Benvenuti al blog del Gruppo Albatros! Oggi siamo entusiasti di presentarvi un’intervista con l’autore del libro “Victoria nobis vita”, Luigi Andrea Mandelli. In questo romanzo, Mandelli ci immerge in un’avventura avvincente a bordo della nave Portaelicotteri Lanciamissili Vittorio Veneto, distintivo ottico 550, ex ammiraglia della Marina Militare italiana. Ma c’è un’insidiosa verità dietro questa trasformazione ufficiale: la selezione dei migliori elementi dell’esercito provenienti dai più disparati reparti per essere imbarcati su un “vascello fantasma” altamente equipaggiato con armi e dispositivi di ultima generazione. Seguiremo da vicino la squadra e la vita di bordo, ridendo ed entrando in azione con questo gruppo eterogeneo ma affiatato, che prende ogni decisione possibile per portare a termine nel modo migliore alcune missioni segrete ma di elevata caratura morale.
Bentrovato Luigi Andrea, è un piacere averti con noi oggi. Potresti condividere con i lettori del Gruppo Albatros un po’ dietro le quinte della tua ispirazione per “Victoria nobis vita”?
Verso il 2012 la malattia che mi ha causato un’emorragia cerebrale e la conseguente paresi stava lentamente assestando. Rimanevano da recuperare i danni che mi aveva causato, tutta la parte destra del mio corpo paralizzata e la parte sinistra colpita da una polineuropatia che mi provocava dolori e parestesie. Occupavo tutto il tempo a cercare di rigenerare la parte paralizzata e cercavo in tutti i modi di tenere occupata la mente per non ascoltare i lamenti del mio corpo, con l’aiuto dei farmaci ci sono parzialmente riuscito. Per la mente ho scritto un racconto a puntate riguardante la mia situazione e non mi è passata neanche per l’anticamera del cervello di pubblicarlo. Il mese di febbraio 2012 successe il caso dell’Enrica Lexie e dei due marò arrestati a Kochi, in Kerala. Ho seguito l’evolversi della storia e devo dire che mi faceva arrabbiare. Premessa: io sono appassionato lettore di Tom Clancy e Clive Cussler; quindi, non ero proprio a zero come nozioni sull’argomento. Ho pensato: io li porto a casa, e mi sono messo in moto. Non è stato semplice, ho cominciato a girovagare sulla rete e a prendere appunti, si tenga conto che battevo sulla tastiera con l’indice sinistro e mezzo destro che mi serviva per usare due tasti contestualmente. Ho trovato un sacco di stupidaggini, di gente che chiedeva se esistessero elicotteri silenziati per eseguire un’operazione in Kerala e portarli a casa. Cito questo esempio perché è quello che mi ha stimolato di più: è stato la scintilla, non era possibile che ci fossero in giro simili illusi. Dovevo scrivere una storia tratta da quegli avvenimenti, senza dare riferimenti precisi, non era possibile. Doveva esserci solo l’ispirazione, c’erano in gioco la vita di due soldati italiani, e un sacco problemi politici e di rapporti, già deteriorati, che sarebbero potuti scaturire tra due stati. Di questo avevo un grande timore. Non poteva essere una cosa da servizi segreti, tutti quelli coinvolti dovevano sapere ed essere d’accordo. Dovevo trovare una nave adatta allo scopo. Ho visitato il sito della Marina Militare più volte, con Google Maps ho sorvolato tutti i porti militari alla ricerca di qualche cosa che mi aiutasse, la nave doveva essere grande e portare elicotteri. Visitando l’Arsenale Militare di Taranto vidi ancorata Nave Vittorio Veneto. Dal numero distintivo ottico scoprii tutta la storia. Era la mia nave: era l’Incrociatore Lanciamissili Portaelicotteri 550 ancorato al molo nel Mar Piccolo, in disarmo e attesa di destinazione. È stata ancorata in quel posto fino al 2020. Dovevo però giustificare il riarmo. Nell racconto il governo e le autorità hanno deciso di organizzare una nave sicura in tutti i sensi, che avesse il compito di intervenire, aiutare e fermare la tratta e lo sfruttamento dei migranti, dalle coste del Marocco fino alla Turchia. Fu assunta la decisione di riarmare il Vittorio Veneto mascherato da nave scuola. Ho dovuto far combaciare i tempi del riarmo, molto lunghi nella eventuale realtà, con quelli della storia parallela in India. Così ho iniziato a scrivere, prendere appunti su tutto ciò di cui parlavo perché di preciso non sapevo nulla. Tutto quello che ho scritto di tecnico, si trova in rete: dalle armi alle correnti oceaniche. Ho trovato notizie su ciò che stava succedendo in Kerala, questa è stata l’ispirazione della storia del gruppo indiano. Anche questa è una storia importante, ci doveva per forza essere qualcuno coinvolto con una motivazione totalmente differente per sostenere quella italiana, la droga mi è sembrata ottima come causa di tutto. Ho dovuto creare i personaggi indiani con una storia credibile. I tre personaggi principali italiani li ho creati quasi subito, gli altri a seguire man mano che si presentava la necessità. Per esempio, il capitano dei Marcos indiani è stato uno degli ultimi, una persona motivata dal rapporto di amicizia e dal desiderio di giustizia. I personaggi che avrebbero dovuto essere i più importanti erano i marò imbarcati, due ufficiali e un plotone completo, ma con il passare del tempo mi sono accorto che stavo parlando di un gruppo variegato, dove gli interpreti si completavano a vicenda. Era quello che desideravo fin dall’inizio. Trovare le motivazioni per tutti, l’ambientazione per tutte le operazioni, conoscere le possibilità reali di ogni uomo e ogni macchina è la cosa che più mi ha affascinato. Ho dovuto studiare le correnti oceaniche, i fusi orari. Se vado in Sardegna in un determinato luogo cosa trovo? Che distanze devo percorrere a piedi? Se decido di fare la circumnavigazione dell’Africa quanto tempo ci vuole? Passare il Capo di Buona Speranza cosa mi potrebbe succedere? Mi sono divertito a far passare la Nave attraverso un piccolo tsunami creato dalle correnti oceaniche esagerando anche un poco. Per nascondere una nave così grossa come devo fare? E i personaggi indiani? Un pescatore indiano con cinque figli chi è? Cosa Fa? Che storia ha? Dove abita? Anche per queste cose abbastanza semplici ho dovuto fare ricerche. Ecco, trovare le motivazioni, costruire i personaggi, costruire il gruppo, inventare di sana pianta una storia che potrebbe essere verosimile, pur farcita di esagerazioni, questo è stato un grande divertimento. Ho scoperto posti e isole molto più belli delle decantate Isole Maldive, tutta la costa del Kerala, le Isole Laccadive…
Il tuo libro esplora il tema della squadra, con un gruppo eterogeneo ma affiatato che affronta missioni segrete di alta importanza morale. Qual è stata la tua fonte di ispirazione per i personaggi e le dinamiche di gruppo?
Non ho mai praticato giochi di squadra, ma mi è sempre piaciuto confrontarmi con persone sincere che avevano qualcosa in comune con me e che non avevano timore di confrontarsi. Nella seconda metà della vita lavorativa il mio è stato un ruolo di responsabilità e organizzazione, del tempo, del lavoro e delle persone. Non ho mai preso decisioni unilaterali, tranne quando si doveva decidere per una cosa o per l’altra e la responsabilità era solo mia. Mentre scrivevo mi venivano alla mente i miei amici, con i quali condividevo il lavoro e tutto quello che si trascina dietro. I personaggi che dovevo creare dovevano essere normali con i problemi e il carattere di tutti, non ci sono eroi. Molti interpreti hanno un riferimento in persone che conosco, le ragazze ci sono, sarebbe un guaio dimenticarle, ci sono quattro nomi, ma non sono il ruolo del personaggio. I personaggi, uso un termine neutro cosicché se leggessero non avrebbero motivo per arrabbiarsi: da quello precisissimo a quello veloce, da quello semplificatore a quello guascone ma serio quando si trattava di lavoro, quello che, quando aveva a che fare con le donne si trasformava, bisognava seguire altrimenti si perdeva a quello burbero, fino a quello che era capace di fare tutto. Potevamo contare su di loro sia di giorno che di notte. Potrei andare avanti ma preferisco soffermarmi su ciò che succedeva quando capitava una emergenza. Tutti i presenti si trasformavano e davano ciò che era necessario per risolvere l’incombenza. Qualsiasi lavoro se fatto da squadra affiatata si risolve in metà del tempo necessario. L’unico che posso dichiarare apertamente è il mio amico Giorgio perché non c’è più. Gli avevo fatto leggere il capitolo che riguardava suo nonno, il caprone e il ‘91, si è messo a ridere e ad annuire compiaciuto. Nel libro lui è Giorgio, lo sniper. È stata, la nostra, un’amicizia cominciata dalle elementari. Non ho avuto ancora il coraggio di andare a casa sua e mettere una copia vicino alle sue ceneri. Il mio ruolo nel libro, e qui rido, non è un solo personaggio, sono un pochino in tutti perché li ho descritti come li vedevo io. Sono certo che si troverebbero tutti d’accordo con me su ciò che si evince dal libro sia nelle parti divertenti che in quelle cruente. Ce n’è uno in particolare che mi piace e per molti versi mi ritrovo, ma non lo dirò neanche sotto tortura. Ho diviso i comportamenti, quando non erano in azione erano abbastanza informali nei rapporti fino all’amicizia. Cambiavano completamente quando eseguivano il loro lavoro, dai marò agli ufficiali e tutti i componenti dell’equipaggio.
La nave Portaelicotteri Lanciamissili Vittorio Veneto è al centro della tua narrazione. Cosa ti ha spinto a scegliere questo scenario per ambientare la tua storia?
Il “vecchio” Vittorio Veneto, rimase ancorato nel Mar Piccolo dal 2003 come riserva, fino al disarmo e alla definitiva radiazione avvenuta ne 2006. All’Arsenale Militare di Taranto era fermo in attesa di destinazione da nove anni. Tutte le ipotesi d’uso sono poi fallite e il suo destino fu la demolizione. L ‘8 giugno 2021 lasciò il Mar Piccolo con destinazione Aliaga, in Turchia, dove è stata demolita e riciclata. Fino a qualche tempo fa era ancora visibile con Google Maps. La storia di V.V. è abbastanza triste. Nel corso della sua lunga attività, svolse numerose operazioni significative, come il salvataggio dei boat people in Vietnam nel 1979, l’operazione Margherita e quella effettuata in Libano. (Informazioni Marittime Comandante Claudio Franconi). È stata la nave ammiraglia della flotta italiana dal 1971 al 1987. Dal 14 al 27 aprile 1997, in qualità di sede di comando del XXVIII Gruppo navale, prese parte all’operazione Alba. Nel corso della missione, il 22 aprile si arenò sulle coste dell’Albania, di fronte al porto di Valona, senza riportare particolari danni, ma con un danno d’immagine per la Marina Militare Italiana… La nave fu disincagliata alcuni giorni dopo dalle unità da rimorchio della Marina Militare, giunte in soccorso dal porto militare di Taranto (Wikipedia). Nel racconto, mi è molto piaciuta l’idea di ridare dignità a questa nave. Il titolo del libro è il motto che fu di questa Nave. Lo scenario fu l’unico possibile. In qualsiasi modo la si volesse affrontare, ci sarebbe voluta una nave, ci sono di mezzo due/tre mari e due oceani. Il V.V era la nave che cercavo. Il contesto era perfetto. I tempi cadevano esattamente, con il varo e la consegna dell’ultima nave della Classe Horizon, Nave Caio Duilio varata nel 2007, completata nel 2009, consegnata nel 2011. Questo mi permise di inserire i costi per la ricostruzione del V.V. e farli scomparire, nelle pieghe nel budget della Classe Horizon, ho fatto terminare dopo l’inizio della storia di Enrica Lexie e dei Soldati di Marina. La nave doveva essere bella, diventava una nave scuola, ed avere una grande autonomia di movimento, superiore a qualsiasi altra che non fosse nucleare. Doveva avere tutte le attrezzature e le possibilità per potere stare in mare un tempo illimitato. Le nuove tecnologie e la riduzione delle armi riducevano sia il dislocamento che l’equipaggio. L’equipaggio ho dovuto riorganizzarlo in maniera verosimile senza esagerare troppo con la fantasia. Il riferimento per le tecnologie fu Nave Caio Duilio, anche se le potenzialità con l’aggiunta di armi ed elicotteri moderni un po’ “colorate”. La Classe Horizon, ancora adesso, con Caio Duilio e la sua gemella Andrea Doria, è una delle migliori navi in circolazione a livello internazionale. Nave Caio Duilio è balzata alla cronaca in questi giorni, perché impegnata in questi tempi nel Mar Rosso a protezione delle navi commerciali dagli attacchi Houthi, con il ruolo di comando della flotta europea.
Nel tuo romanzo, affronti temi complessi come la moralità delle missioni segrete. Come hai bilanciato l’azione e la riflessione etica nel tuo lavoro?
Quando una persona decide di fare qualsiasi cosa pubblicamente, si espone al giudizio della gente. Questo è sempre stato un rischio e un po’mi pesa. È più facile fare una critica che una proposta. Quando si propone ci si espone, sempre. Quando ho iniziato a costruire i personaggi del racconto mi sono trovato ad affrontare tutti i problemi morali ed etici. Le due cose, nella vita di tutti i giorni, non sono quasi mai disgiunte per esempio: è giusto uccidere, anche se per una giusta causa? Possiamo trovare risposte differenti, più o meno giuste o sbagliate. Per questo si devono avere dei comportamenti morali per vivere in comunità, etici per attenersi scrupolosamente alle regole che la comunità si è data. So che non si risponde con una domanda, ma la morale e l’etica sono nelle risposte che ognuno da: Tu cosa faresti se fossi il comandante Campofregoso quando fa questo discorso, o un ufficiale della Nave? “Ho cercato di dare un senso ai fatti che ci vedono coinvolti. Mi sono messo nei loro panni (i migranti) – e ho pensato: “Se ti venissero a dire: guarda, ti devi fare un po’ di culo per attraversare, però quando arrivi di là è un’altra vita. Là c’è tutto, ti soccorrono, ti danno i vestiti, ti danno da mangiare, se sei malato ti curano, assicurano il meglio per i tuoi figli. Però il viaggio costa.” Tu cosa fai? Vendi tutto, raccogli i soldi che servono e ti metti in coda. Anche se sai che devi aspettare parecchio il tuo turno, c’è molta gente che vuole traversare. Non lo sai che ti mentono, se hai dei dubbi, perché qualcuno ti ha raccontato che non è così, ti lasciano a casa se ti va bene, altrimenti ti tagliano la gola. Sei attratto da tutte le cose positive, se stai morendo di fame o di guerra non crederai mai a chi dice che di là è peggio. Se fossi un migrante e sapessi che la Libia è lo Stato che dà più possibilità per imbarcarsi, non ti interesserebbero un tubo il modo e dove, ma solo quanto costerebbe e quando lo potresti fare. In mezzo a questi dettagli insignificanti ci sono il Medio Oriente e l’Africa che scappano. Scappano dalle guerre, dalla fame, dalla violenza e il posto meno complicato per farlo è la Libia. È comodo perché è vicino all’Italia, è comodo perché in Libia non comanda nessuno. I trafficanti imperversano derubando, violentando e uccidendo senza esitare coloro che si rivolgono a loro, se questi diventassero un problema.” Molto spesso si sente, anche tra conoscenti, parlare in modo negativo di questa gente senza mai porsi la domanda: perché lo fanno? Saresti d’accordo sul comportamento del gruppo di comando della nave di scavalcare qualche legge, pur con un fine nobile?
Infine, cosa spera che i lettori portino con sé dopo aver letto “Victoria nobis vita”?
Ho fatto una fatica enorme e ho impiegato un sacco di tempo a scriverlo, spero che il racconto diverta, piaccia e che ognuno ci trovi ciò che più ritiene giusto.
Ringraziamo sinceramente Luigi Andrea Mandelli per aver condiviso con noi la sua visione unica e coinvolgente di “Victoria nobis vita”. Se desiderate immergervi in un’avventura mozzafiato e riflettere sulle dinamiche della moralità e dell’azione, non perdetevi questo straordinario romanzo. Grazie ancora per essere stato con noi oggi, ti auguriamo ogni successo futuro nei suoi prossimi progetti letterari.
