Benvenuti sul blog del Gruppo Albatros, oggi abbiamo il piacere di intervistare Filippo Pierazzo, autore del libro “Fiabe e Architettura. Un viaggio nell’immaginario collettivo”. In questo saggio affascinante, Pierazzo esplora i vari elementi narrativi delle fiabe, mettendo in risalto l’importanza delle ambientazioni. Attraverso un’analisi attenta, ci guida alla scoperta di luoghi emblematici come il bosco, il deserto, la palude, e ci fa comprendere come questi spazi riflettano le paure ancestrali e le prove che i protagonisti delle fiabe devono affrontare. Il libro è arricchito da bellissime immagini che completano l’opera, rendendola un vero e proprio viaggio nell’immaginario collettivo. Oggi, siamo qui per approfondire insieme all’autore alcuni degli aspetti più affascinanti del suo lavoro.
Cosa l’ha ispirata a scrivere un libro che mette in relazione le fiabe con l’architettura?
Quando i miei figli erano piccoli, spesso raccontavo o leggevo loro delle storie. Ad un certo punto hanno iniziato a chiedermi di inventarne qualcuna, e allora mi sono ricordato della mia professoressa di lettere al liceo (pace all’anima sua), che mi aveva parlato di come era strutturata la fiaba: un inizio con una situazione di quiete precaria spezzata da una perdita o una sventura, una prosecuzione con una ricerca per restaurare l’equilibrio infranto ed infine l’approdo ad uno stato di quiete più alto. Anni dopo, in un momento di pausa dal mio lavoro di architetto, mi sono imbattuto in uno dei libri dell’autore di cui mi aveva parlato la mia professoressa, e cioè Vladimir J. Propp, Le radici storiche dei racconti di magia. Leggendolo mi sono accorto delle numerose corrispondenze tra l’analisi che il Propp faceva delle fiabe e l’architettura, considerata quest’ultima nelle sue dinamiche spaziali. I viaggi dell’eroe o dell’eroina, con le loro improvvise partenze da casa, lo smarrirsi per arrivare in capanne nel bosco, i tragitti per arrivare in luoghi inaccessibili in capo al mondo, le loro battaglie e il ritorno al mondo ordinario, avevano delle corrispondenze così stringenti con soglie, spazi della purificazione, percorsi e recinti che accomunano l’architettura sacra di ogni dove e di ogni cultura, da sembrare molto più che non semplici coincidenze. La parentela tra fiaba e architettura nasce nella condivisione delle medesime radici storiche e antropologiche e dal profondo legame di entrambe con i riti di passaggio dei popoli arcaici, ma che ancora oggi possiamo osservare nelle organizzazioni tribali. Van Gennep, antropologo che ha preceduto il Propp e che ha scoperto la chiave interpretativa dei riti di passaggio, afferma che i riti che stabiliscono il passaggio da uno stato sociale all’altro hanno sempre una corrispondenza, magari solo metaforica, di tipo spaziale. Ad esempio, al matrimonio corrisponde solitamente il passaggio ad una nuova casa con l’abbandono della precedente, al funerale corrisponde il trasporto fisico in un luogo deputato ai morti e così via. Ed il Propp spiega come alcune fiabe corrispondano esattamente ai rituali di sepoltura. Così sono partito nel ricercare e raccogliere dati e corrispondenze, non solo nell’architettura primitiva, ma anche nella storia dell’architettura fino ad arrivare a quella contemporanea. Sembra incredibile, ma il patrimonio narrativo contenuto nelle fiabe continua ad influenzare il nostro modo di pensare e di progettare gli edifici. È come se residui del pensiero arcaico avessero galleggiato sul fiume della storia fino ai nostri giorni incuranti delle rivoluzioni culturali che si sono succedute, come ebbe a dire il noto fenomenologo delle religioni Mircea Eliade.
Nel suo libro, descrive vari luoghi emblematici delle fiabe come boschi, deserti e castelli. Qual è, secondo lei, il significato simbolico di questi spazi nelle narrazioni?
L’antropologo Arnold Van Gennep, ancora agli inizi del Novecento, spiegava come i boschi inesplorati, i deserti, le paludi ecc., fossero luoghi lontano dai villaggi e dalle città, oltre la giurisdizione di questi, terre di nessuno che ben si prestano agli stadi di transizione, propri dei riti di passaggio. Si tratta di spazi della liminarità in cui le regole umane vengono meno ed in cui i personaggi vengono messi di fronte alle loro paure di essere abbandonati, smarriti o mangiati. La situazione di liminarità, che in architettura si esprime normalmente con il percorso, con il passaggio da un luogo ad un altro, è essenziale per lo sviluppo tanto del personaggio delle fiabe quanto dell’iniziando. I riti di passaggio spesso sono figure di una morte apparente e di una resurrezione (pensiamo ad esempio al battesimo per immersione, e la sua analogia con l’annegamento e la nascita a nuova vita). Molte sono le storie che rappresentano il viaggio nel mondo dei morti, normalmente rappresentato dal castello incantato inaccessibile, da un luogo sotterraneo, o entrambi. Per un passaggio di stato tra due condizioni inconciliabili, come ad esempio tra quella di bambino e quella di adulto, tra quella di celibe/nubile e quella di sposato/a, serve una situazione intermedia. Se non si può essere contemporaneamente in A e B, serve un passaggio, una sosta temporanea in C che ci permetta di scioglierci dalla condizione precedente e legarci a quella successiva. Mi vengono in mente le illustrazioni di Gustave Doré per La bella addormentata nel bosco del 1866. In una immagine il principe vede dall’alto e da lontano il castello completamente avvolto dalla vegetazione dove, viene a sapere in quel momento, giace una bellissima principessa addormentata che aspetta di essere risvegliata. Per arrivarci deve per forza scendere nel fitto del bosco davanti a lui, dove sono intrappolati tra i rovi i corpi di chi lo ha preceduto. Ma lui passa indenne (non lo sa, ma la maledizione dei cento anni è appena finita) e, nell’immagine successiva, intravede attraverso una foresta fitta e buia una porta di ingresso illuminata dal sole, con le guardie addormentate. Nell’immagine successiva il principe sta davanti alla soglia del castello, che si presenta ora nella sua magnificenza a distanza ravvicinata. Il bosco fitto e inesplorato rappresenta il luogo intermedio che permette al principe di passare dal mondo dei vivi a quello dei morti (apparenti), da cui riportare a nuova vita la principessa. Si tratta del medesimo meccanismo con cui si sono iniziati a progettare i parchi romantici più di cent’anni prima, per cui si vedeva da lontano un edificio spettacolare (un obelisco, un arco, una chiesetta gotica o un tempietto classico), ma per arrivarci bisognava passare attraverso un bosco con sentieri labirintici, perdendo di vista il monumento agognato, per poi riscoprirlo all’ultimo momento a distanza ravvicinata.
Come ha scelto le immagini che accompagnano il testo? Quanto ritiene siano importanti per arricchire la comprensione del lettore?
Nel libro sono presenti ventisei immagini. Circa la metà appartengono a pittori, illustratori o architetti che in qualche modo spiegano (a volte un’immagine vale più di cento parole) o testimoniano quanto riportato nel libro. Le altre le ho prodotte io stesso, principalmente per riflettere su quanto andavo esplorando, per mettere insieme concetti visivi e significati testuali. Io non sono un illustratore di professione, ed il rapporto tra queste immagini ed il libro vanno intese tanto quanto degli schizzi rispetto al progetto architettonico. Le ho inserite perché fanno parte della mia esperienza del mondo delle fiabe e ritengo possano essere utili al lettore quanto lo sono state per me. A queste si aggiunge l’immagine di copertina: è una delle tante bellissime casette di pan di zenzero fatte da mia nipote in occasione del Natale. C’è una tradizione, infatti, nei paesi anglosassoni, inaugurata da un pasticcere tedesco che si è ispirato alla casetta di Hansel e Gretel, di regalare questi dolci per le festività natalizie. Ne sono nate molte case per vacanze negli States ispirate a queste forme, mentre, pensate, nel giardino della Casa Bianca a Washington ne costruiscono ogni anno una così grande che vi si può entrare!
Può parlarci degli archetipi architettonici presenti nelle fiabe e di come essi riflettano riti e tradizioni iniziatiche?
Parlavamo prima di boschi, deserti e paludi. È in questi luoghi che incontriamo le capanne isolate con streghe o saggi maestri, oppure le case collettive con briganti, nani od orsi, oppure, ancora, magici castelli. All’interno di queste costruzioni, poi, ci sono stanze segrete che non si devono aprire. Il Propp, già più di cent’anni fa, individuava in questi archetipi architettonici precisi riferimenti ai riti iniziatici. Io, in questo caso, ho sviluppato e contestualizzato queste sue fondamentali intuizioni. Storicamente il rito iniziatico ha una prima fase che si svolge normalmente nella capanna nel bosco, ed è seguita dal viaggio di ritorno a casa o al luogo del matrimonio. Tale ritorno può avvenire subito dopo la rimarginazione delle ferite, dovute alla circoncisione, o il taglio di qualche altra parte anatomica, incisioni o incorporazione di cristalli. In alternativa, l’iniziato si ferma a vivere nella foresta, in una capanna di terra, in una casetta o sotto una tenda per un periodo che può durare anche a lungo. Dopo questo periodo l’iniziato può trasferirsi nella cosiddetta “grande casa”, cioè una casa collettiva, e lì rimanervi per qualche anno, per ricevere gli insegnamenti da un maestro ed acquisire le abilità per il suo futuro ruolo. La mia ricerca mette in evidenza i legami tra questi archetipi, comuni a fiabe e riti ancestrali, con la casa singola e collettiva, con l’architettura commerciale e religiosa, con le strutture museali, con la progettazione dei parchi fino alle concezioni urbanistiche. Di grande aiuto, specie per l’archetipo della capanna, è stato La casa di Adamo in paradiso del noto storico dell’architettura Joseph Rykwert, che ho letto già negli anni Ottanta, durante gli studi universitari.
Qual è stata la parte più difficile del processo di ricerca e scrittura di questo libro? E quale la più gratificante?
La difficoltà maggiore è stata mettere insieme aree del sapere, posizioni culturali e linguaggi molto diversi tra di loro. Antropologi, psicologi, storici delle religioni, linguisti e folcloristi solitamente non si leggono tra loro con architetti e storici dell’architettura, così come non si sono normalmente letti tra di loro studiosi di orientamento marxista o strutturalista con filosofi e ricercatori orientalisti ed esoterici. Ho scelto di prenderli per quello che sono o sono stati, nella loro storicità, narrando le loro biografie e spiegando ciò che hanno detto. Inoltre, sono andato frequentemente all’origine dei testi, rileggendo fiabe de Le mille e una notte, di Perrault, dei fratelli Grimm, di Jakobs, fiabe africane, italiane, russe islandesi, delle isole Faroe, finlandesi, e così via, insieme con quanto scritto direttamente dagli architetti e dagli studiosi di volta in volta citati. Mi sono spesso trovato di fronte ad aspetti sottaciuti dalla critica architettonica, che ha spesso seguito altri filoni. Ad esempio, un architetto come Bruno Taut, normalmente ricordato per il suo impegno sociale, si è espresso all’inizio della sua carriera, con immagini e linguaggi fiabeschi, pervenendo ai fantastici progetti delle città di luce e cristalli sulle Alpi. Giuseppe Terragni, invece, il più importante architetto razionalista italiano, con il progetto del Danteum, che traduce in termini di percorsi e spazi l’esperienza del viaggio nel mondo dei morti della Divina Commedia, mi ha sorpreso per il contrasto tra un progetto così immaginifico e il linguaggio verbale così concreto che ha usato per descriverlo, quasi a nascondere l’essenza. L’interesse per l’antropologia di Le Corbusier viene spesso in rilievo e trovare un capitolo “La città incantata” come critica alla città contemporanea nel suo libro La casa degli uomini (che è uno dei nomi usati per la grande casa di cui si parlava prima) è stata una notevole soddisfazione. Un’altra soddisfazione è stata riscontrare un così grande interesse per il mio libro, visto il tema inedito. È bello vedere come uno scritto che è mio ad un certo punto mi ritorni arricchito dai tanti diversi punti di vista dei lettori che mettono in evidenza ora questo ora quell’aspetto che ognuno ritiene fondamentale. Ciascuno coglie spunti diversi e ad ognuno risuona in modo speciale a seconda delle proprie esperienze. Tanto che alla fine, per questa condivisione, lo sento meno mio e più “nostro”, di scrittore e lettori insieme.
Ringraziamo Filippo Pierazzo per aver condiviso con noi il suo tempo e le sue affascinanti intuizioni su “Fiabe e Architettura. Un viaggio nell’immaginario collettivo”. Il suo libro ci offre una nuova prospettiva su come le fiabe non siano solo racconti fantastici, ma anche un mezzo per esplorare profondi significati culturali e archetipici. Invitiamo tutti i nostri lettori a immergersi in questo incredibile saggio per riscoprire le fiabe sotto una nuova luce. Grazie per averci seguito e alla prossima intervista sul blog del Gruppo Albatros!
