GRUPPO ALBATROS IL FILO PRESENTA: La navata – Daniela Segnana

Oggi abbiamo il piacere di conversare con Daniela Segnana, autrice de “La navata”, un romanzo che esplora i meandri dell’animo umano attraverso una trama intricata e avvincente. La protagonista, Barbra, è una giornalista di Phoenix che si trova immersa in un momento di profonda riflessione e cambiamento personale. Con il suo stile avvolgente e personaggi complessi, Daniela ci porta in un mondo dove i confini tra bene e male si fanno sfumati, immergendoci in un crescendo di tensione. Scopriamo insieme i retroscena e le ispirazioni dietro a questa affascinante opera.

“La navata” è un romanzo corale con una varietà di personaggi che ruotano intorno a Barbra. Come è nata l’idea di costruire una storia con una tale pluralità di voci?

Nelle fasi iniziali di costruzione della storia (fasi che sono durate in realtà molti anni perché questa trama si è costruita nel tempo nella mia mente, scrivendola senza scrivere) i personaggi che la popolavano erano pochi: Barbra l’inconsapevole che dà il via allo svelamento di tutti i segreti, la Bestia ovvero il male senza giustificazioni, Donny colui che passa dal guardare al fare seguendo una linea inderogabilmente dritta, Brianna la rappresentazione del dolore che diventa rabbia e vendetta, Martha l’assente fin troppo presente. Però poi mi sono lasciata trascinare dal mio interesse profondo per le infinite possibilità dell’umano e dalla magnifica questione dell’unicità di ogni persona. Quindi ho introdotto tanti personaggi. Alcuni, come Ewart, Trevor, Violet, Deborah, li conosceremo tra le pagine in modo accurato, altri invece, come Angie, Roger, Luis, saranno semplicemente un abbozzo, l’analisi di uno stato d’animo o di un tratto caratteriale. L’intento è stato quello di dare ritmo alla storia ma, soprattutto, per indagare un po’ di più la complessità delle esistenze e dei pensieri che le sorreggono. Ogni giorno mi ritrovo con tantissime domande e riflessioni sui perché e come della vita, ed è solo la mia. L’osservazione dell’umano ci consente una moltiplicazione all’infinito. Proprio per questo, nella limitatezza dello spazio di un libro, ho cercato di inserire molte voci. Da ultimo ho voluto far lavorare il lettore perché, diciamocelo, tenersi a mente chi è chi e chi fa cosa è un bell’impegno. Penso che i lettori, appassionati del genere, vogliano sentirsi ingaggiati dalla storia, cerchino la complessità e la possibilità di svelarla.

Barbra è una giornalista in crisi personale e professionale. Quanto di lei riflette esperienze o emozioni vissute da te, e quanto invece è pura finzione?

Fortunatamente, trattandosi di un romanzo che tratta di tragedie, efferatezze e dolore, non è minimamente autobiografico. Certamente però la traccia della mia esperienza di vita non può non esserci in qualche aspetto di personaggi e situazioni. Per quanto riguarda i periodi di crisi, con il tumulto delle emozioni che li accompagnano, non sono mancati in questi miei primi 54 anni di vita. In particolare, l’aspetto della crisi professionale ha contraddistinto la mia vita un po’ di anni fa. Svolgevo la stessa professione, nello stesso ambiente da 25 anni. Un lavoro di cui sono veramente grata perché mi ha consentito di vivere agiatamente e di imparare molto sia sotto il profilo della competenza e dell’assunzione di responsabilità che dal punto di vista umano. Ho incontrato, conosciuto, “scontrato” tantissima gente e ho acquisito strategie per essere una buona amica ma anche per stare in piedi contro vento. Inoltre, mi è stato comunque possibile seguire le mie passioni, soprattutto lo studio, che mi ha portato, in età matura, alla laurea magistrale in filosofia e all’approfondimento del coaching e delle tecniche di comunicazione. Non avevo messo in discussione il mio lavoro prima, ma ad un certo punto ho sentito frustrazione, assenza di senso ed entusiasmo per quell’attività. Ci ho convissuto per un bel periodo cercando di sfuggire allo stato d’animo pesante, ma poi ho trovato il coraggio di cambiare. Oggi, pur presa da tante attività diverse, mi sento nella condizione ben definita dalla frase: sto decidendo cosa fare da grande e ne sono soddisfatta. Tutta questa chiacchierata per dire che il vissuto emotivo di Barbra racconta anche qualcosa della mia storia. E poi si porta a spasso il mio libro di Pascal!

Nel romanzo, il concetto di bene e male è trattato in modo sfumato. Come hai affrontato questa complessità morale durante la scrittura?

C’è una frase tratta da I fratelli Karamazov, cui accenno anche nel romanzo, dove Ivan dice, parafrasando, Se Dio non esiste, allora tutto è possibile. Il concetto mi ha colpito subito nella lettura di quel capolavoro, mi torna in mente spesso e mi ha accompagnato, in forma rivista, anche nella stesura del romanzo. Non vuole essere una riflessione sul piano religioso, perché sulla scorta dello studio della filosofia e dei tanti modi di interrogarsi, la mia domanda si riformula via via in forme diverse: che cosa ci fa scegliere il bene o il male? Cosa sono il vero bene e il vero male? Quando il male può essere compreso? Il male può essere giustificato? Quando, come e perché? È il nostro essere persona, unica e irripetibile, che ci porta verso il bene o verso il male oppure sono le circostanze, la contingenza? Potrei andare avanti a lungo con questi punti di domanda e, malgrado lo studio e lo scrivere mi abbia portato nei labirinti più profondi e complessi del pensiero, non ho risposte. Non univoche comunque. A volte mi sembra di trovare una qualche verità che però poi sfuma guardando la vita di tutti i giorni, leggendo i giornali, sentendo il racconto delle notizie o, più banalmente, ad esempio leggendo il fiume di… non mi viene nemmeno la parola giusta… nei commenti sui social. La violenza mi sconvolge sempre. Mi pone l’interrogativo inquietante circa il fatto se, come specie, ci meritiamo veramente di sopravvivere. Poi incontro buone persone, vedo atti di grande generosità, vivo affetti, sperimento l’essere grata ed il ricevere gratitudine, tengo in braccio la mia nipotina, e così mi rincuoro pensando che ci sono motivi per ben sperare e, soprattutto, motivi per impegnarsi, anche con le nostre poche forze, in direzione del bene. Provare, magari fallire, ma riprovare ancora.

La trama si dipana in una crescente tensione e una serie di colpi di scena. Come hai gestito il ritmo narrativo per mantenere alta la suspense?

Devo confessare di essermi trovata inconsapevolmente trascinata dalla corrente delle possibilità che mi si aprivano davanti nello scrivere. Ad ogni tratto mi veniva in mente una cosa del tipo “potrebbe succedere anche questo” oppure “qui serve uno sguardo nuovo, un nuovo personaggio” e io, avendo tempo, mi sono lasciata condurre dalle possibili opzioni sperimentando vari orizzonti di modo, tempo e spazio. Il libro è stato scritto al computer però la sua stesura è stata accompagnata dall’annotazione sintetica, con penna blu su apposita agenda con pagine a righe, degli eventi del singolo capitolo relativi ad ogni personaggio. Ho realizzato anche una sorta di mappa dei personaggi e dei loro legami perché, dopo le prime cinquanta, sessanta pagine mi ritrovavo io stessa a chiedermi: questo chi è? Malgrado questi supporti, per non perdere il filo e tenere la giusta velocità di narrazione, come piace a me, ho cominciato la lettura da capo cento volte prima di iniziare un nuovo capitolo. Spero che il lettore provi proprio la sensazione di suspense e ritmo veloce, quella del vento nei capelli.

Il lockdown ti ha dato l’opportunità di scrivere “La navata”. Come ha influenzato la tua creatività e la tua scrittura questo periodo particolare di isolamento?

Ricordo che da ragazzina avevo visto in tv la serie “I sopravvissuti” e quella è stata, fino a marzo 2020, la mia idea di pandemia: una finzione cinematografica. Poi invece è diventata una realtà spaventosa che, se ci penso ora, riesco a visualizzare solo come un grande riflettore a luce fredda puntato sulle nostre fragilità. Ho avuto paura, soprattutto per i miei cari, e mi sono sentita molto sola. Isolata è proprio la parola corretta: come un’isola circondata da un oceano agitato, sconosciuto e temibile. Il recupero di un tempo totalmente libero, che non avevo mai sperimentato nella mia vita precedente perché presa da mille cose – famiglia, casa, lavoro, studio, socialità, viaggi… – è stato il mio lato positivo di questa situazione altrimenti raggelante, il darmi retta e prendermi cura del mio lato creativo. Ho guardato alla possibilità dello scrivere con gli occhi del coach (mia attuale attività tra le altre) ed ho trasformato un sogno datato di stringere il mio romanzo tra le mani in un obiettivo presente da raggiungere, lasciando spazio a quella bellissima e confortante qualità che è la fantasia. Quindi è iniziato il viaggio nella vita dei personaggi, nella trama e, visto che eravamo segregati in casa, anche un viaggio nel mondo geografico con Google Earth. Sono scesa nelle strade di Phoenix e sulle coste dell’Isola di Santa Lucia da vicino e a lungo, affascinata da quella possibilità di essere virtualmente dove non si è nella realtà spazio-temporale. In fondo posso dire, col dovuto rispetto di tutto ciò che è tragicamente stato, di aver goduto a pieno il tempo del lockdown e di averlo messo a frutto. Adesso aspetto di vedere dove porta questa strada.

Grazie, Daniela, per averci aperto una finestra sul mondo de “La navata” e sui temi profondi che esplora. Siamo sicuri che i lettori sapranno apprezzare la complessità dei tuoi personaggi e la tensione avvincente che attraversa la narrazione. Non vediamo l’ora di scoprire cosa ci riserverà il tuo prossimo progetto!

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