Cari lettori, ci sono libri che sembrano sussurrare, più che raccontare. Nel sogno di Jana di Linda Padrini è uno di questi: una storia intima e delicata, che avvolge chi legge in un’atmosfera sospesa tra nostalgia e desiderio, tra ciò che è stato e ciò che avrebbe potuto essere. Attraverso una prosa elegante e profondamente evocativa, l’autrice ci conduce nel mondo interiore di Jana, una protagonista in bilico tra l’amore, il rimpianto e l’inseguimento dei propri sogni. Un viaggio emotivo che tocca corde profonde e invita alla riflessione, lasciando un segno duraturo. In questa intervista per il blog del Gruppo Albatros, abbiamo incontrato Linda Padrini per conoscere meglio il romanzo, la sua genesi e il percorso umano e artistico che l’ha resa possibile.
Nel sogno di Jana è attraversato da un’atmosfera sognante e malinconica: come è nata questa storia e in quale momento della tua vita ha preso forma?
La storia è nata circa tre anni fa. Non è stata concepita per assumere una forma narrativa. Il nucleo originario era infatti costituito da una serie di riflessioni sull’amore e la malinconia in forma quasi di diario. Da qui penso che scaturisca la natura profondamente introspettiva dell‘opera. Ho sentito, in seguito, l’esigenza di osservare le mie riflessioni come dentro a uno specchio e, grazie all’invenzione letteraria, ho creato un ensemble di personaggi e situazioni che potessero aiutarmi a estrinsecare i messaggi che avevo in mente. Da un punto di vista cronologico, questa storia è nata all’indomani del mio trasferimento in Sardegna dopo anni passati in Austria e, soprattutto, in Svizzera. Come una pianta che viene trapiantata spesso in terreni diversi, anche la sensibilità umana percepisce il progressivo indebolimento delle radici. Quasi come lo sfilacciarsi di un tessuto usurato. Il mio bagaglio di letture e l‘humus plurale del quale ho nutrito il mio spirito negli anni, mi hanno, tuttavia, portato, a una serie di nuove considerazioni. Nella mia storia, ricordi reali e creazione letteraria hanno progressivamente smarrito i loro rispettivi confini. Ho vissuto tutto ciò con una grande estasi del cuore.
Jana è una protagonista profondamente introspettiva, sospesa tra desiderio di fuga e radici emotive: quanto c’è di autobiografico nel suo percorso interiore?
Esattamente questa è l’espressione che caratterizza meglio la natura della protagonista e del libro nel suo complesso: radici emotive. Jana, infatti, cerca spesso una casa nei propri pensieri. Le sue riflessioni diventano radici. La lingua le offre la dimora più adatta alla propria interiorità; le parole le permettono di dar voce a quell‘emotività che rappresenta il nucleo d’identità più forte che Jana ha con se stessa. Anche i tentativi di fuga reali o immaginati sono sempre accompagnati da un fluire di immagini create dalla combinazione di parole scelte con acribia. In questo c‘è una forte componente autobiografica poiché, forse anche per i miei studi, mi ritrovo spesso a riflettere su come, nelle lingue che conosco, sia possibile trasmettere le diverse sfumature delle nostre emozioni. Le parole mi aiutano spesso a confrontarmi con le decisioni.
Il romanzo esplora temi universali come l’amore, il rimpianto e i sogni non realizzati: quale di questi senti più vicino alla tua sensibilità di autrice?
Sicuramente il sogno, un tema al quale, tuttavia, la mia sensibilità attribuisce un significato particolare che non ha tanto a che fare con i desideri bensì con l’immaginazione o con la sospensione della coscienza diurna. Il sogno, quindi, si configura quasi come un’alternativa al reale e si nutre di struggente nostalgia, ma soprattutto dell’anelare a uno stato che, se potesse realizzarsi, perderebbe la bellezza e la profondità emotiva che lo caratterizzano. In tal senso, il rimpianto è il dolore per il reale che limita l’immaginazione e l’amore è invece la materia fondante di questo perenne anelito. Sebbene secoli ci separino, la mia sensibilità aderisce in profondità al romanticismo letterario, soprattutto nella sua veste più notturna e solipsistica.
La tua formazione umanistica e il lungo periodo vissuto all’estero hanno influenzato il tuo stile di scrittura e il modo di raccontare i sentimenti? In che modo?
Sicuramente, come dicevo anche prima, la pluralità di prospettive, lingue e culture che ha caratterizzato gran parte della mia esistenza mi ha regalato una certa duttilità di pensiero ed espressione. Questo aspetto in me si è coniugato con il bagaglio di studi umanistici che mi accompagna ancora adesso. Nel libro, infatti, oltre a rendere omaggio alla bellezza della contaminazione culturale, ho voluto evocare, in maniera seppur indiretta, autori che mi hanno profondamente toccata, come il poeta espressionista austriaco Georg Trakl, o la caratterizzazione dei personaggi da parte dei tragediografi dell‘antica Grecia.
Cosa ti auguri rimanga al lettore dopo aver chiuso l’ultima pagina di Nel sogno di Jana?
A un certo punto della storia, quando Jana si ritrova da sola nello scompartimento del treno, spontaneamente inizia a scrivere nel proprio taccuino e, quando l’inchiostro ha ricoperto ogni spazio bianco, ella sente di essere giunta a casa. Quello che vorrei rimanesse ai lettori è proprio il costante confrontarsi di Jana con le proprie emozioni. Quando vengono meno punti di riferimento nel mondo reale, possiamo guardare dentro noi stessi e – come si legge nel Werther di Goethe – trovare un mondo.
Ringraziamo Linda Padrini per aver condiviso con noi il mondo delicato e profondo di Nel sogno di Jana, un’opera capace di parlare al cuore con grazia e autenticità. A voi lettori l’invito a lasciarvi guidare da queste pagine dense di emozione e introspezione, concedendovi il tempo di ascoltare i sogni, i ricordi e le fragilità che abitano ogni essere umano. Perché, a volte, è proprio nei sogni che troviamo le verità più sincere.
