Cari lettori, oggi torniamo a parlare di una saga che ha già conquistato il cuore di molti di voi. Dopo averci affascinati con Dvaita – Libro primo, Simona Artuso torna con il secondo, attesissimo capitolo della trilogia: Dvaita – Libro secondo. Una storia che ci trascina oltre il confine tra vita e morte, dove la protagonista Ana affronta nuove sfide, forze oscure e il peso di un legame che la unisce indissolubilmente a un’altra anima. In questo nuovo capitolo, le domande diventano più profonde, i pericoli più reali e le scelte sempre più difficili. Ma la vera battaglia, forse, resta quella interiore. Abbiamo avuto il piacere di rivolgere a Simona qualche domanda per scoprire cosa si nasconde dietro le pagine di questa intensa avventura.
Simona, in Dvaita – Libro secondo ritroviamo Ana, ma sembra che il suo percorso interiore si faccia ancora più complesso. Come hai lavorato sulla sua evoluzione psicologica rispetto al primo volume?
Il primo volume era stato scritto in un periodo della mia vita molto doloroso, a causa della scoperta di un aneurisma cerebrale gigante che avrebbe di lì a poco condizionato la mia esistenza. Dopo essere stata operata e aver risolto finalmente quel problema, al dolore è seguita la rabbia. Ero una ragazzina e questo sentimento mi aveva plasmata totalmente: perché non doveva succedere a me, perché non venivo compresa dai miei coetanei e perché i dolori mi accompagnavano giorno dopo giorno dal momento dell’intervento. È stato quello il periodo in cui è stato scritto Dvaita – Libro secondo. L’evoluzione di Ana è stata anche la mia evoluzione, caratterizzata da scelte impulsive, momenti di sconforto profondo, risalite violente a causa della vita che continuava imperterrita a procedere, e persone che una dopo l’altra hanno avuto accesso nel mio mondo per poi uscirne, alla stessa velocità con la quale erano entrate. Scoprirete che il cambiamento per Ana non sarà finito qui, perché con il terzo volume ci sarà una crescita interiore ulteriormente diversa e molto più profonda.
La presenza di Danica introduce una dimensione ancora più profonda del concetto di dualità. Come sei riuscita a intrecciare le due anime – così diverse ma unite – in un solo corpo narrativo?
Danica è sempre stata la parte più razionale delle due, quella calma, posata e con una forte integrità. La stesura di un romanzo è sempre una cosa molto affascinante, soprattutto se dura anni e mi piace pensare che le parole di Danica siano quelle della me adulta che parla alla me adolescente. Nel tempo spesso ho cambiato frasi o paragrafi interi e ricordo di aver costruito meglio il personaggio di Danica solo dopo aver terminato la bozza dei tre romanzi. Quindi le parole dell’anima con i capelli rossi e gli occhi verdi non sono altro che le parole della vostra autrice, ormai trentenne, che cerca di placare gli atteggiamenti di una ragazzina impulsiva come Ana
L’Istituto Math è un’ambientazione affascinante e misteriosa, dove scienza e spiritualità si incontrano. Cosa rappresenta simbolicamente questo luogo e come ne hai costruito l’atmosfera?
Il Math esternamente è il castello di Van Mesen in Belgio, una struttura maestosa, affascinante e allo stesso tempo terrificante. Nel mio romanzo però è anche un luogo governato dalla scienza ma che ha le sue radici nella spiritualità, amministrato dai vari Stati europei e abitato da giovani che hanno sofferto molto per la loro condizione e che si sono ritrovati stritolati dal destino. Fin da piccola sono sempre stata un’amante della magia, adoravo la saga di Harry Potter, guardavo e riguardavo i film di “X-men” e ogni volta immaginavo me stessa all’interno delle mura di Hogwarts o della scuola per mutanti del professor X. Penso che il Math rappresenti quindi il mio luogo sicuro, il sogno della me adolescente che sperava un giorno di studiare dentro un Istituto per giovani dotati con poteri spettacolari.
Nel romanzo emergono temi forti come il potere, la diversità e la paura dell’altro. Quanto di questo riflette il mondo reale e il tuo sguardo sulla società contemporanea?
Sono sempre stata una ragazza con tante e forti domande, un’adolescente che non si faceva abbindolare da storielle raccontate di fretta ma che esigeva delle risposte e soprattutto che voleva che queste risposte avessero un senso logico. Questo aspetto di me ha fatto da sempre storcere il naso alle persone, dai miei famigliari ai miei amici. Il risultato è stato che “se non fossi riuscito a conformarmi, allora sarei stata allontanata”. La paura dell’altro, del diverso, l’ho provato proprio sulla mia pelle e visto negli occhi delle persone a me più vicine e delle quali mi fidavo di più. Il mio pensare fuori dagli schemi, ricercare risposte anche se tutti mi dicevano che non erano necessarie, confutare teorie strambe sul perché siamo al mondo, perché ci ammaliamo, perché soffriamo, era diventata la mia ragione di vita. Non mi bastava sapere che dall’alto qualcuno aveva deciso così, che il mio percorso era stato già scritto e che avrei dovuto accettarlo. Io dovevo essere fautrice del mio destino, la mia vita non poteva in alcun modo dipendere da qualcun altro, esistente o meno che fosse. C’è una bellissima frase che dice: Il potere non si eredita, lo si prende, e quando è tuo puoi chiamarlo come vuoi. Questa frase sottolinea appunto che il potere è il risultato di azioni e volontà, non di fortuna, che per ottenerlo bisogna usare i propri mezzi e una volta conquistato diventa personale. Ed è proprio quello che fa Ana in questo secondo libro. Lei vuole arrivare in fondo alla sua verità e farà di tutto per riuscirci, anche a costo di fare del male o di uccidere, se necessario.
Senza svelare troppo, possiamo aspettarci nuove rivelazioni o colpi di scena nel terzo e ultimo capitolo della trilogia? Puoi darci un piccolo indizio su cosa attende Ana?
Il terzo libro nasce a seguito di un evento famigliare importante nella mia vita che mi ha traumatizzata per gli anni a venire. Due persone in particolare si sono prese gioco della me adolescente disintegrandola psicologicamente, emotivamente e debilitandola a tal punto da farle perdere ogni aderenza con la realtà. Il terzo capitolo della trilogia vedrà quindi Ana affrontare proprio queste due persone. Scoprirà che cos’è la paura, il dolore fisico, la vergogna. Verrà plagiata per far sì che si fidi di questi due individui, che si lasci andare, per poi essere nuovamente trascinata sul fondo. Capirà che cosa vuol dire subire talmente tanti traumi da non essere più se stessa, cosa vuol dire abbracciare ed essere abbracciata da qualcuno che apparentemente sembra di buon cuore per poi venir pugnalata dalla sua stessa mano nel momento esatto in cui lei chiuderà gli occhi. Il terzo sarà il volume peggiore, non lo nego. Ho pianto quando l’ho scritto, ho pianto quando l’ho riletto e ho pianto anche adesso dopo averlo corretto. Però anche questo mi è servito per prendere atto di ciò che sono e di quello che voglio, o non voglio, dalla vita. Spero che anche queste due persone, quando leggeranno il mio libro, e so che lo faranno, prendano consapevolezza di cosa hanno fatto e di che ruolo hanno avuto nella mia vita. Detto questo, miei cari lettori, preparatevi…i giochi non sono ancora finiti.
Ogni saga fantasy ha il potere di trasportarci altrove, ma Dvaita fa qualcosa di più: ci invita a guardare dentro di noi, a confrontarci con la nostra parte più nascosta. Ringraziamo di cuore Simona Artuso per aver condiviso con noi questo nuovo viaggio tra luce e ombra, e invitiamo tutti voi, cari lettori, a scoprire Dvaita – Libro secondo: un romanzo che vi terrà con il fiato sospeso fino all’ultima pagina.
