GRUPPO ALBATROS IL FILO PRESENTA: SENZA TACCHI MA CON LA VOGLIA DI FARCELA – Simona Garnero

Nel panorama delle testimonianze autobiografiche che lasciano un segno profondo nel lettore, Senza tacchi ma con la voglia di farcela di Simona Garnero si distingue per autenticità, coraggio e determinazione. È la voce sincera di una donna che ha affrontato la vita senza filtri, trasformando la disabilità e le difficoltà in strumenti di crescita personale e impegno civile. Insegnante, assistente sociale, mediatrice familiare e attivista, Simona ha saputo costruire un percorso di vita coerente e ispiratore, tracciando una strada che parla di inclusione, consapevolezza e cambiamento. In questa intervista, ripercorriamo con lei alcuni dei temi cardine del suo libro e del suo impegno quotidiano.

Senza tacchi ma con la voglia di farcela è un titolo che colpisce e incuriosisce: ci racconta com’è nato e cosa rappresenta per lei?

Questo titolo ha rappresentato un po’ il succo della mia vita, purtroppo a causa della mia disabilità non ho mai potuto indossare fino a tempi più recenti scarpe comode e femminili. Negli anni Ottanta ma anche dopo, le scarpe ortopediche erano simili a delle scarpe da lavoro, che indosso ad una bambina o ad una ragazza che si affacciava al mondo, facevano capire subito che qualcosa non andava. Riguardando la mia vita, anche non avendo le scarpe femminili da ragazza, sono riuscita a raggiungere tanti traguardi e questo è stato racchiuso nel prosieguo del titolo “con la voglia di farcela”. Il titolo, quindi, rappresenta il riassunto della mia vita, ho avuto tanti ‘no’ e tanti ‘senza’, ma ho trasformato tutto ciò in una nuova visione e in una vita piena.

Nel libro emerge un forte contrasto tra la scuola come luogo di discriminazione e, al tempo stesso, come spazio di riscatto. Che ruolo ha avuto davvero l’istruzione nel suo percorso?

La scuola inizialmente in alcuni gradi, medie e asilo, è stato luogo di discriminazione che però ha temperato il mio carattere; infatti, posso dire che invece le superiori e l’università sono state per me salvifiche in quanto mi hanno fatto vedere una Simona capace e competente, in gamba e risoluta. Avere docenti che hanno creduto in me malgrado le difficoltà fisiche e alcune cognitive lievi, mi hanno permesso di portare avanti i miei progetti di studio che continuano a tuttora; infatti, a breve mi specializzerò come insegnante di sostegno, oltre a continuare l’università come counselor spirituale clinico. Pertanto, l’istruzione ha rappresentato per me il far vedere al mondo che la mia disabilità motoria non mi rendeva stupida ma ero comunque in grado di apprendere e di trasmettere a mia volta quanto appreso.

Oggi lei è docente in un istituto superiore: in che modo la sua esperienza personale influisce sul suo modo di insegnare e relazionarsi con gli studenti?

Il fatto di aver avuto una maestra di sostegno che ha trovato modi sempre differenti per farmi imparare le cose e aver avuto docenti di scuola superiore che sono andate oltre alla mia disabilità e alle mie difficoltà mi permette sempre di ricordare che ogni alunna o alunno ha il suo modo di imparare, di apprendere le cose e di riuscire e io devo sempre fare come hanno fatto gli insegnanti con me e credere in loro. Ho delle classi che sono molto in sintonia con le mie disabilità e sono anche un buon supporto nei momenti più difficili, mi aiutano portando lo zaino, se mi vedono in difficoltà quando devo organizzare un laboratorio mi aiutano a scrivere la lavagna. Insegnando in un socio-sanitario inoltre l’argomento della disabilità è sempre presente e quindi i ragazzi più grandi fanno spesso domande sulla mia vita, su come sono arrivata a diventare insegnante, a sposarmi e rimangono sempre sorpresi dei miei racconti e mi stimano molto, anche perché cerco di trovare sempre sistemi e metodi per farli apprendere nel modo più facile possibile credendo sempre nelle loro abilità. Con le classi più giovani, e soprattutto nelle prime dove il rapporto e la conoscenza si deve ancora stabilire, la mia disabilità non fa né caldo né freddo. I ragazzi vivendo molte difficoltà personali in quell’età spesso si confidano con me raccontando anche storie di vita complicate dove spesso come scuola siamo dovuti intervenire.

Parla spesso di inclusione scolastica e sociale: a suo avviso, quali sono i progressi fatti finora e quali, invece, le sfide più urgenti ancora da affrontare?

L’inclusione scolastica e sociale a mio avviso devono andare avanti di pari passo, a livello legislativo posso affermare che in entrambe i settori alle persone con difficoltà e con disabilità viene riservato il miglior trattamento ma nei fatti bisogna ancora lavorare molto sull’accettazione delle difficoltà e disabilità con i genitori e il mondo circostante primario, quindi parenti e affini, contesto abitativo, eccetera. Vedo da docente che molto spesso i miei studenti con disabilità, finita la scuola, non solo nel periodo estivo ma anche nei pomeriggi non hanno momenti di svago ed inclusione con i compagni né con altri coetanei. Alcune famiglie optano, pagando di tasca propria, ad avere del personale che accompagni i loro figli in attività di svago dove però raramente esiste una vera inclusione in quanto purtroppo i ragazzi adolescenti, finito il momento della scuola, preferiscono fare gruppo con chi è più simile a loro. I servizi offrono progetti di affido, ma anche qui manca sempre la parte della Comunità dei coetanei, con i bambini piccoli disabili è più semplice, spesso i miei studenti che fanno gli animatori nei campi estivi nell’estate ragazzi sono contenti di stare vicino a bambini piccoli con disabilità. Il tutto si complica quando questi bambini crescono. I compagni anche più volenterosi hanno difficoltà a relazionarsi e spesso la scuola, pur offrendo momenti di confronto con i professionisti, non riesce ad avere i giusti strumenti per fare un’inclusione autentica che vada oltre il momento tra le mura scolastiche. A mio avviso si dovrebbero prevedere momenti dove l’intera popolazione viene sensibilizzata e preparata su come organizzare momenti che siano feste patronali, oratorio, estate ragazzi ma anche locali per quando dei ragazzi che escono per promuovere la vera inclusione per esempio basterebbe che tutti i locali pubblici avessero oltre l’accessibilità fisica, quindi rampe, ascensori, eccetera anche la CAA per le persone autistiche o con difficoltà verbali e magari spazi di silenzio dove le persone con autismo e non solo possano scaricare le emozioni e avere momenti di quiete prima di tornare nei luoghi di confusione. Tutto ciò aiuterebbe a far sì che tutti sperimentano la comunità, il vivere insieme, ciascuno per le sue abilità, capacità e il suo modo di essere.

Il suo impegno va oltre la scuola e tocca anche la sfera spirituale e relazionale: come si integra questo aspetto nella sua visione del benessere e nella sua missione educativa?

Dal 2017 offro spazi di consulenza principalmente pro-bono a famiglie, coppie, genitori in difficoltà e spesso mi accorgo che i problemi maggiori nascono da difficoltà relazionali, ossia “non so come comunicare il mio malessere senza far male alla persona che amo”, “non so più come aiutare la persona a cui tengo di più e il suo dolore fa star male anche me”, “ci siamo lasciati ma nostro figlio/figlia soffre e ci odia”, “nostro figlio/figlia non mi ascolta più per lei/lui non esisto”. Tutti questi brevi spunti di problemi relazionali mi hanno fatto capire che in realtà derivano da schemi antichi e che quindi bisognava che andassi a lavorare su dinamiche relazionali profonde spesso apprese nell’infanzia o nell’adolescenza e proprio per questo la mia missione educativa è diventata insegnare ai ragazzi e alle ragazze che seguo come comunicare al meglio le proprie emozioni, i propri malesseri, le proprie difficoltà, senza cadere nell’errore di far del male l’altro, per questo spesso uso planning o dibattiti per lavorare sul come star meglio insieme. Questo dà dei risultati strabilianti, infatti In alcune classi dove studentesse o studenti mi dicevano di non riuscire a stare perché stavano male a causa dei compagni, con un lavoro di sinergia, soprattutto con colleghi di sostegno e di scienze umane siamo riusciti a rendere talvolta alcune classi dei luoghi sicuri dove gli studenti e le studentesse posso dire realmente come stanno.

La storia di Simona Garnero ci ricorda che la forza più grande risiede nella volontà di non arrendersi, anche quando il mondo sembra spingere nella direzione opposta. Senza tacchi ma con la voglia di farcela non è solo il racconto di una vita, ma una dichiarazione d’intenti: un invito a credere nelle proprie possibilità, a lottare per i propri diritti e a costruire una società più inclusiva, partendo dall’ascolto e dalla comprensione dell’altro. Grazie, Simona, per aver condiviso con noi la sua voce e il suo coraggio.

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