Benvenuto, Alessandro Gabbani! È un piacere ospitarti sul blog del Gruppo Albatros per parlare del tuo romanzo Ha ragione il mare. Un libro che ci catapulta negli anni Ottanta, tra spensieratezza, sogni di libertà e la complessità delle prime scelte importanti nella vita. La tua narrazione vivace e coinvolgente, insieme ai personaggi indimenticabili, regala ai lettori momenti di pura evasione ma anche spunti di riflessione. Iniziamo subito a scoprire di più su questa opera e sul suo autore.
Cosa ti ha spinto a raccontare questa storia ambientata negli anni Ottanta e come hai vissuto personalmente quell’epoca?
L’idea del romanzo nasce proprio dal bisogno di raccontare un mondo e un periodo, quello dei diciotto-ventenni degli anni Ottanta, che è stato così forte, così intenso, così ricco di eventi e di risvolti da aver costituito a suo modo – chi lo ha vissuto lo sa – una grande magia. Erano tempi in cui si stava in giro giorno e notte, in cui le discoteche erano aperte e piene e di ragazzi tutte le sere, in cui si facevano inevitabilmente un sacco di incontri, che potevano avere o non avere un seguito. Anche chi lavorava era di solito meno pressato di adesso e trovava l’energia per uscire la sera, per tornare tardi, per condurre un certo tipo di vita. Certi fatti, certe vicende di quegli anni festosi e un po’ fannulloni, non dovevano andare perse, meritavano di essere scritte, fermate, salvate per sempre. E’ chiaro che scrivendo, nel gioco del romanzo, quei fatti puoi appiccicarli addosso a un personaggio o ad un altro, puoi infilarli in una storia o in un’altra, ma le sensazioni più intime, più profonde… beh, non possono che essere quelle che noi stessi abbiamo provato, che in quel periodo ci hanno fatto godere e soffrire, che ci hanno attraversato da capo a piedi. Quegli anni ci hanno dato tanto, come libertà e divertimento. E’ stato fantastico stare sopra quella giostra, anche se a volte, specie sentimentalmente, ci ha scaraventato a terra. Ci sono persone, posso assicurarlo, che fanno finta di vivere ma sono rimaste con la testa alla magia di quegli anni e non si sono più riprese. Campano solo di nostalgia, ne conosco tante. Fingono di stare dietro ai figli, alla famiglia, al lavoro, ma sono ancora ferme là, come se la loro vera vita fosse stata quella. E appena possono, se ci parli in confidenza, tornano a ricordare quei tempi. Devo dire che questo succede soprattutto agli uomini, sono loro ad esser rimasti più traumatizzati, mentre le donne sono più centrate, pensano più al pratico e al presente.
L’io narrante del romanzo vive un’estate di grandi libertà e forti passioni, ma anche di scelte difficili. Quanto di personale c’è in questa storia?
Tutto, direi, nel senso che le sue gioie e le sue conquiste sono state le mie, i suoi problemi e i suoi disagi sono stati i miei. Anch’io verso i diciott’anni, dopo aver vissuto per tanto tempo nel limbo della prudenza, dei doveri e del vorrei ma non posso, ho cercato una mia esplosione e l’ho trovata, ho dovuto trovarla, era questione di vita o di morte. Ho finalmente conosciuto delle ragazze, sempre di più, ho superato le mie più difficili barriere. La mia esistenza in breve si è ribaltata ed ha cominciato a riuscirmi tutto, anche quello che prima sembrava impossibile. Mi sono pure trasformato fisicamente. Dal tappetto mingherlino che ero sempre stato, sono di colpo diventato alto, prestante, forzuto. E piacevo alle donne che mi piacevano. Nella mia squadra di calcio, da debole comprimario senza un posto da titolare, ero divenuto un temuto centravanti dal gol facile, sempre presente nelle classifiche marcatori scritte sui giornali. Mi districavo così fra notti in discoteca, belle ragazze che frequentavo, allenamenti con la squadra di calcio e gol in rovesciata nelle partite della domenica. All’improvviso ero all’apice su tutti i fronti, sfioravo la perfezione. In quel periodo ho anche incontrato l’amore, spuntato di forza come un fiore puro che si apre un varco fra rocce, nonostante lei e io cercassimo di frenarlo. E ne è nata una passione che strappava anima e corpo. Ma proprio allora, disdetta delle disdette, dovevo studiare, dare gli esami per trovarmi un lavoro, mettere uno sull’altro i mattoni del mio futuro, sapendo quanto fosse importante farlo. Non è facile, con la tua ragazza in minigonna che ti aspetta in una casa tutta vuota, con gli amici che ti vengono a prendere per devastare la notte, stare ore ed ore in casa a studiare. E infatti spesso non ci stavo. E infatti il conto arrivò.
Il tuo libro alterna momenti di leggerezza e ironia a riflessioni più profonde. Come sei riuscito a trovare questo equilibrio narrativo?
Essendo semplicemente come sono. Io sono così. Non c’era nessun equilibrio da trovare. Bastava tirassi fuori quello che avevo dentro, né più né meno. Quando sono con un gruppo di conoscenti rido e scherzo molto. In mezzo alla gente sono allegro, mi piace scovare i paradossi e metterli in evidenza, magari raccontarli e riderci sopra. Faccio spesso domande agli amici su cosa farebbero nelle situazioni più assurde, inventate, e loro, che ormai mi sopportano rassegnati, si divertono a rispondere e ad ascoltare le risposte degli altri. Mi piace analizzare il malvagio di periferia, il tiranno sul lavoro, e farne la caricatura mettendone a nudo le debolezze di fronte ai più deboli. Mi piace capire quali siano le molle, quasi sempre scatenate da carenze o squilibri, che li spingono a comportarsi male e spiegarle, sempre ridendoci sopra, a chi li subisce da una vita. Mi piace, con aneddoti e battute, fare giustizia e fornire un riscatto. Il mondo è vario, si vedono ovunque soggetti allucinanti e vicende spassose, c’è molto su cui divertirsi e ridere, basta guardarsi intorno. E io VOGLIO RIDERE, CERCO DI RIDERE, MI FA STARE BENE. Quando sono in compagnia mi salvo così, tirando sfilze di cazzate, dai pallosissimi discorsi sul cellulare nuovo e la ristrutturazione della casa. Sembrerà incredibile, ma dentro di me per contro ho sempre avuto un grande senso di tristezza, di dolore. Non riesco ad accettare la transitorietà della vita, il fatto che tutto debba finire, i disastri che provoca il tempo sulle persone alle quali voglio bene. Non ce la faccio. Se fossimo eterni, seppur con gli innumerevoli problemi e difetti che abbiamo, sarebbe tutto diverso, perché la vita ha le sue crudeltà ma è bellissima da vivere. E poi sono sempre stato profondamente insicuro, ho sempre avuto i miei complessi, quando l’uno quando l’altro, e vissuto con addosso la sensazione che gli altri fossero migliori di me. Perfino quelli duri come le pine verdi, che a guardarli e ragionarci un attimo ti viene anche da ridere, istintivamente li ritengo più capaci di me. È una sensazione profonda, radicata, incontrollabile, su cui ormai non posso fare niente. E quindi sono così, allegro e frizzante in mezzo alla gente, inquieto e pensieroso quando sono solo. Lo sono sempre stato. Quando andavo a scuola, in classe ridevo di continuo con i compagni, arrivavo a casa col mal di pancia e dopo avevo bisogno di un’oretta di stacco, di solitudine, di silenzio, in cui mi tornava addosso la realtà dei miei disagi.
Marta e Lorenzo sono personaggi chiave nel romanzo. Come sono nati?
Come tutti i personaggi del libro, Marta e Lorenzo sono ispirati a persone esistite veramente. Marta è la fusione, la sintesi, di due ragazze che ho conosciuto. Come personalità, atteggiamento ed intelligenza lei è una mia ex che poi negli anni è diventata mia amica. Come passione amorosa ed attrazione sotto le coperte, invece, è un’altra mia ex, mentalmente meno complessa ma con pulsioni fisiche incontenibili. Bastava pensare a loro, mentre scrivevo, pensare a quello che avrebbero detto, a come si sarebbero mosse, e le pagine del libro venivano da sole. Lorenzo è la sintesi di due miei amici del passato, entrambi a loro modo molto timidi. La sua versione più chiusa, bloccata, spaventata da qualsiasi cosa, corrisponde ad un amico col quale ho passato davvero due o tre estati memorabili, che girava davvero con una FIAT 127 tutta incerottata. La sua versione più coraggiosa, quella che trova la forza di andare a conoscere le ragazze, che balla scatenato sulla pista in discoteca, che nel racconto Vieste e Niente Più prende in mano la situazione al campeggio, corrisponde ad un amico col quale ho frequentato scuole elementari, medie e superiori. Anche qui, scrivendo, bastava immaginare loro al posto di Lorenzo (ma, come si può capire, loro erano Lorenzo) e le storie venivano da sole.
Quali sono le emozioni o i messaggi che speri di lasciare ai lettori di Ha ragione il mare?
Il romanzo non si propone di lasciare messaggi, ma se volesse lasciarne uno forse sarebbe proprio quello contenuto nel titolo: Ha Ragione il Mare. Ha Ragione il Mare significa che, se hai dei problemi, se stai male, se sei disperato, a volte non devi lambiccarti il cervello con tante congetture, cercare soluzioni epocali, affannarti in mille manovre. Devi solo fermarti, sederti davanti al mare e abbandonarti al flusso naturale delle cose. Il mare è l’immagine più potente della natura e di fronte a lui puoi tornare a sentirti quello che semplicemente sei, cioè un piccolo uomo che fa parte di quella natura e dentro di lei può ritrovare il suo posto, il suo equilibrio. Niente delle faccenduole dei piccoli uomini, in fondo, è così tragico davanti al mare, e forse lui sa meglio di te in quale direzione devi andare. Se gli dai retta, se lo ascolti, non è che di colpo si risolva tutto, ma intanto le tue faccende si fanno più semplici. Davanti al mare, mentre siedi su un tronco d’albero consumato e ti fai cullare dalle onde, tutte le tue paure, le tue ossessioni, le tue crisi diventano più leggere. I tuoi mostri si affievoliscono. Tutto si ridimensiona, davanti al mare. E quando alla fine ti alzi e te ne vai stai meglio. Io sono un grande fan del mare. Nessuno può suicidarsi davanti al mare, su una bella spiaggia ariosa, perché niente, lì, appare più così grave. Riguardo le emozioni che può dare Ha Ragione il Mare, secondo me ci sono varie generazioni che possono divertirsi a leggerlo. Una è la mia generazione, cioè quella che ha vissuto davvero gli anni Ottanta, che si potrà identificare con i personaggi del romanzo, sentire di nuovo i sapori di quel tempo e tornare per qualche giorno dentro quella magia. Ivi compresi, ovviamente, tutti quei traumatizzati dagli anni Ottanta dei quali parlavo prima, che troveranno nel libro una sorta di appendice, di prosecuzione di quel loro mondo ideale. E si ammazzeranno di nostalgia. Un’altra generazione che può dilettarsi col libro è quella dei ragazzi di adesso. Sì, perché i primi amori, la scoperta del sesso, i meccanismi di relazione, le insicurezze di chi sta crescendo, le grandi battaglie che pian piano uno riesce a vincere, sono temi universali, che riguardano tutti a prescindere dai tempi e dalle tendenze. E poi penso che per i ragazzi di adesso il mio libro possa essere utile, fornire qualche spunto, farli pensare. Noi negli anni Ottanta non è che passassimo dieci ore al giorno a spippolare sul cellulare o sul PC come loro. Non dico che fosse meglio o fosse peggio, non entro nel merito. Ma in definitiva tutte le cose più sublimi della vita – il sesso, il corpo di chi ami, il buon cibo, un bel bagno al mare, una partita di pallone o di qualsiasi altro sport – non è che li trovi dentro il computer, e se ce li trovi in ogni caso sono finti, perché non sei tu che agisci. Noi allora nel tempo libero stavamo sempre a zonzo, per strada, al mare, in un locale. E se fossimo stati in una casa saremmo stati con qualcuno, non dentro un programma informatico. Le ore nette della giornata in cui si poteva combinare qualcosa di sublime erano smisuratamente maggiori, anche se molte le buttavamo via per errori e paranoie varie. Era anche una questione matematica, voglio dire. C’è poi una terza generazione, a mio avviso, che può entrare in sintonia col libro: quella degli ottanta-novantenni. Perché? Perché, quando la signora siciliana che mi abita vicino mi ha informato che voleva acquistare il volume e mi sono preoccupato di avvertirla che conteneva pagine di sesso trattato in modo molto esplicito, cioè pagine che potevano scandalizzarla, lei mi ha guardato dall’alto in basso, mi ha piantato gli occhi negli occhi e mi ha detto in uno pseudodialetto siculo “Haju ottant’anni, haju già vissuto quattru viti, che mi po’ spaventari a mia?!!!” Non mi sono più azzardato a fermarla.
Grazie, Alessandro, per averci portato nel mondo di Ha ragione il mare, un romanzo che, tra risate, emozioni e nostalgia, ci fa riscoprire il valore del cambiamento e delle scelte. Auguriamo al tuo libro il successo che merita e invitiamo i nostri lettori a lasciarsi trasportare da questa storia spumeggiante e piena di vita. Alla prossima avventura letteraria!
