Alla ricerca del senso perduto… è così che potremmo parafrasare l’intento narrativo di Luciana Coppero che sembra aver chiaro l’intento di trovarlo, appunto, questo senso nel tutto che ci circonda e si vive, pur apparentemente senza un filo conduttore, se non l’ironia degli imprevisti. È così che nasce questa raccolta di racconti, a prima vista disgiunti ma che in realtà ogni lettore può (ri)pensare attraverso una sua lettura… un suo senso… Armonici, delicati, scorrevoli, sono testi che introspettivamente ci dicono molto, adagiandosi però lievi sulla carta, rendendo la lettura una piacevole degustazione di parole nuove e conosciute allo stesso tempo. Oggi abbiamo il piacere di dialogare con l’autrice Luciana Coppero, che ci parlerà del suo libro “Ho perso il senso. Ma deve essere qui, da qualche parte…”. Benvenuta, Luciana, e grazie per essere qui con noi.
Il suo libro esplora l’ironia degli imprevisti nella vita. Da dove nasce l’ispirazione per questi racconti?
Nasce dagli “inciampi”. Come accade al fumetto disegnato sulla copertina del libro, che sembra inciampare di fronte ad un punto di domanda che interrompe bruscamente il suo cammino e che lui dovrà cogliere per andare avanti… La nostra è una cultura del controllo, della programmazione. Di fronte agli “imprevisti” spesso reagiamo con disappunto o addirittura con rabbia. Eppure, le situazioni apparentemente assurde, paradossali, che ci “capitano” possono rivelarsi, in seguito, delle meravigliose scoperte. Ed è bello lasciarsi stupire e magari lasciarsi sfuggire un sorriso, perché spesso in questi episodi ci sono degli aspetti buffi, ironici; ma c’è soprattutto l’incanto del mistero.
Nel suo libro, ogni racconto appare inizialmente disgiunto dagli altri, ma poi si scoprono dei fili conduttori. Come è riuscita a creare questa coesione narrativa?
In realtà questi racconti sono “emersi” nel corso degli anni, in modo spontaneo. Io non avevo un intento narrativo specifico, né un progetto preciso. Solo in seguito, vedendoli raccolti in una cartelletta gialla, riflettendo, ho compreso che l’“incontro” con ognuno di questi racconti era avvenuto durante una fase di smarrimento e di difficoltà della mia vita; e che i personaggi che li animano mi avevano donato ogni volta tenerezza, ironia, coraggio, raccontandomi le loro storie surreali. E allora il mio intento, pubblicandole, è stato quello di condividere queste emozioni. Il filo conduttore c’è ma non si vede… è il disagio della perdita del “senso” con cui ogni personaggio, forse ognuno di noi, deve a volte confrontarsi, con i propri mezzi, nella propria realtà.
Il titolo del suo libro, “Ho perso il senso. Ma deve essere qui, da qualche parte…”, è molto evocativo. Può raccontarci come è nato e cosa rappresenta per lei?
Per me rappresenta la consapevolezza che a volte ci coglie, all’improvviso, e ci fa comprendere che ci troviamo in una situazione, può essere un contesto lavorativo o sentimentale o sociale o addirittura esistenziale, che non ha più significato per noi. Ma rappresenta anche la “sensazione” che abbiamo dentro di noi che debba esserci una via d’uscita, nonostante tutto. Proprio come quando ci si rende conto di aver smarrito un oggetto importante, magari le chiavi dell’auto, ma qualcosa dentro di noi ci impedisce di credere di averle “perdute” e allora vaghiamo per casa continuando a frugare nelle tasche ripetendoci “eppure devono essere qui da qualche parte…”. Ecco quella è la sensazione dei protagonisti dei racconti, che si ritrovano in situazioni che sembrano non avere una soluzione logica, eppure non si arrendono e continuano a cercare…
Lei usa uno stile di scrittura che definirei armonico e delicato. Come riesce a mantenere questa leggerezza pur trattando temi introspettivi e talvolta complessi?
Forse nasce dalla consapevolezza che per cogliere il senso profondo, significativo, della realtà, è importante ritrovare lo stupore, la meraviglia, l’ingenuità e la delicatezza dello sguardo dell’infanzia. Il mio desiderio era che la lettura dei miei racconti potesse affacciarsi nel giardino dell’intimità emotiva di ogni lettore, però con discrezione, con leggerezza, senza entrare né fare troppo rumore per non calpestare i fiori meravigliosi e non disturbare le creature fantastiche che abitano questi giardini.
Qual è il messaggio principale che spera i lettori colgano leggendo la sua raccolta di racconti? E c’è un racconto in particolare che sente più vicino al suo cuore?
C’è una frase che mi sta molto a cuore e che di solito ricordo alla fine delle presentazioni della mia raccolta di racconti. È una frase molto semplice, pronunciata da una donna straordinaria, Ella Fitzgerald: “Non smettere mai di cercare di fare quello che veramente desideri fare. Là dove c’è amore e ispirazione, non credo si possa sbagliare.” Ecco, spero possa essere questo il messaggio del mio piccolo libro. Non saprei scegliere un racconto in particolare. Nella mia immaginazione ognuno di questi racconti è come un piccolo oggetto colorato, ognuno di forma e colore diverso, sono tutti appesi insieme ed insieme formano una campanella del vento. Ognuno di essi, da solo, non può emettere alcun suono, ma se sono legati tutti insieme da un filo invisibile e sono mossi dal vento – che per me rappresenta lo sguardo, l’attenzione del lettore – possono emettere una melodia. E la melodia sarà diversa, per ogni lettore, perché diversi saranno la direzione, il ritmo e l’intensità del vento.
Grazie, Luciana, per aver condiviso con noi il suo viaggio nella scrittura e l’essenza del suo libro “Ho perso il senso. Ma deve essere qui, da qualche parte…”. È stato un vero piacere esplorare insieme i temi e le ispirazioni che hanno dato vita a questa raccolta di racconti. Siamo certi che i nostri lettori troveranno grande valore nelle sue parole e nelle storie che ha saputo raccontare con tanta sensibilità e profondità. Le auguriamo il meglio per i suoi futuri progetti letterari e speriamo di poterla ospitare nuovamente nel nostro blog.
