GRUPPO ALBATROS IL FILO PRESENTA: POST – Raoul Sarghini

Cari lettori, oggi vi invitiamo a scoprire un autore che con la sua penna sa scavare nel profondo dell’animo umano. Raoul Sarghini, con Post, ci conduce in un viaggio introspettivo dove ogni parola diventa specchio di emozioni e riflessioni condivise. Attraverso una serie di brevi testi e aforismi, l’autore ci accompagna in un percorso che mette in dialogo il personale e il collettivo, l’intimità e la comunicazione pubblica. Abbiamo avuto il piacere di porgli alcune domande per approfondire la sua visione e il significato di quest’opera intensa e autentica.

Post è un titolo che richiama il linguaggio dei social, ma anche l’idea di un messaggio lasciato, un segno. Cosa rappresenta per lei questo titolo e come si lega alla struttura del libro?

Che significato ha scrivere in un post quello che, normalmente, fino a qualche tempo fa, si sussurrava a un amico in confidenza e solo in circostanze particolari? Su questo ho dovuto riflettere prima di intraprendere questa azione. Non riesco a liberarmi della mia logica e del mio concetto di dignità e, inevitabilmente, il dubbio che si era insinuato subdolamente si è infine evoluto in un interrogativo che ha necessitato di risposta. Il “perché” io abbia voluto scrivere contenuti profondamente ancorati alla mia anima sotto forma di post socialmente condivisi, riesce a trovare risposta nelle relative sottocartelle: “a chi ho scritto”, “a cosa è servito”, “chi mi aspetto che abbia letto”. E aleggia, inoltre, sulla mia testa l’ipotesi che io abbia bisogno di aprire la coda per piacere a qualcuno. Questo appare patetico. Non che non ci possa essere tra le motivazioni di uno scrittore tale componente, George Orwell asserisce che uno dei primi motivi che hanno spinto lui, e un po’ tutti gli scrittori, a scrivere è “l’egoismo puro”, desiderare di sembrare intelligente, essere al centro di discussioni, essere ricordato. Ma parliamo di uno “scrittore”, non certo di un autore di post! Eppure, dopo avere fatto auto psicanalisi (l’unica in cui si ha sempre ragione), ho scovato dei riscontri… ma per quanto mi riguarda ho potuto escludere, con la massima obiettività, la seconda parte delle motivazioni di Orwell, pur restando valida la spinta dell’egoismo. Ho dedotto, e messo agli atti per il momento, che questa pratica mi è stata utile “per riflettere meglio”. Come mi capitava di fare da ragazzino con penna e diario e poi da più grande con blocchi e raccoglitori ad anelli, io rifletto meglio se scrivo. Non posso negare (ahimè) che dopo aver scritto, io mi aspetti reconditamente che qualcuno lo consideri quantomeno valutabile, se non condivisibile. Ma ho capito che io, come credo tutti i socialcomunicatori, non ho la percezione di un bacino di ascolto variegato e nella maggior parte mai abbracciato… ma subliminalmente ho in aspettativa uno specifico recettore o forse una manciata di persone destinate a recepire. La parte più significativa, a convalida di questa personale disamina, è il disinteresse a una risposta. Il tentativo di “scrivere l’inesprimibile, ciò che si culla nell’anima, indefinito”. Di “dipingere l’irriproducibile, ciò che riecheggia nella mente, indistinto”. Un pensiero, un post, uno schizzo di vita. Ho riflettuto e parlato a me stesso “scrivendo”, mi è piaciuto, ho pensato intimamente a chi destinare tali riflessioni… e sto a posto così. Se non è egoismo questo? La struttura del libro rappresenta, di fatto, lo strumento efficace per disarginare il flusso dei pensieri e renderli condivisibili da parte di tutte le persone che sentano di farne parte, che abbiano la magica sensazione che si stia parlando di loro.

Nei suoi scritti emerge una profonda riflessione sul confine tra pubblico e privato. Quanto è importante oggi mantenere uno spazio intimo nella scrittura?

La scrittura, pensata e interpretata così come ho lasciato intendere, è una cura, una medicina naturale che ha come unica controindicazione la dipendenza. La pratica della stessa deve necessariamente navigare a confine tra l’aspetto pubblico e universale, per insinuarsi, con tenera violenza, nel proprio (e altrui) privato. L’importanza di mantenere uno spazio intimo nella scrittura sussiste solo quando si riesca a rendere credibile e naturale tale paradosso; un’illusione ben riuscita!

La memoria e il ricordo sembrano essere elementi centrali della sua opera. In che modo il passato diventa per lei strumento di analisi e comprensione del presente?

Passato e Memoria: inevitabile il primo, inestimabile la seconda. Non c’è nulla di più facile e sicuro del cercare nel tuo vissuto le modalità di approccio a quanto avrai da vivere.  La “memoria del passato” è ciò che rappresenta per me un “buon rifugio”, quando si tratti di momenti felici e irripetibili, ovvero un “ruvido cilicio” quando si tratti della ricerca di un pianto ristoratore e di una miccia per la speranza.

La forma breve dei post e degli aforismi richiede una scrittura essenziale e precisa. Come riesce a condensare pensieri così densi in poche parole?

Niente è più gradito, sia a chi legge che a chi scrive, di una chiara e diretta esternazione di quanto si voglia affermare. Ciò, non ha nulla a che vedere con densità e profondità dei concetti espressi. Come già analizzato, con la rassegna indecorosa dei miei arditi scritti si celebra, in un certo modo, la democraticità delle forme di espressione che, se atte a soddisfare almeno una delle parti in causa (scrittore e lettore) è sempre da benedire. Naturalmente è una teoria (la mia) e, come tale, è destinata a doversi arricchire con ogni ulteriore elemento oggettivo ne asseveri i contenuti. Che significa? Semplicemente che l’avere suscitato una riflessione, un pensiero ordinato o, addirittura, un commento desideroso di innescare uno “scambio” di esperienze, in ogni modo sia stato fatto e ovunque sia stato scritto, su una finestra o su un foglio profumato, ha un senso.

Se dovesse lasciare ai lettori un messaggio finale, un “post” ideale da conservare, quale sarebbe?

Credo che la maturità consista proprio nella migliore capacità di riconoscere i problemi, ridicolizzando quelli inesistenti, ridimensionando quelli reali ed affrontando con serenità e coraggio quelli seri. Il che equivale ad una maggiore capacità di essere felici. Ribadisco, al pari di altri prima di me, che la felicità è “sopravvalutata”. Il concetto scaturisce e si determina dall’analisi dell’atteggiamento atavico dell’individuo, scioccamente impegnato nella ricerca della stessa. Ecco quindi il controsenso, l’evidenza del quale sta nel seguente postulato: “La felicità è un diritto, quindi non si può conquistare”. E da tale concetto è necessario ripartire. La felicità non è un oggetto pregiato da possedere, non occorre raggiungerla, basta viverla!

Ringraziamo Raoul Sarghini per aver condiviso con noi il suo pensiero e il suo modo di intendere la scrittura come strumento di consapevolezza e di dialogo interiore. Post è un invito a fermarsi, a riflettere e a riscoprire il valore del silenzio tra le parole. Vi invitiamo a lasciarvi ispirare dalle sue pagine e, magari, a scrivere anche voi il vostro “post” interiore.

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