causa di una nefrite che gli aveva compromesso entrambi i reni gli rimanevano pochi mesi di vita. Grazie all’intervento del parroco di San Vito di Rimini, era venuto a conoscenza che a Bologna era possibile praticare la dialisi, una terapia innovativa, ma all’epoca durava dodici ore e andava fatta tre volte alla settimana.  Quando gli fu offerta la possibilità di tentare il trapianto decise, molto coraggiosamente di affrontare la sfida e la vinse, fu un evento straordinario e ancora più straordinario fu il fatto che a donargli il rene fosse suo fratello da vivente, che all’epoca aveva ventitré anni. Questa circostanza, insieme alla tragica malattia della mia sorellina, nata due anni dopo, nel 1970, ha determinato un contatto diretto tra la nostra famiglia e l’ospedale Sant’Orsola. Quei binari devono essermi rimasti dentro, nella memoria recondita, perché per anni sono stati una consuetudine. Prima li percorrevo con mia madre, per andare a trovare mio padre e poi, qualche anno dopo, con mio padre per andare a trovare la mia sorellina che, accompagnata da mia madre, trascorreva interi mesi ricoverata in ospedale a Bologna.

Emilia, hai adottato uno stile narrativo molto coinvolgente nel tuo libro “Maria”, che cattura l’attenzione del lettore sin dalle prime pagine. Quali sono stati i principali elementi stilistici che hai voluto utilizzare per trasmettere l’intensità emotiva e l’atmosfera della storia?

Io non ho riflettuto sul mio stile mentre i miei personaggi mi raccontavano la loro vita. Mi sono limitata a parlare di loro, a riflettere insieme a loro, a non dare nulla per scontato, a non vedere una trama certa e un percorso lineare. L’esperienza mi ha insegnato che le cose non vanno sempre come vorremmo. Per questo mi è venuto naturale imbattermi in cambi di scena e svolte repentine. Forse, però, lo stimolo alla scrittura mi è arrivato anche grazie alle letture dei classici che mi hanno sempre accompagnato, con il loro potere dirompente accomodati sul mio comodino. Ricordo che da bambina coltivavo tre sogni: diventare una ballerina di danza classica, sviluppare il potere di far ridere le persone e scrivere libri. Il primo è andato completamente disatteso, gli altri due continuano a stimolare il “Fanciullino” che c’è in me e a dispetto dell’anagrafe mi fanno sperare in nuove e continue avventure.

Grazie mille, Emilia Montevecchi, per aver condiviso con noi i tuoi pensieri e le tue esperienze riguardo a “Maria”. È stato un vero piacere esplorare il mondo che hai creato e scoprire le profondità dei tuoi personaggi. Non vediamo l’ora di vedere quali altri romanzi ci riserverai in futuro. Buona fortuna e continua a stupirci con la tua narrativa coinvolgente!

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