GRUPPO ALBATROS IL FILO PRESENTA: CITOFONARE PARADISO – Alessandro Chili

Cari lettori, oggi abbiamo il piacere di ospitare sul blog del Gruppo Albatros l’autore Alessandro Chili, che ci porta dentro le mura di un luogo speciale: un bar dove storie, personaggi e fantasia si intrecciano per dare vita a Citofonare Paradiso. Tra barman, pensionati, impiegate e casalinghe, questo romanzo ci racconta di un caffè diventato galleria, palco e luogo di incontro per anime diverse, capaci di rifiorire insieme in un microcosmo fatto di parole, arte e sogni. Vi invitiamo a scoprire con noi i retroscena di questa storia unica e il mondo creativo di Alessandro Chili.

Alessandro, da cosa è nata l’idea di ambientare Citofonare Paradiso in un bar così particolare, che diventa quasi un personaggio a sé?

Ho viaggiato molto per lavoro, e ho sempre scritto quello che mi passava per la testa in quel momento, quello che vedevo nelle strade, quello che ascoltavo negli aeroporti o sui treni. A un certo punto mi sono accorto che tutte quelle cose reclamavano una storia che le mettesse insieme, e allora mi è venuto in mente il bar, quel bar, che esiste veramente e dove andavo ogni giorno quando ero in Italia, come il posto in cui potevano stare insieme cose che non c’entravano niente l’una con l’altra, se non per il contesto -quello del bar-dove niente richiede un perché. Poi strada scrivendo la storia ha preso una forma autonoma che ha sorpreso anche me, è venuta a posteriori legando quello che avevo già scritto e sviluppandosi da sola. È vero che il bar è un personaggio, sinceramente me ne sono accorto alla fine, come tanti luoghi gli è spuntato un genius loci come i peli della barba diventando grande.

Il libro è ricco di divagazioni e incontri surreali: come hai scelto quali figure storiche o letterarie far dialogare tra loro e con i protagonisti?

Sono figure e storie che mi hanno colpito profondamente, e che mi hanno accompagnato, contribuito a formarmi e fatto crescere per quello che sono. Non c’è altro motivo che me le ha fatte scegliere se non che mi è venuto di scriverne per il profondo significato che hanno avuto per me, mi ci sono riconosciuto come personalità oppure esteticamente. Sono personaggi e storie che hanno -almeno per me- un profondo significato esistenziale: l’innocente lotta contro i mulini a vento, l’estetica della giungla, dove il potere ha una dimensione immediata, il caso, il genio, l’amicizia, l’eterno malfermo equilibrio tra impegno e risultato, il dubbio sull’inferno e la salvezza, per giungere alla conclusione che la bellezza è l’unico indizio che abbiamo dell’esistenza di Dio. È stata quindi una scelta molto personale, non saprei indicare un criterio, anche se sono temi che accompagnano l’umanità da sempre, se no non ci avrebbero scritto i libri e i film che poi mi hanno colpito. Poi c’è un altro aspetto: i personaggi sono archetipi, Gesualdo Bufalino  ha provato a classificarli e non ce ne sono poi molti, così ho pensato che fosse interessante farli incontrare per tirargli fuori qualcosa di più:  Virgilio e Sancio Panza, Dante e Don Chisciotte, ascoltare Leonardo che parla al suo gatto della pittura, Pat Garrett che parla  con Bob Dylan: sono entrambi personaggi veri, di secoli diversi, entrati in un film per strade diverse, si trovano anche loro al bar e parlano di Billy Kid, del Natale, dei tacchini, dell’amicizia, della paternità… Cosa si direbbero i personaggi se si potessero parlare da libro a libro, da film a film? Si potrebbe dire che siamo sempre qua a parlare delle stesse cose, nell’infinito intrattenimento che la Letteratura ci offre. Mi piace fare incontrare i personaggi e ascoltarne la conversazione, ci rivela una parte di quel mondo che nella storia di ciascun libro o film non c’è stato il tempo di raccontare. Le figure storiche di cui parlo, o i fatti a cui si riferiscono, mi hanno analogamente colpito, ma sono sempre personaggi: così, come un discreto e silenzioso reporter accompagno Ponzio Pilato nel suo primo giorno nell’aldilà dove ritrova il suo amato cane, faccio la cronaca dell’allibita legione romana che ritiene un’offesa il suicidio collettivo dei nemici a Masada. Al generale, che deve parlare alla truppa dopo la vittoria a tavolino, vengono in mente le splendide parole del Recitativo di Fabrizio de André, non c’era nulla i più adatto alle circostanze. Sono fatti storici nei quali ho trovato eleganza, poesia, e che poi ho sviluppato come mi passava per la testa. Tutto questo si lega nel mio bar attraverso la divagazione, che per me è una figura retorica d’eccellenza nella letteratura contemporanea, dove la scrittura prevale leggermente sulla storia, la divagazione è decontestualizzata per definizione, e sta su come una nuvola, una meraviglia.

I personaggi che animano il bar sono molto diversi tra loro. Quanto c’è di autobiografico o di reale in queste figure?

Il personaggio del Direttore è assolutamente autobiografico, anche se di fatti reali della mia vita ce ne sono pochissimi. Tra gli altri, quelli principali sono tutti di fantasia, e sono tutti amici che mi sarebbe piaciuto avere, vagamente ispirati a persone che ho conosciuto, mentre il popolo del bar è assolutamente reale, anche se in quel bar magari ce li ho portati io.

Il linguaggio e le parole sembrano avere un ruolo centrale nel romanzo. Quanto conta per te il potere della parola nella vita quotidiana e nella narrativa?

Certo, il linguaggio è centrale. Abbiamo la fortuna di parlare e scrivere nella lingua più bella del mondo, di cui sono un appassionato e curioso dilettante. Cito Margherita e la sua lezione ai bambini della scuola elementare: “Noi siamo quello che riusciamo a dire”. Profondamente vero, ho cercato di creare i personaggi attraverso il loro modo di esprimersi, che è l’essenza della persona, quale che sia. Il modo di parlare è il vestito del personaggio. Ho cercato di curare il linguaggio per quanto ne sono capace, e la divagazione in questo aiuta molto. Aiuta anche il bar, lo stile che ho scelto ne è una conseguenza: molto discorsivo, dialogante, veloce. Il potere della parola è enorme, in qualunque contesto, nella vita e in letteratura. In letteratura penso che qualunque storia non raccontata con un linguaggio all’altezza sia come aver dimenticato il sale quando fai la pasta. Questo è naturalmente un personalissimo parere, ma è anche vero che tra storia e linguaggio c’è una correlazione variabile a seconda del genere: è chiaro che, se scrivo un giallo la trama è quasi tutto, se scrivo un romanzo storico la trama è molto importante, se scrivo quello che mi passa per la testa la trama è quasi irrilevante. È importantissimo trovare un equilibrio tra fascino della trama e piacere del leggere. Camilleri insegna.

Se dovessi descrivere Citofonare Paradiso in tre parole, quali sceglieresti e perché?

Positivo, Ironico, Vagabondo. Positivo: Citofonare Paradiso è una storia di amici che si danno una mano nel momento in cui, con il contributo di tutti, hanno l’occasione di dare una svolta alle loro vite.  Ironico: sarà perché sono bolognese, questo è il tono generale del romanzo. Vagabondo: non sa mai che strada prenderà nella pagina dopo per arrivare al dunque.

Ringraziamo Alessandro Chili per averci accompagnato in questo viaggio dietro il bancone di un bar davvero speciale, dove realtà e immaginazione si incontrano in un caleidoscopio di voci e storie. Se volete immergervi anche voi in Citofonare Paradiso, vi consigliamo di non perdere questo libro che, come ogni buon caffè, riscalda il cuore e stimola la mente. Continuate a seguirci per altre interviste e approfondimenti dal mondo del Gruppo Albatros!

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