Benvenuti sul blog del Gruppo Albatros, dove diamo voce agli autori che ci accompagnano con le loro opere straordinarie. Oggi abbiamo il piacere di ospitare Filippo Vincenzo Maiolo, autore del libro Due vite. Attraverso le vicende di due coppie e le loro storie intrecciate, questo romanzo ci invita a riflettere sull’amore, l’amicizia e il significato della vita. Con uno stile narrativo ricco di introspezione e una visione poetica della quotidianità, Maiolo esplora le connessioni profonde che legano le persone e il mistero che ci attende oltre il visibile. Scopriamo di più direttamente dalla voce dell’autore!
Due vite racconta una storia ricca di emozioni e riflessioni. Da dove nasce l’ispirazione per questo romanzo?
La mia idea di partenza era contestare la filosofia di fondo di Halloween: negare l’esistenza stessa della morte riducendo tutto ad un carnevale che esorcizzi la paura di morire. è l’esatto contrario della nostra cultura. Prima ancora dei Cristiani anche i Romani erano convinti che i morti fossero i numi tutelari del focolare. Dall’ al di là assistevano e proteggevano la casa. Una tradizione talmente radicata che una delle offese peggiori nel Napoletano è mandare la maledizione alla persona odiata e “a chi t’è muorto!”. Negare la morte vuol dire negare la vita, tant’è vero che qualche tempo fa un giovane è uscito di casa con un coltello e ha ucciso la prima persona che gli è capitata solo per vedere cosa succedeva, cosa si provava. Questa assurda violenza si spiega solo se si presuppone che la morte non è niente, non esiste. L’importanza della morte si riflette sulla vita: un “percorso” che può finire da un momento all’altro e che va vissuta come qualcosa di estremamente importante dando il giusto valore ad ogni momento e ad ogni azione. Secondo studi scientifici per un breve lasso di tempo prima e dopo la morte il cervello è particolarmente attivo, anche nella zona deputata alla memoria, sembra quindi certo che nel lasciare questa vita la persona ripercorra la sua esistenza: è quello che fa il protagonista consapevole che ogni sua azione, ogni suo “momento” sia stato importante e si rammarica del fatto che troppo spesso questo profondo significato del suo stesso agire gli sia sfuggito.
Il titolo suggerisce un parallelismo tra esistenze. Qual è il significato più profondo di questa “seconda vita” che esplori nel libro?
Il nostro maggior cruccio è che della (eventuale) seconda vita non sappiamo nulla, mentre sappiamo bene cosa ci è successo e ci succede in questa vita terrena. In realtà di quello che facciamo e di quello che ci accade intorno sappiamo e capiamo ben poco. Spesso i titoli dei giornali iniziano “La città si è svegliata sconvolta dalla tragedia che …”. Non è vero. Ciascuno di noi si è svegliato come tutti gli altri giorni preoccupato, o meno, per i “soliti” problemi familiari o di lavoro. Solo dopo aver guardato la TV o letto i giornali abbiamo un’idea della tragedia che comunque possiamo vivere solo mediata dai mezzi di comunicazione, soprattutto se accade a chilometri di distanza da noi. Dunque, la domanda di fondo del libro è “Quale vita stiamo vivendo? Quella che vediamo nella cucina di casa sorseggiando il caffè latte o quella descritta dalle immagini della televisione? Quanto le due realtà sono distanti? Quanto si intrecciano?” Lo sapremo solo dopo un tempo più o meno lungo in base alle conseguenze che quegli avvenimenti avranno provocato nella nostra esistenza. Non solo, anche nei quotidiani rapporti interpersonali le sensazioni che proviamo, le vicende che ci coinvolgono sono sicuramente vissute differentemente da me e dagli “altri” che con me interagiscono. Sono “realtà” diverse ugualmente vere e false.
Le dinamiche tra le due coppie protagoniste sono particolarmente vivide e autentiche. Quanto c’è di autobiografico nei personaggi e nelle loro esperienze?
Nulla. Già in molti mi hanno fatto questa domanda e questo per me è un grande complimento. Non a caso le descrizioni più particolareggiate si riferiscono a elementi di nessuna importanza. Per esempio, la precisazione, quasi ossessiva, delle date, con addirittura la precisazione del giorno della settimana. Le digressioni “banali” come la descrizione di un’ottima parmigiana. Sono elementi che condiscono la vita di tutti i giorni, sono stati lo strumento che ho utilizzato per rendere credibili, “concrete”, situazioni inventate di sana pianta. Come i riti Aztechi della goliardia vissuta dai protagonisti: anche se di pura fantasia risultano, mi pare, assolutamente credibili. Le prime pagine risalgono al 2020. Non è stato scritto di getto è stato rielaborato e continuamente rivisto sulla base di ricordi, emozioni, letture, informazioni rimaneggiati e curvati sul tema di fondo. Il momento nel quale Luca si riconcilia con Silvia è di grande intensità. Volevo descrivere la rabbia per il tradimento subìto e l’amore profondo rimasto latente ed inalterato. Qualcosa che io non ho mai provato, così mi sono ispirato ad Ovidio enfatizzando la situazione in funzione della dualità alla base del libro: l’amore e la rabbia (trasformata strumentalmente in odio) dovevano ribadire la doppia realtà che ciascuno di noi vive quotidianamente. Anche la notte di passione fra Luca e Sharon è totalmente di fantasia: non ho fatto mai l’esperienza del campeggio con amici e men che meno la conquista di belle inglesine. Mi sono ispirato al terzo atto della Tosca. Cavaradossi è “fremente”, Tosca dalle “belle forme” “entrava … fragrante”, “cadea tra le braccia” in tutto fra “dolci baci, languide carezza”, mentre fuori “olezzava il terreno” e “lucevan le stelle”. Forse ho “copiato” … anche troppo! Potrei continuare all’infinito: non ho mai dialogato con le stelle, né con la luna, né con un barbone. Non ho mai vissuto la goliardia (era già stata definitivamente accantonata), né il tradimento. Come dico nella premessa ho scritto una favola per condividere con chi la vorrà leggere emozioni e pensieri.
Attraverso i ricordi e le riflessioni, il romanzo indaga temi come il tempo, la memoria e la morte. Come hai affrontato queste tematiche così universali e intime nella scrittura?
Le riflessioni contenute nel libro sono il vero elemento autobiografico. C’è molto del mio modo di pensare. Sul tempo che scorre, che non dà scampo, ma che è qualcosa che non esiste. Dobbiamo pensare a un fenomeno che si ripete uguale a se stesso per definire il tempo. Se non ci fosse il sole che sorge, p. es., cosa sarebbe il tempo? Cosa è importante: che siano passati i mesi e gli anni o che io abbia conosciuto tanti amici, abbia avuto tante esperienze, abbia potuto dare e ricevere amore? Anche la morte non sappiamo cosa sia, come la vita. Nessuno ancora sa dire cosa vuol dire vivere. A maggior ragione, forse, come si fa a dire cosa vuol dire morire? Per chi crede c’è la fede e non a caso nel libro c’è la citazione della famosa digressione di S. Agostino. Anche le stelle, sempre presenti nel racconto, nascono, vivono e muoiono: è un problema? La stella di Luca (Antares) ci dice di no. Perché dovrebbe esserlo per gli uomini? Molti si affannano a sostenere o negare l’esistenza dell’anima … e la mente? Qualcuno ha mai saputo dire che cosa è la mente di una persona? La mente che produce pensieri, ricordi, emozioni, che cosa è? Come è arrivata in noi? Dove andrà dopo la morte? Solo ciò che è nella mente di qualcuno può diventare un palazzo, una chiesa, un libro, una musica, un quadro. Quella mente diventerà nulla? Di certo le molecole che compongono il corpo torneranno in circolo a formare altri organismi, ma le menti? Che fine faranno?
C’è un messaggio che speri rimanga nei cuori dei lettori una volta chiuso il libro?
Nel libro si parla di morte per esaltare la vita: qualcosa che abbiamo ricevuto e che dovremo “restituire”. È un “passaggio” naturale, del quale non c’è da aver paura e che acquista il vero significato in base a quanto noi vorremo dare con il nostro vivere positivamente. Il che vuol dire intrecciare la nostra esistenza con quella di altri in modo che ciascuno e soprattutto quelli che verranno dopo di noi ne possano trarre beneficio. Mi piacerebbe che ci si fermasse a riflettere di più sulle vicende quotidiane, di importanza “trascurabile” ma che sono l’essenza della vita. Soprattutto i piccoli gesti di affetto, solidarietà, amicizia che passano via come un soffio di vento, come se non esistessero nemmeno. Un’ultima speranza: che nella consapevolezza che non saremo in grado di conoscere la realtà, ciascuno possa sforzarsi di comprendere quello che accade intorno e soprattutto comprendere e solidarizzare con coloro che ci sono vicini. Oggi più che mai, suggestionati dai grandi problemi del mondo, trascuriamo chi ci è vicino. Se poi ci propone problemi, perché povero o vecchio o malato, tendiamo a metterlo da parte perché la nostra attenzione, le nostre energie devono essere dedicate ai grandi problemi del mondo: la fame, la pace, l’ambiente. Così facendo gratifichiamo il nostro ego e ci neghiamo ad amici, parenti e vicini che hanno bisogno di noi.
Grazie, Filippo Vincenzo Maiolo, per aver condiviso con noi il viaggio che ti ha portato a scrivere Due vite. La tua opera invita a una profonda riflessione sull’essenza della vita e sui legami che la rendono unica. Auguriamo al libro e ai lettori un cammino intenso e arricchente, proprio come le storie che hai raccontato. Continuate a seguirci sul blog del Gruppo Albatros per scoprire altri autori e opere straordinarie!
