GRUPPO ALBATROS IL FILO PRESENTA: Sé implicito ed enactment – Luciano Rizzi

Benvenuti al nostro blog! Oggi abbiamo il piacere di intervistare Luciano Rizzi, che ci parlerà del suo ultimo lavoro “Sé implicito ed enactment”. Non vediamo l’ora di ascoltare le sue parole e speriamo che anche voi, cari lettori, possiate trarne ispirazione e curiosità. Senza ulteriori indugi, diamo il benvenuto all’autore dell’intervista di oggi!

Nel suo libro “Sé implicito ed enactment”, ha approfondito il concetto di “inconscio non rimosso” di Mauro Mancia. Come ha sviluppato la sua teoria sulla relazione fra il Sé implicito e gli enactments, e quali sono le principali conclusioni che ha raggiunto? 

Non è facile rispondere a questa domanda perché inevitabilmente si entra nell’intimità del proprio modo di comprendere, spiegare i fatti ed i fenomeni della nostra osservazione che non sempre seguono percorsi lineari e molto spesso si intersecano con sensazioni che restano intraducibili e sono collegate all’intuizione dell’autore (come dirò poi entra in gioco il Sé implicito dello scrivente). Allo stesso tempo sono lusingato che me la si faccia poiché significa essersi posti la questione fondamentale che sta alla base del mio scritto. Per sviluppare il mio pensiero sono partito dal concetto dell’esistenza di un inconscio non rimosso in cui M. Mancia esprime l’idea che non tutto ciò che non ha lo stato di coscienza debba inevitabilmente entrare a far parte del sistema inconscio, ma che parti anche importanti dell’esperienza non entrano affatto in quest’area, anche quando continuano ad esercitare la loro influenza sui processi coscienti. Tali sono le esperienze che avvengono in un’epoca pre-rappresentativa, quando cioè non s’è ancora sviluppata la capacità di rappresentare gli eventi e il bambino non è ancora in grado di utilizzare le rappresentazioni che forma in modo operativo in conseguenza del fatto che non sono ancora arrivati a maturazione gli apparati neurologici in grado di sostenere una rappresentazione gestaltica che gli consenta di tener conto della loro sequenza e dare significato al processo. Ho ritenuto essenziale collegare le idee psicoanalitiche agli studi neuroscientifici al fine di ancorare certe ipotesi della psicoanalisi allo sviluppo dei sistemi psicobiologici, dando così conferma dell’esistenza di un inconscio non rimosso, diverso dall’inconscio dinamico di Freud, in quanto le esperienze primarie che fa il bambino per poter essere ricordate devono organizzarsi in rappresentazioni che richiedono si sia sviluppato un apparato neurofisiologico complesso. Il concetto di Sé implicito l’ho mutuato da D. Siegel per il quale “i modelli operativi interni” si sviluppano in un’epoca prenatale e fanno parte della memoria procedurale, la quale rappresenta l’agente attivo che darà l’impronta alle nuove esperienze. Ciò che io ho aggiunto al concetto di Sé implicito è il suo modo di funzionare, sostenendo che gli enactments siano le manifestazioni somatopsichiche che caratterizzano la struttura del Sé implicito e lo definiscono in un modo che non è altrimenti rappresentabile.

In che modo il concetto di “Sè implicito” è correlato agli enactments? Come le manifestazioni sensoriali degli enactments contribuiscono a definire fa fisionomia del Sé implicito?

Nel mio testo ho riservato il concetto di enactments alle manifestazioni appartenenti all’inconscio non rimosso che descrivono il funzionamento del Sé implicito di un individuo e che derivano dalle esperienze che si sono succedute durante le fase più precoci dell’individuo, che conosciamo unicamente nella loro forma somatoforme ,osservandoli in certi contesti, anche durante la terapia, e che si esprimono in certi atteggiamenti che risultano incongrui rispetto al modo abituale di agire della persona. Essi rappresentano l’espressione di quelle matrici dinamiche, intese come organizzazioni non esperienziali di base che, per i coniugi Sandler costituiscono gli “oggetti interni” in grado di influenzare in molti modi la percezione, la fantasia e l’intero ambito esperienziale, pur non avendo accesso all’esperienza soggettiva.

Nel suo lavoro fa riferimento a diverse fonti con le loro idee originali. Quali sono state alcune di queste fonti e come hanno contribuito alla sua comprensione dei concetti di Sé implicito ed enactment?

Probabilmente l’aver fatto ampio riferimento alle fonti originarie rende meno fluida la lettura dell’opera, d’altronde il taglio un po’ scolastico deriva dal fatto che questa stesura è stato ispirata dall’elaborazione delle tesi di specializzazione dei miei allievi di Ravenna. Nondimeno ritengo che abbia valore riuscire a mettere insieme idee che spesso divergono e di cui non è facile esprimere la sintesi, specie quando sono teorie che risultano parziali e tengono conto in maniera assoluta del proprio punto di vista. Confrontare le ipotesi psicoanalitiche attraverso le quali mi sono formato e le concezioni della neurobiologia è stato un lavoro sorprendente e inaspettato, che ha ampliato l’area dei miei dubbi e aumentato gli interrogativi a cui poter dare una risposta integrata. Ritengo che per maggior completezza avrei dovuto impegnare maggiormente altre discipline, le quali avrebbero potuto dare, e non è detto che non lo possano fare successivamente, un contributo prezioso alla comprensione dei concetti trattati nell’opera.

Gli “enactments” sono descritti come manifestazioni sensoriali delle configurazioni interne del Sé implicito. Come si manifestano tali “enactments” e come possono essere interpretati per comprendere meglio il Sé implicito?

Quando sostengo che gli enactments sono manifestazioni sensoriali delle configurazioni del Sè implicito sostengo altresì che il controtransfert dell’analista risuonerà sulla base di queste configurazioni sollecitando i contenuti presenti nel suo Sè implicito, per cui il suo transfert sarà incidente a quello del paziente e i due mondi psichici confluiranno formando una terza figura transferale che le comprenderà entrambe (questa idea richiama i concetti di “”terzo analitico” di Ogden e quello di “terzo orecchio” di Reich). Sostengo che il terapeuta contribuisca con i suoi enactments a determinare lo stile della relazione terapeutica mediante le parole che usa e il suo assetto emozionale, anche quando non comprende bene in che modo si riflettano sull’altro. Così la relazione terapeutica è il frutto dell’intergioco di due mondi che per la prima volta si incontrano e sentono il bisogno di amalgamarsi col fine di integrare le due esperienze. Nell’incontro analitico vengono messi in scena gli aspetti caratteristici di entrambi i partecipanti attraverso le configurazioni implicite che sono servite a sviluppare il peculiare Sè implicito di ognuno, senza che questi engrammi possano venire richiamati, anche quando continuano ad esercitare una potente influenza sui comportamenti del presente nella forma delle “matrici dinamiche” presenti nell’inconscio non rimosso. Nella teoria che ho formulato i contenuti che appartengono all’inconscio non rimosso sono esclusi dalla coscienza e di conseguenza non hanno accesso all’area rappresentativa della persona. Ci può essere risonanza fra i rispettivi enactments di paziente e analista, senza che i loro contenuti possano penetrare nell’area rappresentativa della terapia. Mi viene chiesto come gli enactments possano essere interpretati e resi fruibili al fine di comprendere il Sè implicito. Nella mia visione gli enactments sono le espressioni dell’inconscio non rimosso di ognuno ma che trattandosi di risposte somatopsichiche non abbiano una base elaborabile sul versante rappresentativo, per cui è escluso che si possa generare fra di essi alcun conflitto. Ho sostenuto che affinché si possa produrre un conflitto deve svilupparsi una tensione tra stati contrapposti dell’Io all’interno del mondo rappresentazionale, tenendo ben presente che entrambi i vettori in conflitto riceveranno una rappresentazione di valore e il suo esito dipenderà dall’attrazione dei relativi campi. Nel mio modo di vedere le cose gli enactments legati alle esperienze più precoci dell’individuo non hanno capacità rappresentative in quanto si tratta di vicende che sono accadute prima che essa si formasse, anche se tali esperienze hanno influenzato il Sé implicito e nel presente continuano ad esprimersi come messe in atto apparentemente incoerenti. Quando mi si chiede se sia possibile comprendere meglio il Sé implicito, in accordo con A. Schore definisco il Sé implicito come un’organizzazione durevole che intercetta i segnali proveniente dalle varie fonti e dà ad essi significato sulla base dei contenuti impliciti che in esso sono conservati. Ciò che io aggiungo è che per quanto la condivisione dello stato psichico dell’altro sia possibile quando non ne è inibita la funzione, l’enactment è un’esperienza percettiva vissuta dal paziente sul versante somatopsichico in un contesto molto particolare dove per risonanza vengono sollecitati anche i contenuti proto-psichici del terapeuta, senza però che si giunga a dare ad essi un significato esplicito e attribuire loro un valore semantico individuabile. Che il terapeuta possa sintonizzarsi col Sé implicito del paziente deriva dalla sua capacità di identificarsi ad esso, si tratta tuttavia, dal mio punto di vista, di una conoscenza ottenuta per “simpatia” dove probabilmente i neuroni specchio esercitano la loro funzione nel renderci riconoscibile quell’esperienza, senza però riuscire ad accedervi. Nel capitolo più importante del mio libro “Il Sè implicito” ho affermato che conosciamo il Sé implicito attraverso gli enactments da cui il Sé implicito deriva la propria fisionomia. Poi ho aggiunto che: “Mentre ci serviamo delle parole per dare significato alle espressioni più evolute del comportamento dei nostri pazienti in terapia, tali configurazioni sono atti che appartengono ad un epoca preverbale della vita di essi e, durante la seduta, ci possiamo sintonizzare con questi atti attraverso la nostra stessa esperienza primaria, quella che abbiamo organizzato nel nostro Sé implicito in un’epoca presimbolica dei nostri stati di coscienza, senza che a essa si possa giungere a dare un significato tangibile.”

Alla luce delle sue ricerche e delle sue conclusioni, quali implicazioni pratiche e teoriche possono derivare dal comprendere la relazione tra il Sé implicito e gli enactments? Come potrebbero queste conoscenze influenzare la pratica clinica o la comprensione della psicologia umana?

L’ultima domanda è la più complessa perché le deduzioni alle precedenti domande portano a ritenere che comprendere la relazione tra Sé implicito e le sue configurazioni nella forma di enactments non possa influenzare la pratica clinica. Affermare che ci possa essere dissonanza fra stati dissociati di paziente e analista, senza che ci possa essere una base riconoscibile per comprenderli poiché si tratta di esperienze che, non entrando nell’area rappresentativa né del paziente né del terapeuta, non possono venire mentalizzate e quindi rese fruibili per la cura. Affermare questo rende difficile pensare che questi concetti possano illustrare fenomeni che non sono altrimenti riducibili. Dal mio punto di vista la soluzione può arrivare dall’ampliamento del campo di indagine coinvolgendo oltre che la neurobiologia anche altre scienze importanti come l’etologia e la psicologia animale comparata, per cogliere affinità che potrebbero essere sorprendenti. Pensiamo al concetto di K. Lorenz di “imprinting” e avviciniamolo al Sé implicito. Nel loro funzionamento si possono cogliere risonanze che non sono solo culturali, sulla base del fatto che la prima configurazione di cui l’animale fa esperienza assume il significato di oggetto con una duratura permanenza emotiva. Ritengo si possano osservare altri legami significativi tra il modo di funzionare animale e il comportamento del piccolo dell’uomo. Da quando è stato pubblicato il mio libro mi sto orientando verso discipline che possono dare importanti contributi alla comprensione di come avvenga l’apprendimento e la formazione di un nucleo rappresentazionale implicito che costituirà l’organo sensorio in grado di dotare l’individuo di una struttura che ne guiderà l’adattamento, dalle primitive esperienze fino a quelle più complesse. Alla luce di ciò che sostengo mi sembra di poter dire che il mio libro sia incompleto e che debba includere un nuovo capitolo che comprenda gli studi e le osservazioni che nascono dalla psicologia comparata. Strutture arcaiche che da subito regolano l’adattamento all’esistenza, in specie diverse, si formano in maniera implicita e non hanno bisogno di venire riconosciute perché si attivi il loro funzionamento.

Concludiamo questa intervista ringraziando Luciano Rizzi per il suo tempo e per aver condiviso con noi alcuni spunti interessanti sulla sua opera “Sé implicito ed enactment”. Speriamo che i nostri lettori abbiano trovato utile questo scambio di idee e che decideranno di leggere il libro di cui abbiamo parlato oggi.

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