Benvenuti nel blog del Gruppo Albatros! Oggi abbiamo il piacere di intervistare Antonio Verderi, autore del thriller avvincente “Lo Scampolaio ovvero De Trinitate Homini”. Con una trama ricca di risvolti psicologici e un intreccio che tiene il lettore col fiato sospeso, il libro racconta la storia di un misterioso omicidio che sfida le capacità investigative del viceispettore Caniglia e della specialista Vanessa Cerbi. Scopriamo di più su questo intrigante romanzo e sull’autore che lo ha creato.
Antonio, il tuo libro inizia con una scena particolarmente inquietante: il corpo del duca Aleotti trovato dilaniato dai cani nella sua villa. Come è nata l’idea per questa scena iniziale?
La scena iniziale non è nata spontaneamente, come invece la trama dell’intero libro. È stata profondamente pensata. Avevo bisogno di una situazione che trasportasse immediatamente il lettore in un ben determinato mood emotivo e quindi tra vari possibili scenari ho scelto quello, ricordando alcune mie vicissitudini passate, legate al mio lavoro di incisore musicale e frequentatore di luoghi storici, idonei appunto a registrare musica acustica quali castelli, chiese, oratori, teatri. Purtroppo, più di così non posso dire perché ogni capitolo del libro contiene indizi fondamentali alla comprensione del mistero, celato e custodito gelosamente fino alle ultime pagine e rischierei quindi di anticipare la storia, togliendo al lettore il gusto enigmistico della scoperta, che appunto si dipana pagina per pagina.
Il viceispettore Caniglia e Vanessa Cerbi sono personaggi complessi e ben caratterizzati. Puoi raccontarci qualcosa di più sul loro sviluppo e su cosa ti ha ispirato nella loro creazione?
Il mio scritto è pieno di antieroi e, al contrario, di personaggi la cui positività si costruisce lentamente e faticosamente durante lo svolgersi della storia. Quello che viviamo tutti noi al giorno d’oggi non è certo un periodo storico in cui ricorrano frequentemente figure cavalleresche dall’immacolato mantello e pervase da una moralità cristallina. E ho voluto rappresentare proprio questo nel mio romanzo: ogni personaggio ha innate capacità e doti “positive” costruite in anni di vissuto, ma molto spesso le usa solo a proprio vantaggio. E, contraltare, alcune pecche psicopatologiche possono invece rappresentare una risorsa in certi accadimenti. Questa complessità emotiva è il fil rouge di tutti i personaggi principali che animano “Lo Scampolaio”, pervasi come sono da una tensione spasmodica a soddisfare il proprio ego che a volte sfocia nel male ma altre volte li conduce inaspettatamente agli antipodi. Da tutte queste considerazioni prende le mosse il sottotitolo in latinorum del romanzo: “De Trinitate Homini”. La traduzione è letteralmente “Sulla trinità (destinata) all’uomo”, usando “Homini” e non “Hominis” che avrebbe portato invece alla traduzione corretta, cioè “Sulla trinità dell’uomo”. Un po’ alla stregua del detto “Homo homini lupus” utilizzato da Plauto e da Hobbes. Con questo espediente personale e non corretto, in latino, voglio proprio significare che le tre istanze che, secondo me, governano l’agire umano (le scoprirete nel racconto, ovviamente) non sono un’azione attiva che ci rende assoluti protagonisti del nostro agire nel mondo, bensì un moto passivo cui dobbiamo sottostare perché a priori rispetto al nostro presunto libero arbitrio. Solo chi riesce a liberarsi da questi pressanti lacci emotivi riuscirà realmente a essere protagonista della propria storia. E tra Vittorio Caniglia e Vanessa Cerbi solo uno di loro ci riuscirà completamente, nonostante durante la storia potrebbe sembrare esattamente l’opposto. L’idea fondante per la creazione dei due personaggi è legata al mio vissuto e a individui realmente esistenti, ma mi sono reso conto con vero stupore durante il processo di scrittura che Vittorio e Vanessa sono più simili a me che a chiunque altro. In fin dei conti, come affermava Gustave Flaubert: “Madame Bovary c’est moi”.
Il romanzo è intriso di riferimenti esoterici e simbolici. Come hai effettuato le ricerche necessarie per integrare questi elementi nella trama?
È vero, vi sono molti riferimenti all’esoterismo e all’occulto, frutto di curiosità decennali e dell’ovvio sapore agrodolce che il mistero e gli studi escatologici hanno su chiunque di noi. In realtà sono riferimenti che reputo non così profondi: non volevo che questo aspetto fosse preponderante nella trama. Inoltre, alcune istanze sono pura invenzione, create come furono generati i miti filosofici: per Platone l’uso del mito era essenziale, ma non doveva essere preso per vero, bastava che fosse verosimile. Ovviamente nel mio scritto l’utilizzo di invenzioni misteriche verosimili non ha la funzione educativa tipica dei miti greci. Ma quella ammonitoria sì. Voglio però chiarire un aspetto che reputo fondamentale: in questa storia non compaiono entità soprannaturali che modificano a loro piacimento il racconto e nemmeno puerili espedienti psichiatrici (personalità multiple, gemelli scomparsi, rivelazioni dell’ultim’ora) volti a creare un inutile finale a sorpresa. Tutto quanto serve per la risoluzione dell’enigma è sul piatto, sin dall’inizio. E alla fine tutto verrà svelato.
“Lo Scampolaio” è un titolo molto evocativo. Puoi spiegare il suo significato e come si collega alla storia?
Nel 2004 ero direttore di produzione dell’allestimento di un’opera lirica in forma scenica di Vivaldi, “La Fida Ninfa”, che è stata poi rappresentata in vari teatri italiani. Ricoprire quel ruolo significava svolgere qualunque funzione, anche rispondere alle esigenze del regista e dello scenografo e recuperare materiale scenico, tra cui vari tipi di tessuti e stoffe. A Parma, vicino a dove abito, c’era un negozio specializzato in tessuti chiamato “Lo Scampolaio”. Mi ha subito incuriosito il nome, anche perché è un termine in vernacolo, nel senso che non esiste nell’italiano corrente. Esiste “scampolo” (avanzo di tessuto), ma non “scampolaio” (colui che tratta gli scampoli). Il significato che ha, pezzo, avanzo di tessuto, mi ha immediatamente riportato alla mente il maniaco Buffalo Bill e il suo modus operandi del film “Il Silenzio degli Innocenti”: il disgraziato cuciva un vestito fatto di scampoli umani prelevati alle proprie vittime. Ho immediatamente pensato, non senza una certa vena ironica, che “Lo Scampolaio” sarebbe stato un ottimo titolo per un film horror. Sono passati vent’anni e ho deciso di riutilizzare quell’intuizione per il titolo del mio romanzo. Attenzione però: niente di così truculento e morboso è presente nel mio scritto. Anzi, durante il romanzo vari personaggi scherzano e ironizzano su quel termine, proprio per togliere ogni possibile alone di efferatezza alla sua valenza. Il titolo ha a che fare semplicemente con i pezzi di stoffa che il malvagio del libro (ammesso che realmente lo sia) lascia come i sassolini di Pollicino o il filo d’Arianna sulle scene delle sue malefatte.
La tua scrittura è stata definita piacevole, incalzante e spesso ironica. Quali sono gli autori o le opere che hanno influenzato maggiormente il tuo stile?
Una precisazione iniziale: ho concepito il mio romanzo come suddiviso in tre piani narrativi differenti, uno presente (il 1993), uno passato (il 1989) e uno atemporale dove il coro greco delle tragedie euripidee commenta l’azione, narrando ovviamente quello che è il mio punto di vista e dando del tu al lettore. Anche il libro può essere letto a vari “livelli”: c’è una storia fatta e finita che si segue senza problemi dall’inizio alla fine e poi c’è un ipertesto estremamente sviluppato che conduce il lettore più attento ad altri lidi. Per provare a raggiungere questo ambizioso traguardo ho usato necessariamente una scrittura estremamente netta e incalzante, in modo da non stancare il lettore. E ho utilizzato sempre l’indicativo presente, per dare vivacità alla vicenda: nella mia intenzione il lettore deve poter “vedere” il libro, come se si trattasse di un film o di una serie televisiva. Le difficoltà di scrivere continuativamente al presente non sono state poche (non per niente quasi tutti i libri a stampa sono al passato), ma l’effetto ottenuto, dal mio punto di vista, è estremamente brillante. E, mi auguro, anche piacevole. Le letture che eventualmente mi hanno influenzato sono troppe per essere citate: dai grandi maestri classici italiani ed europei divorati in età giovanile (e abbondantemente citati nel testo), alla beat generation (soprattutto Kerouak e Ginsberg), a scrittori più anticonvenzionali come Robert Schneider, Patrick Suskind, Haruki Murakami, alla prosa di Umberto Eco e, ovviamente, ai classici greci. Nonostante però il mio scritto sia stato definito un noir psicologico (a ragion veduta, per quanto mi riguarda) io non sono un vero amante del genere giallo, thriller o noir e, secondo il mio modesto parere, questo traspare leggendo “Lo Scampolaio”. Nonostante possa sembrare un classico giallo alla Agata Christie (tutto incentrato su una decina di personaggi principali, tra i quali il colpevole che alla fine viene smascherato), io parto da ben altro e cerco di giungere a una diversa Itaca, proprio perché queste letture non mi hanno mai particolarmente appassionato. In fin dei conti quando si scrive si cerca sempre di proporre al lettore un proprio punto di vista. Ritengo che sia molto difficile novellare per il semplice gusto di scrivere, come puro esercizio letterario: ognuno vuole lasciare una traccia di sé, più o meno visibile, nei propri scritti. E per farlo a volte è necessario celare tutto ciò sotto una storia che sia avvincente, in modo da accattivarsi il lettore e accompagnarlo gradualmente nel proprio mondo-pensiero.
Ringraziamo Antonio Verderi per aver condiviso con noi i retroscena del suo affascinante romanzo “Lo Scampolaio ovvero De Trinitate Homini”. Speriamo che questa intervista abbia suscitato la vostra curiosità e vi invitiamo a leggere il libro per scoprire tutti i segreti che nasconde. Continuate a seguirci per altre interessanti interviste e approfondimenti sui libri del Gruppo Albatros. Buona lettura!
