Essere donna, oggi, significa ancora dover conquistare spazi che dovrebbero essere naturali: il rispetto, la libertà, la sicurezza, la voce. Significa crescere con una consapevolezza precoce e spesso dolorosa, imparando a muoversi con cautela in un mondo che troppo spesso non ascolta, non protegge, non crede. Quando la violenza si insinua — attraverso parole che feriscono, gesti che opprimono o silenzi che soffocano — la paura può diventare una presenza quotidiana, invisibile ma costante. In Dalle ombre alla luce, Dorotea Minì sceglie di raccontare la propria storia con lucidità e coraggio, trasformando il dolore in testimonianza e la fragilità in forza. Un libro autobiografico che non è solo un racconto personale, ma una voce che si unisce a quella di tante donne, per rompere il silenzio e accendere una luce là dove per troppo tempo ci sono state solo ombre. In questa intervista abbiamo dialogato con l’autrice per approfondire il senso profondo della sua opera e il messaggio che desidera condividere con i lettori.
Dalle ombre alla luce è un titolo fortemente simbolico: cosa rappresentano, per lei, queste “ombre” e come è avvenuto il passaggio verso la luce?
Le “ombre” rappresentano quei momenti in cui mi sono sentita invisibile, intrappolata nel silenzio e nella paura, quando sembrava più facile sopravvivere che vivere davvero. Non erano solo situazioni difficili, ma anche il peso di emozioni non dette e di una voce rimasta troppo a lungo soffocata. Il passaggio verso la luce non è stato improvviso: è stato un processo lento, fatto di consapevolezza, di scelte dolorose ma necessarie. La luce è arrivata quando ho iniziato a guardarmi con più compassione e a credere che la mia storia meritasse di essere raccontata, non per restare nel dolore, ma per trasformarlo. La luce, però, ha assunto un significato nuovo e ancora più profondo quando mi sono trovata ad affrontare il lutto dentro casa, con due bambine da crescere da sola. In quel momento il dolore non era più solo mio: era una presenza quotidiana, silenziosa, che conviveva con la responsabilità di essere forte anche quando non lo ero. La rinascita è passata attraverso di loro, attraverso la necessità di trasformare l’assenza in presenza, la fragilità in cura, il dolore in amore. Ho imparato che si può continuare a vivere anche con una ferita aperta, e che la luce non cancella il buio, ma lo attraversa. Essere madre, in quel contesto, è stato il mio atto più grande di resistenza e di speranza.
Qual è stato il momento più difficile da affrontare nel raccontare la sua storia e cosa le ha dato la forza di farlo?
Il momento più difficile è stato rivivere certe emozioni che avevo cercato di mettere a distanza per proteggermi. Scrivere significava fermarsi, ascoltarsi davvero, e questo a volte faceva paura. La forza mi è arrivata dal desiderio di verità e di libertà: ho capito che non raccontare significava continuare a portare un peso che non mi apparteneva più. Sapere che la mia voce poteva aiutare anche solo una persona a sentirsi meno sola mi ha dato il coraggio di andare avanti.
In che modo la scrittura ha influito sul suo percorso di consapevolezza e di rinascita personale?
La scrittura è stata uno spazio sicuro, un luogo in cui ho potuto essere sincera senza giudizio. Mettere le parole su carta mi ha aiutata a dare un senso alle esperienze vissute e a riconoscere le mie emozioni. Scrivendo, ho smesso di vedermi solo attraverso ciò che avevo subito e ho iniziato a riconoscermi per la forza con cui ho resistito e sono cresciuta. È stato un atto di rinascita, ma anche di riconciliazione con me stessa.
Il suo libro tocca temi delicati come la violenza e il silenzio che spesso la circonda: quanto è importante, secondo lei, parlarne apertamente oggi?
Parlarne è fondamentale, perché il silenzio è ciò che più spesso permette a certe realtà di continuare a esistere. Quando non se ne parla, chi vive queste esperienze può sentirsi isolato, sbagliato o invisibile. Affrontare questi temi con rispetto e consapevolezza significa creare spazio per l’ascolto, per il riconoscimento e per il cambiamento. Raccontare non è solo un atto personale, ma anche collettivo.
Quale messaggio vorrebbe arrivasse, in particolare, alle donne che si riconoscono nelle sue parole e vivono ancora “nell’ombra”?
La luce, però, ha assunto un significato nuovo e ancora più profondo quando mi sono trovata ad affrontare il lutto dentro casa, con due bambine da crescere da sola. In quel momento il dolore non era più solo mio: era una presenza quotidiana, silenziosa, che conviveva con la responsabilità di essere forte anche quando non lo ero. La rinascita è passata attraverso di loro, attraverso la necessità di trasformare l’assenza in presenza, la fragilità in cura, il dolore in amore. Ho imparato che si può continuare a vivere anche con una ferita aperta, e che la luce non cancella il buio, ma lo attraversa. Essere madre, in quel contesto, è stato il mio atto più grande di resistenza e di speranza.
La testimonianza di Dorotea Minì ci ricorda quanto la parola possa essere uno strumento potente: capace di ferire, ma anche di guarire; di nascondere, ma soprattutto di rivelare. Dalle ombre alla luce è un invito a non restare in silenzio, a riconoscere il proprio valore e a credere nella possibilità di un cambiamento, anche quando tutto sembra perduto. Ringraziamo l’autrice per aver condiviso con sincerità e forza un percorso così intimo e necessario. Ai nostri lettori lasciamo il suo libro come spunto di riflessione e come segnale di speranza: perché ogni storia raccontata è una luce accesa, e nessuna voce merita di restare nell’ombra.
