GRUPPO ALBATROS IL FILO PRESENTA: POESIE LICEALI – Giorgio Rebuzzini

Cari lettori, oggi vi invitiamo a un viaggio tra le parole e i ricordi, là dove la poesia si fa memoria viva e lo sguardo del giovane autore si posa sul passato con la maturità di chi ha già imparato la nostalgia. Poesie Liceali, opera prima di Giorgio A. Rebuzzini, è un taccuino dell’anima in cui l’adolescenza si trasfigura in mito, tra luce e ombra, filosofia e malinconia. Abbiamo avuto il piacere di incontrare l’autore per parlare di questo libro intenso e sorprendentemente consapevole, in cui la giovinezza diventa poesia e la parola diventa ritorno.

Giorgio, in Poesie Liceali l’adolescenza appare come una stagione di fuoco e di riflessione. Da dove nasce il desiderio di trasformare quei momenti in versi?

Il mio desiderio di scrivere poesie nasce e prende forma durante una serie di incontri con un poeta organizzati dalla mia professoressa di italiano. Nel primo di questi ritrovi viene dato a noi studenti il compito di scegliere una poesia che ci piaceva e di provare a recitarla a casa in modo espressivo al fine di leggerla all’incontro successivo davanti a tutta la classe. Questa idea era piaciuta così tanto a me e a una mia amica che abbiamo deciso che non avremmo scelto un componimento di Leopardi, Pascoli o Montale, ma che saremmo stati noi a scriverne uno. Ovviamente, è stato molto più facile a dirsi che a farsi: oltre alla difficoltà di scrivere in versi per la prima volta, mi sono ritrovato a mettere a nudo le mie emozioni al cospetto dei miei compagni, che conoscevo e mi conoscevano molto bene. Ero un fascio di nervi, la mano che teneva il foglio era tremolante, ma alla fine ho preso coraggio e ho iniziato a leggere, cercando di dare un tono alle mie parole e di fare le giuste pause tra una strofa e l’altra. Alla fine della lettura ho staccato gli occhi da “Matrioska”, la prima poesia della mia raccolta e in assoluto, e ho guardato i miei compagni: si era levato un applauso generale, non tanto per il senso o la qualità del componimento, ma per il solo fatto di aver trovato le forze di leggere un brano così personale a ragazzi che conoscevo a menadito, non a sconosciuti del cui parere poco potrebbe importare. Inoltre, mi ricordo di aver sentito una straripante scarica di adrenalina fluire nelle mie vene. Da quel giorno, scrivere e leggere poesie è diventata una passione di cui non riesco a fare a meno; allo stesso modo, ricondurre la mia prima raccolta alla stagione di fuoco e di riflessione del liceo è stato un processo inevitabile.

Nei tuoi componimenti si avverte una forte presenza della classicità. Come dialogano, per te, l’antico e il contemporaneo?

Nella mia concezione del mondo classico, l’antico è un modello che deve essere seguito, è un’autorità a cui deve essere data grandissima attenzione per il solo fatto di essere sopravvissuta alla forza invisibile e incessante dell’erosione del tempo, a secoli passati nel dimenticatoio della storia e a lunghi periodi di damnatio memoriae. I grandi della storia – e mi riferisco sia agli uomini, che alle loro gesta, che ai loro scritti – devono essere un monito per noi moderni, un precedente a cui poter attingere per regolare non solo le interazioni individuali e quotidiane, ma anche le situazioni più impreviste e di importanza planetaria. Sotto questo particolare ma fondamentale aspetto, il mio mentore è stato senza dubbio il mio professore di greco e di latino, il quale, già a partire dal primo giorno di quarta ginnasio, aveva letto a noi primini il passo del XXVI canto dell’Inferno di Dante sulla morte di Ulisse. Egli si era soffermato con particolare attenzione sui versi “fatti non foste a viver come bruti, / ma per seguir virtute e canoscenza”, identificati come il primo, unico e vero comandamento a cui noi studenti dovevamo adempiere. Nonostante da questo esempio si possa evincere l’importanza didattica della parola superstite, è anche necessario riconoscere che questo rapporto tra antico e contemporaneo non sia privo di eccezioni: l’uomo moderno deve certamente mostrare ammirazione per la parola antica, ma non deve mai e poi mai cadere nella trappola del dogma, nel sonno ipnotico e rassicurante dell’immutabilità delle cose. Ogni dichiarazione ancestrale deve essere collocata ed interpretata nel suo contesto, analizzata con ragione e, se risulta inadeguata alla società di oggi, deve essere ripudiata senza paura, o in alternativa riadattata e reinterpretata in conformità alle necessità di oggi. Nel nostro mondo, ad esempio, è innegabile che le giustificazioni della schiavitù da parte di un pensatore che è stato in ogni epoca attuale ed enciclopedico come Aristotele debbano essere respinte, ma ciò non comporta che debbano essere eliminate e distrutte per il solo fatto di essere inadeguate alla realtà di un dato momento.

Il titolo richiama il tempo del liceo, ma le tue poesie sembrano oltrepassare i confini dell’età scolastica. C’è un messaggio universale che vorresti arrivasse a chi legge?

Se c’è un messaggio universale che vorrei che arrivasse ai lettori, questo non è altro che una rivisitazione, un riadattamento del messaggio dei classici, un’analisi a secoli di distanza di ciò che i nostri antenati volevano comunicarci e di ciò che la società ha effettivamente appreso dal loro messaggio. Se c’è invece un messaggio personale che voglio trasmettere, questo non ha nessuna pretesa di universalità: è un appello a chi critica il liceo per la sua focalizzazione sulle “lingue morte” di dare fiducia a questo studio, perché non è vero che è privo di ogni utilità. Senza dover e voler ricorrere al tormentone del liceo classico che “apre la mente”, conoscere il viaggio che hanno fatto le parole, l’evoluzione del loro significato e della loro morfologia permette di comprendere più facilmente qualsiasi testo, di migliorare l’eloquio (una dote ottima in ogni tempo), di capire al volo il senso di parole astruse e, infine, di affilare la lama tagliente dell’ironia. Se anche questi immensi pregi non riuscissero a convincere il detrattore delle “lingue morte”, bisogna addurre che la ricerca dell’etimologia delle parole, la quale porta spesso lontano da radici latine, greche o germaniche, conduce invece all’abbattimento degli stereotipi di cui, purtroppo, la nostra mentalità è ancora intrisa. Sono abbastanza sicuro che, se molte persone sapessero quanto il loro lessico comune sia stato permeato nel corso dei secoli da termini arabi, africani, persiani, slavi, turchi ed orientali, avrebbero molti meno pregiudizi di natura etnica e sociale e non baserebbero moltissime opinioni su presupposti infondati, generalizzazioni ed esagerazioni, nonché sulla convinzione, tutt’altro che dimostrata, di appartenere a una civiltà superiore.

Nelle tue poesie convivono ironia e malinconia, slancio e consapevolezza. Come si costruisce, secondo te, questo equilibrio emotivo nella scrittura poetica?

L’equilibrio emotivo tra slancio e consapevolezza presente nei miei componimenti credo sia del tutto naturale, dettato semplicemente dalle singole riflessioni delle varie poesie, senza che ci sia alcun ragionato bilanciamento tra un estremo e l’altro. Accade spesso che in una mia poesia si possa distinguere l’aspetto della consapevolezza, mentre nel brano seguente lo slancio faccia da padrone, e che solo mediante una visione sistemica della raccolta si riescano a cogliere entrambe le facce della medaglia. Per quanto riguarda l’ironia e la malinconia, io credo siano perfettamente conciliabili, sia perché creano racconti caratterizzati dal grottesco, come “Il dio che vinse il potere divino e perciò divenne Uomo”, sia perché l’ironia in altri casi è spesso autocritica, la quale ben si sposa con la tristezza pervasiva di certe mie poesie.

Questa è la tua prima opera pubblicata. Come hai vissuto l’esperienza dell’esordio e cosa pensi che la poesia possa ancora insegnare, oggi, ai tuoi coetanei e ai lettori di ogni età?

L’esperienza dell’esordio è stata travolgente: all’inizio avevo mandato il mio manoscritto alla casa editrice senza alcuna aspettativa, con la sola convinzione che tentare non avrebbe potuto nuocere in alcun modo; sorprendentemente, un mese più tardi mi è arrivata un’inattesa risposta della casa editrice nella quale era presente la proposta di pubblicazione della mia raccolta. Da quel momento in avanti mi sono concentrato molto su tutte le fasi del processo di editoria e ho avuto anche modo di conoscere molti aspetti di questo delicato processo che ignoravo quasi totalmente. Per quanto riguarda, invece, gli insegnamenti che la poesia può fornire, la mia idea è che qualsiasi disciplina umanistica, che sia letteratura, arte, musica o cinema, possa e potrà sempre produrre molte opere da cui gli uomini di ogni età potranno apprendere. D’altro canto, credo anche che tutte queste discipline abbiano ridotto notevolmente la qualità dei loro lavori per andare incontro alle preferenze di una vasta fetta di lettori, i quali prediligono lo spettacolare al il bello. Con questo non intendo dire che non esistano più opere moderne di alto livello, ma che queste siano sempre più rare e difficili da scovare perché sommerse da una straripante maggioranza di racconti di minor rilievo, composti da trame avvincenti e colpi di scena, ma privi di qualsiasi profondità stilistica e psicologica. A questo fenomeno, da sempre presente nelle realtà in cui i libri erano accessibili ad ampie fette della popolazione, come nel periodo ellenistico o nell’età imperiale romana, credo non ci sia alcuna soluzione. Credo, purtroppo, che la scelta tra la diffusione della cultura e la sua qualità sia necessariamente contrastante e, in ultima analisi, che la media dei lettori tornerà ad essere più avvinta da nobili opere solo nel caso in cui la cultura dovesse tornare ad essere un bene per pochi.

Ringraziamo di cuore Giorgio A. Rebuzzini per aver condiviso con noi la profondità e la freschezza della sua voce poetica. Poesie Liceali è una raccolta che parla a chiunque abbia amato, sognato e perduto qualcosa lungo la strada della crescita. Vi invitiamo a lasciarvi trasportare dai suoi versi e a riscoprire, tra le righe, la vostra personale Itaca. Continuate a seguirci sul blog del Gruppo Albatros per nuove storie, nuove voci e nuove emozioni letterarie.

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