Cari lettori del blog Albatros, oggi vi invitiamo a scoprire un libro che intreccia con eleganza storia, arte e destino. La lettera di Lasciac Bey, di Tàssilo Del Franco, è un viaggio letterario e interiore che unisce due epoche e due uomini straordinari: Antonio Lasciac, celebre architetto goriziano al servizio del viceré d’Egitto, e Marco Cravos, suo ammiratore e ideale continuatore. Attraverso un raffinato intreccio di ricerca storica, sensibilità artistica e introspezione, l’autore ci accompagna in un dialogo senza tempo tra maestro e discepolo, tra realtà e immaginazione. Abbiamo avuto il piacere di rivolgere a Tàssilo Del Franco alcune domande per conoscere più da vicino la genesi e l’anima di questo affascinante romanzo.
Com’è nata l’idea di scrivere La lettera di Lasciac Bey e che cosa l’ha colpita maggiormente della figura di Antonio Lasciac?
L‘idea di scrivere questo romanzo mi nacque molti anni fa, quando ebbi modo di visitare il parco di Villa Lasciac, che si trova su un colle oltre il confine italo-sloveno dalla fine della guerra, a circa un chilometro da casa mia, che però è in Italia. Antonio Lasciac aveva edificato la villa in stile mamelucco, un tipo di architettura che si adattava molto a rappresentare lo spirito dell’Egitto di oltre un secolo fa, dove lui era di casa per i grandi incarichi che aveva ricevuto. Già entrando dal portale moresco, vidi e decifrai la scritta in caratteri cufici arabi, nascosta tra i mattoni, che risultava essere il suo nome, Antonio Lasciac, fronteggiato dall‘altro lato da quello della moglie Maria Lasciac. Conoscendo bene la scrittura araba, la scoperta mi sorprese e mi spinse ad interessarmi all‘uomo ed all‘artista. Così nacque una ricerca difficile, per l‘oblìo che era calato nei decenni sul personaggio e la sua importante opera.Del Lasciac mi ha colpito, negli anni, il suo legame con le origini friulane e la sua amata città, mai dimenticata, la sua passione per la poesia, la musica, l‘arte, e la sua straordinaria apertura a esperienze e conoscenze fuori dal suo mondo.
Nel romanzo si percepisce un profondo legame tra architettura e introspezione: quanto della sua formazione e sensibilità personale ha influenzato la costruzione dei personaggi?
Ad Antonio Lasciac mi lega una origine comune: i veri goriziani hanno una derivazione composita, sia etnica che culturale, unica in Europa, e s‘intendono tra loro. Nelle famiglie coesistono i geni di antenati friulani, slavi, germanici, italici, e questo si riflette (e si rifletteva ancor più nel tempo passato) nella loro lingua e tradizione, che attingeva ad una complessa mescolanza umana, da terra di confine. La gorizianità del Lasciac è la mia, essendo anch‘io un prodotto germanico-slavo-friulano. Per di più Antonio Lasciac aveva vissuto in Egitto per oltre mezzo secolo, e non poteva non averne subìto il fascino. Anche in questo ritrovo me stesso, poiché sono sposato con una cristiana d‘Egitto, e ho frequentato il paese per oltre trent‘anni.
Il rapporto tra Marco Cravos e Lasciac attraversa tempo e spazio: come ha lavorato sul piano narrativo per rendere credibile e suggestivo questo dialogo tra due epoche?
Il personaggio inventato Marco Cravos, già nel nome italiano e nel cognome di origine slovena riflette il suo ethnos composito, ed assume alcune caratteristiche mie proprie, potendo considerarsi per metà come l‘autore del libro: racconta infatti alcune delle mie esperienze reali, altre invece le traspone nella finzione letteraria, che rappresenta quasi la sua realtà vissuta. Quando Cravos fa rivivere il Lasciac, cerca di immaginarne la vita attribuendogli i suoi appunti scritti, e la cosa gli prende un po‘ la mano, poiché ne ricrea il supposto linguaggio ottocentesco, che reputa adatto a lui, un grand‘uomo dell‘Ottocento e della belle époque, pieno di quella dignità condita di bonomìa, che spesso caratterizzava gli uomini rispettabili di quel periodo.
La ricerca storica è un elemento centrale del libro. Può raccontarci qualcosa del lavoro di documentazione e delle fonti che ha consultato?
L‘interessante libro di Marco Chiozza, che contiene un‘importante documentazione fotografica dell’opera di Antonio Lasciac, mi è servito da base per la mia ricerca. Le informazioni che ho raccolto in seguito nascono da colloqui con persone interessate all‘opera dell‘architetto, o sono reperibili nell‘archivio del comune di Gorizia. Altre informazioni le ho ricavate dalla osservazione diretta delle opere di Lasciac, in Egitto e a Gorizia, e dalle poche fotografie esistenti. Il resto è fantasia.
Qual è il messaggio che desidera lasciare ai lettori attraverso questa storia che fonde arte, memoria e destino?
Il mio romanzo propone una rivisitazione nostalgica di un mondo irrimediabilmente perduto, e un confronto con realtà attuali, che fino agli anni cinquanta del secolo passato erano assolutamente imprevedibili. Pare che di questi tempi, per l‘incalzare di problemi di ogni genere, si sia perduta la percezione dell‘importanza che assume l‘identità, legata al rispetto e alla dignità dell‘individuo, alla sua elevazione culturale, alla sua promozione umana e sociale. Nella massificazione della società contemporanea assistiamo invece al trionfo dell‘appiattimento sul pensiero unico e all‘emarginazione del dissenso, un pericolo reale. La fantasia, l‘ironia, l’umanità hanno uno spazio sempre più ristretto per far emergere la bellezza.
Ringraziamo di cuore Tàssilo Del Franco per averci guidato in questo viaggio tra passato e presente, alla scoperta di un personaggio e di un mondo che continuano a parlare al nostro tempo. La lettera di Lasciac Bey è un romanzo che invita alla riflessione e al sogno, un omaggio alla bellezza come ponte tra le culture e le epoche. Se amate la storia, l’arte e le narrazioni che sanno unire mente e cuore, non potete perderlo. Buona lettura!
