GRUPPO ALBATROS IL FILO PRESENTA: Mutande bucate. La mia infanzia contro la schizofrenia di mia mamma – Letizia Brunetti

Crescere accanto a una madre affetta da una grave forma di schizofrenia non è una sfida che molti possono immaginare di affrontare, ma Letizia Brunetti l’ha vissuta e superata con coraggio e determinazione. Nel suo libro “Mutande bucate. La mia infanzia contro la schizofrenia di mia mamma”, racconta senza filtri il dolore, le difficoltà e il lungo percorso verso la guarigione interiore. È una testimonianza potente che, con grande autenticità, illumina un tema spesso circondato da stigma e silenzio. Oggi, con serenità e speranza, Letizia condivide con noi il suo viaggio, dimostrando che la rinascita è possibile, anche dopo le tempeste più oscure.

Il titolo del tuo libro, “Mutande bucate”, è molto evocativo. Qual è il significato dietro questa scelta e come rappresenta la tua esperienza? 

Ho scelto questo titolo per diversi motivi. Il primo perché le mutande sono quel capo intimo che non è in bella vista come un maglione o un paio di pantaloni. Rimane nascosto finché non si sceglie di farlo vedere, un po’ come quando si tratta di parlare con gli altri di quanto accade tra le quattro mura di casa. Il secondo è perché, in casa mia, in mezzo a tutto il caos creato dalla malattia di mia madre, le mutande bucate erano diventate un emblema delle nostre difficoltà familiari. Infatti, ne trovavo sempre a bizzeffe in fondo al cesto della roba sporca. Cesto che col tempo andava sempre più a riempirsi fino all’orlo, come le nostre fatiche dentro di noi. interiori

Racconti di una rinascita dopo anni di dolore e fatica. Quali sono stati i momenti chiave che ti hanno permesso di ritrovare la forza per andare avanti? 

I momenti chiave sono sicuramente stati i seguenti:
– avere un babbo coraggioso che ha chiesto aiuto per tutti noi
– il ricevere il prezioso aiuto dell’assistenza sociale.
Tutto ciò mi ha permesso di capire che è possibile farcela, nonostante tutte le difficoltà del caso. Alla fine, è la solitudine che ci indebolisce, no? (Questa domanda ti direi o di riformularla o di toglierla, apre troppe porte a mio parere).

La schizofrenia di tua madre ha segnato profondamente la tua infanzia e adolescenza. Come hai vissuto il rapporto con i tuoi coetanei e il senso di “normalità”? 

Come spesso si dice, normale è relativo. Infatti, per me era normale avere la schizofrenia in casa, per quanto paradossale possa sembrare. Non significa che la vivevo bene, anzi significa che da sola ci sarei annegata, proprio perché non sarei riuscita a distinguere la mia ‘normalità’ da altre possibili ‘normalità’. Per quanto riguarda il rapporto con i miei coetanei, devo ammettere che mi sono sempre sentita più ‘vissuta’ dei miei pari. Nel bene e nel male. Ovviamente non in senso altezzoso come a darmi della persona che ne sa molto di più degli altri. Bensì, nel senso che non riuscivo a dedicarmi a ciò che era superfluo. Infatti, per tanto tempo ho avuto difficoltà ad integrarmi col gruppo classe, anche solo nelle chiacchierate tipicamente adolescenziali sul più e sul meno. Cosa che mi riusciva tremendamente difficile. O si parlava di temi profondi o non riuscivo ad approcciarmi con gli altri. E spesso le tematiche che portavo erano collegate a storie di sofferenza sociale o simili, argomenti che non erano molto apprezzati ai tempi. Oggi invece riesco felicemente ad affrontare anche il superfluo, con mia somma soddisfazione.

Scrivere questo libro è stato terapeutico per te? C’è stato un episodio specifico durante la stesura che ti ha aiutata a comprendere o accettare meglio il tuo passato? 

Scrivere il libro è stato sicuramente la classica chiusura di un capitolo di vita. O quanto meno, così spero. Con la malattia mentale è sempre meglio restare un po’ guardinghi. Più che altro, ho trovato molto catartico il buttare di getto il mio vissuto sul computer per poi rielaborarlo in frasi di senso compiuto. Mi ha fatto realizzare che quel che ho passato io lo può passare chiunque, perché la malattia mentale non ha preferenze. Per questo ho scelto di parlare e pubblicare della mia storia. Una storia in cui, tutto sommato, credo di esserne uscita più che dignitosamente grazie al sostegno che ho ricevuto.

Quale messaggio vorresti lasciare a chi vive situazioni simili alla tua, magari sentendosi solo e sopraffatto dalle difficoltà? 

Vorrei che chiunque avesse accesso ad una rete di supporto di cui potersi fidare. Ognuno ha i suoi problemi e difficoltà, ma assieme si è più forti. Solo sviluppando un maggiore senso di comunità si può far fronte a problematiche come la malattia mentale. Per questo spero che si sviluppino tutti i servizi territoriali che si occupano di prevenzione della diffusione del disagio sociale.

Grazie, Letizia, per aver condiviso con noi la tua storia e la tua forza. Il tuo libro non è solo un racconto personale, ma un faro per chi affronta sfide simili. Siamo certi che la tua testimonianza possa ispirare molte persone a non arrendersi mai, anche di fronte alle avversità più grandi. Auguriamo al tuo libro il successo che merita e a te, sempre, tanta gioia e serenità per il futuro.

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