GRUPPO ALBATROS IL FILO PRESENTA: La Madre – Alfonsina Rossi Brunori

Oggi abbiamo il piacere di conversare con Alfonsina Rossi Brunori, autrice del romanzo La Madre. Questo libro, intenso e profondo, esplora le molteplici sfaccettature della maternità, un tema universale trattato con rara lucidità e sensibilità. Attraverso le vicende di Eva, Stefania, Anita e altri personaggi femminili, Alfonsina ci guida in un viaggio emozionale che svela come il contesto sociale, le relazioni interpersonali e le aspettative culturali plasmino il rapporto delle donne con la maternità. Un racconto al femminile, con una coralità che invita il lettore a riflettere su temi di grande attualità. Scopriamo di più su quest’opera e sulla visione dell’autrice.

La Madre affronta il tema della maternità in modo estremamente complesso e realistico. Cosa ti ha ispirata a scrivere questo romanzo?

L’ispirazione che ha dato vita al romanzo “La madre” nasce dalla mia, personale, esperienza di maternità. Ho avuto una figlia a quasi quarant’anni e, nonostante la piccola sia stata voluta e cercata, ho potuto provare sulla mia pelle quanto i retaggi culturali sull’essere ancora fermamente radicati nel sociale, mi abbiano dapprima condizionata e, successivamente, fatta sentire inadeguata e sola. La mia è stata una vicenda complessa, già a partire dalla fase gestazionale e questo mi ha indotto, col senno di poi a scrivere sull’argomento, affinché non continui a persistere l’idea generalizzata che divenire madri equivale ad essere unti dal Signore, che madre è bello, è uno stato di grazia, e che solo diventando madre una donna può dirsi completa. A volte è così…ma non sempre. Ed è a questo “non sempre” che ho voluto dar voce perché, nel 2025, le donne hanno ancora vergogna di esprimere le loro debolezze nei riguardi di un fenomeno che, al contrario, dovrebbe investirle in modo del tutto naturale. Abbiamo paura di essere giudicate: la donna del nuovo secolo, professionalmente affermata, colei che ha raccolto l’eredità delle lotte per l’emancipazione femminile, la parità dei sessi, la libertà sessuale, teme il giudizio altrui alla stregua delle proprie antenate di più di un secolo fa.

I personaggi principali, Eva, Stefania e Anita, vivono esperienze molto diverse legate alla maternità. Come hai costruito le loro storie e quali aspetti della loro psicologia volevi mettere in evidenza?

Al fine di comunicare il mio messaggio nel modo meno “pesante” possibile, ho scelto la forma del romanzo. Il testo, dotato di un dinamismo proprio che lo rende particolarmente scorrevole, è altrettanto ed originale perché può essere letto in ben due modi: privilegiando l’intreccio da me concepito e vertente sull’intersezione delle vicende delle tre protagoniste tutte appartenenti allo stesso nucleo familiare, ognuna avente le proprie peculiarità condizionate dal contesto storico sociale di riferimento; oppure leggere ciascuna delle tre donne tutte d’un fiato. Quando ho scelto di scrivere di Eva, Stefania ed Anita ho pensato ad articolare le loro storie come fossero oggetto di una sceneggiatura. Pertanto, dopo avere studiato, o se vogliamo “ristudiato” e fatto ricerche sui periodi storici di riferimento, ho tentato di descrivere la storia del singolo la cui psiche ed il cui modus vivendi impatta e subisce l’impatto a sua volta del contesto in cui la sua esperienza si dipana. Eva è una donna che vive a ridosso dell’inizio della Seconda guerra mondiale, nel pieno del regime fascista, in un piccolo paese di montagna, è una vera e propria matriarca, forte e volitiva, come tante ne esistevano all’epoca che, tuttavia, deve per convenzione sociale deve assoggettarsi al pensiero profondamente maschilista, esacerbato dal fatto che la donna vive in un microcosmo in cui invidie e maldicenze la fanno da padrone. Eva si assoggetta ma non subisce, nel senso che prende naturalmente atto del suo status di fattrice, destinata al duro lavoro dentro e fuori le mura domestiche. Non è una sprovveduta, anzi, è a dotata di un’intelligenza “razionale” per cui se tutto va in una certa direzione non conviene né a lei né alla sua famiglia, al centro delle sue preoccupazioni, opporsi ad un certo trend. In questo a mio avviso è il personaggio più forte dell’intero romanzo: non ha turbe, non lotta contro i mulini a vento, affronta la maternità in modo pratico, senza opporvisi traumaticamente ma assecondandola come gli altri si aspettano che lei faccia. Stefania è una sognatrice. Vive e partecipa alle rivoluzioni sociali del ’68 e lo fa in modo fortemente ideologico. Infatti, crede nella lotta per l’acquisizione dei diritti così come crede che facendosene parte attiva l’obiettivo sarà raggiunto in modo celere e completo: perché solo se si è tutti uniti si può arrivare a meta. Nonostante il suo impegno sul campo, Stefania, afflitta da quell’ingenuità tipica di ogni adolescente non ha la piena consapevolezza che certi processi progressisti necessitano di un certo tempo per essere digeriti, non solo dal contesto in cui ella vive la sua esperienza ma da lei stessa in primis. Messa di fronte a certe evidenze non sarà in grado di tradurre nei fatti le proprie convinzioni e questo costituirà per lei un punto di non ritorno dal punto di vista psicologico. Anita, figlia di Stefania e del suo disagio, si trova a combattere non solo contro i danni che quest’ultimo ha prodotto nella sua formazione come donna, ma contro una società che riconosce l’evoluzione femminile ma la interpreta solo sulla carta. Per lei, ultraquarantenne professionalmente affermata, abituata a dedicare a se stessa la totalità del tempo, l’idea di non mettere al mondo un figlio potrebbe essere un’ipotesi percorribile se solo non dovesse scontrarsi con quelli che (e sono ancora oggi la maggior parte) intendono la maternità una tappa obbligata per una donna che solo mettendo al mondo un figlio può dirsi “più donna”. Anita rappresenta in pieno la donna di oggi, divisa tra famiglia e lavoro, una scheggia impazzita alla costante rincorsa di obiettivi sovente inarrivabili, un “limite che tende all’infinito”, perennemente insoddisfatta ed insicura nonostante le millantate convinzioni.

Il contesto sociale gioca un ruolo fondamentale nel plasmare le esperienze delle protagoniste. In che modo credi che le pressioni culturali abbiano influenzato la percezione della maternità nel corso del tempo?

Penso di aver già risposto, in parte, a questa domanda. Se nel 1938 la maternità rappresentava un’esperienza naturalmente dovuta e, dunque, vissuta in modo passivo anche se non inconsapevole, negli anni ’70 ed ancor più nei 2000, l’idea del divenire madre ha subito un’evoluzione legata al cambiamento della concezione e del ruolo della donna nel sociale: ella non è più, o non dovrebbe più, essere angelo del focolare, ma soggetto attivo nel mondo e nel mercato del lavoro, nel pieno diritto di ricoprire ruoli di vertice alla stregua dei colleghi uomini, libera di scegliere come, dove e con chi impiegare il suo tempo. In realtà, ci accorgeremo che, nonostante le conquiste, nonostante i diritti acquisiti, l’ambizioso obiettivo testé descritto è lungi dall’essere raggiunto e, la donna sessantottina in nuce così come quella del nuovo millennio più palesemente, non riesce a tradurre in fatti ed azioni quanto ottenuto sulla carta. La sensazione che abbiamo è che l’evoluzione emotiva ed interiore che la donna ha vissuto nell’arco di settant’anni, grazie anche alla maggior libertà ed alle maggiori prerogative attinte nel tempo, non sia andata di pari passo con l’evoluzione dell’idea che la società ha della donna. In barba a tutte le battaglie per l’emancipazione, di fatto è ancora persistente un’idea di donna strettamente legata al ruolo di madre, vige ancora il pregiudizio, difficile da eradicare, secondo il quale una donna è completa solo se diventa madre, perché solo attraverso la maternità può raggiungere uno stato di grazia tale da renderla felice ed appagata.

La coralità del racconto e la presenza di molte figure femminili sono elementi chiave del tuo romanzo. Qual è il ruolo di questa costellazione di personaggi e cosa rappresentano nel viaggio emotivo delle protagoniste?

Nel mio romanzo ho voluto racchiudere tutte le donne che ho incontrato o con le quali mi sono scontrata negli anni: “La madre” contiene un pezzettino di ciascuna di loro e anche qualcosa di me, intendo sia in assoluto che nel mio rapporto con chi appartiene al mio stesso genere. Sostengo da sempre che la solidarietà femminile sarebbe una grande risorsa se solo sapessimo come fare ad ottenerla, così come, d’altro canto, penso che, sebbene l’assenza di coesione tra donne sia sovente un bell’autogol, essa possa in alcuni casi stimolare il meglio di noi. Ecco, la coralità del racconto declinata quasi totalmente al femminile vuole porre l’accento proprio su questo duplice e contrastante aspetto: una donna riesce ad esprimersi completamente se può specchiarsi nel suo alter ego, traendo dalla complicità o dal contrasto il giusto insegnamento, nonché il motivo per andare avanti. Solo il confronto, sia con chi la pensa come noi che con chi la pensa in maniera del tutto opposta gestendo le nostre stesse esperienze o partecipando alle nostre vicende, ci induce all’elaborazione, allo sviluppo di senso critico, alla valutazione di più prospettive, percorso necessario per approdare ad una decisione finale. Per Eva, Carola e Delia rappresentano l’esempio, ciò che lei non sarà mai ma cui ambisce, lo sprone a migliorare se stessa, l’incentivo all’emancipazione. Per Stefania, donna che vive la complessità di un’epoca di rottura, in cui le fratture generazionali soppiantano l’abnegazione e la muta obbedienza, la dicotomia tra l’impostazione tradizionale e bigotta della madre Angela e la modernità rappresentata dall’amica Emma rappresenta l’elemento fondante della costruzione di sé, la lotta intestina che è imprescindibile attraversare prima di approdare ad una scelta di vita. Infine, per Anita, la figura di zia Emma, la cui voce scuote le coscienze, si staglia su uno stuolo di coetanee disadattate che cercano di conciliare il loro essere ego riferite con l'”urgenza” di essere madri, così come la società ancora impone.

Il libro si apre con una prefazione di Silvia Scola. Come è nata questa collaborazione e quale significato attribuisci al suo contributo?

La collaborazione con la Sig.ra Scola è nata casualmente. La prefazione standard dedicata alla collana “Nuove Voci” di Albatros Il Filo, a firma di Barbara Alberti, mi sembrava fin troppo generica per introdurre un romanzo dal tema così profondo e anche così sentito. Pertanto, mi sono messa in moto e, per il tramite di conoscenze comuni, sono riuscita ad interfacciarmi con Silvia Scola. Una donna meravigliosa, nonché grandissima professionista, la quale, senza indugio alcuno, ha messo la sua competenza a servizio della mia opera in modo generoso e del tutto incondizionato. Con l’onesta intellettuale che la contraddistingue ha dato del mio romanzo una lettura lucida, attuale, appassionata, arricchendolo della sua prospettiva di donna, madre e lavoratrice indefessa. A lei va tutta la mia gratitudine.

Grazie, Alfonsina, per aver condiviso con noi il tuo percorso e i significati profondi racchiusi in La Madre. Questo romanzo offre un’occasione preziosa per riflettere su un tema così universale, ma al tempo stesso così intimo e personale. Invitiamo tutti i nostri lettori a immergersi in questo racconto intenso e coinvolgente. Siamo certi che le esperienze e le emozioni narrate sapranno toccare corde profonde e suscitare nuove consapevolezze.

Lascia un commento